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Il ruolo delle fonti rinnovabili nel processo di Transizione Ecologica: focus sull’energia idroelettrica

Aprile 20, 2022

* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito Student Energy, consultabile al seguente link: https://studentenergy.org/source/hydro-power/

Il fisico ed accademico Roberto Cingolani è stato (ed è tuttora) il primo Ministro della Transizione Ecologica (MiTE). Fondato nel febbraio 2021, questo dicastero ha sostituito il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM). Il principale motivo per la creazione di questa nuova entità istituzionale, incentrata appunto sul concetto di “transizione ecologica”, risiede nel nuovo approccio inaugurato dall’Italia da un punto di vista ambientale. Un approccio basato sì sulla protezione dell’ambiente e sulla tutela del territorio nazionale, ma finalizzato anche alla produzione di energia pulita e sostenibile in ottemperanza agli obblighi internazionali che il nostro Paese ha assunto nella lotta al cambiamento climatico. In tale ottica, sono molti i documenti presentati negli ultimi anni da autorevoli studiosi ed enti di ricerca, italiani ed internazionali, in cui si sottolinea un cambio di rotta con la massima urgenza per ciò che concerne l’adozione di politiche produttive ecosostenibili. Gli obiettivi del nuovo corso eco-friendly della politica italiana sono riassunti dall’espressione Green New Deal, un piano di riforme economiche e sociali improntate alla salvaguardia dei nostri ecosistemi tramite il graduale superamento dei combustibili fossili come fonti primarie. Tra i vari traguardi prefissati dalle autorità, si segnalano inoltre interventi volti alla promozione di misure per de-carbonizzare l’economia, per ridurre l’uso della plastica o sostituirla con materiali alternativi, per incentivare un turismo sostenibile e per adattare/mitigare i rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico.

L’attenzione che Roma dedica a questa materia è massima, anche in relazione alla nota vicenda bellica che vede coinvolte Russia e Ucraina. Il secondo punto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dal titolo “rivoluzione verde e transizione ecologica”, prevede proprio che si effettuino grossi investimenti in tal senso[1]. Sotto questo aspetto, oltre alla riduzione dei combustibili fossili, gioca un ruolo primario un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica. A livello europeo, preme sottolineare che l’Italia è uno Stato “virtuoso” in tema di sfruttamento di fonti rinnovabili. Quasi un terzo dell’energia elettrica prodotta nel nostro Paese arriva da fonti green: il settore idroelettrico, che è preponderante, è seguito dal solare-fotovoltaico, dalle bioenergie, dall’eolico e dal geotermico. Nel complesso, l’Italia è il terzo produttore di energia derivante da fonti rinnovabili in Europa. Le alternative ai combustibili fossili, infatti, rappresentano una fetta importante della produzione energetica del Belpaese, con una percentuale in costante crescita anno dopo anno[2]. Di fatto, tra le grandi nazioni europee Roma detiene la quota più alta di energia elettrica generata attraverso lo sfruttamento di fonti non fossili. Come si evince dalla Fig. 1, infatti, alla fine del 2018 – in uno scenario, dunque, pre-bellico e pre-pandemico – l’Italia precedeva molti grandi Paesi continentali e sfiorava il 20% (sul totale) di energia generata attraverso fonti rinnovabili.

Le fonti energetiche rinnovabili in Italia. Una panoramica

In seguito al referendum tenutosi nel novembre 1987 l’Italia rinunciò all’energia nucleare. L’incidente di Three Mile Island[3] del 1979 e, ancor più, il disastro di Černobyl’ del 1986 giocarono un ruolo determinante nell’immaginario collettivo del tempo. L’80% dei votanti si espresse a favore delle istanze portate avanti dai promotori della consultazione popolare, che erano incentrate sull’abolizione dell’energia dell’atomo sul territorio nazionale[4]. Di fatto, dunque, Roma non produce più energia nucleare dalla fine degli anni Ottanta. Tuttavia, è opportuno segnalare che il nucleare è ancora massicciamente impiegato, visto che tutt’oggi circa il 10% del nostro fabbisogno di elettricità viene soddisfatto tramite l’importazione di energia prodotta dalle centrali nucleari francesi. È un vero e proprio paradosso; secondo Ferruccio De Bortoli, editorialista ed ex direttore del Corriere della Sera: “Paesi come il nostro non vogliono più sentir parlare di nucleare ma sono nella condizione di sperare che gli altri – Francesi ed Inglesi per esempio – non li imitino. Altrimenti sarebbero guai, seri”[5]. La ragione di ciò è che Paesi altamente industrializzati come l’Italia necessitano di grosse quantità di energia sia per soddisfare la macchina produttiva nazionale sia per garantire elettricità per usi domestici. Vista la graduale soppressione dei combustibili fossili prevista per i prossimi anni e con la mancanza di energia nucleare prodotta all’interno dei nostri confini, Roma è di fatto obbligata ad approvvigionarsi di una fonte ritenuta pericolosa e oltremodo inquinante. Tuttavia, ancora oggi l’energia nucleare è indispensabile per garantire alti tassi di produzione elettrica con costi ambientali non così elevati[6]. A tal proposito, è notizia di qualche settimana fa l’introduzione del gas naturale e del nucleare nel novero delle fonti rinnovabili da parte della Commissione Europea. La Commissione le definisce “fonti energetiche utili alla transizione ecologica dell’Unione, e possono avere – a determinate condizioni – l’etichetta UE per gli investimenti verdi”.

Per comprendere la scelta della Commissione Europea, considerata assurda e criticata aspramente da molte associazioni ambientaliste, bisogna fare riferimento ad un aspetto. Ciò che viene ritenuto più pericoloso in questa fase storica è l’altissima produzione di CO2, responsabile secondo molti esperti dell’aumento vertiginoso delle temperature sul nostro pianeta. Il nucleare, sotto questo profilo, è una fonte molto “sostenibile” visto che non produce CO2. Si tratta inoltre di una fonte sfruttabile indipendentemente dalle condizioni climatiche; una volta attivata, una centrale nucleare lavora a pieno regime anche in condizioni di mancanza di vento o di sole, giusto per citare due fonti rinnovabili che negli ultimi anni hanno sperimentato un massiccio incremento da un punto di vista quantitativo nel nostro Paese. Al contempo, lo sfruttamento dell’energia nucleare comporta dei rischi rilevanti, soprattutto per quanto riguarda le centrali di prima e seconda generazione. Problemi legati alla sicurezza e allo smaltimento delle scorie radioattive restano di gran lunga i principali aspetti negativi che ancora oggi limitano la diffusione dell’energia atomica.

Oltre al nucleare, che, come detto poco sopra, è stato classificato fonte rinnovabile e non è prodotto sul nostro territorio nazionale, sono molte le fonti “pulite” di cui l’Italia si serve con regolarità. Partendo dal settore idroelettrico, che verrà analizzato nel dettaglio nel prossimo paragrafo, fino a comprendere sole, vento e calore della terra; esse rappresentano le principali fonti utilizzate per generare alti tassi di energia non inquinante. Si tratta di vere e proprie risorse strategiche da cui attingere, visto che sono abbondanti nei nostri ecosistemi e potenzialmente infinite. Certo, possono capitare periodi in cui annuvolamenti più abbondanti limitino l’apporto del sole, o casi in cui si sperimenti assenza di vento per un tempo non definito. Tuttavia, sia il sole sia il vento faranno parte della nostra vita su questo pianeta, così come il calore che si sprigiona dalla terra, il cosiddetto “geotermico”, altra fonte rinnovabile che ha visto un’ingente crescita negli ultimi anni anche se con importanza minore nel paniere totale delle rinnovabili. Per non parlare, poi, di altre fonti come il moto ondoso e le maree, oltre ai vari bio-combustibili che rendono la quota di renewables nel nostro Paese molto consistente.

Il fotovoltaico vanta maggiori tassi produttivi al sud, grazie alla minore latitudine e al maggiore apporto di sole. L’energia eolica, invece, viene raccolta soprattutto nelle grandi isole, Sicilia e Sardegna, a cui si aggiunge in generale la parte meridionale della dorsale appenninica, a partire da Puglia, Campania e Basilicata, dove il vento è presente in maniera più o meno costante. L’energia geotermica, infine, ha come polo d’eccellenza la Toscana, per ragioni storiche e per caratteristiche geologiche.

La crescita che tutte le rinnovabili hanno avuto negli ultimi anni in termini di distribuzione e presenza sul territorio è stata poderosa. Basti pensare che nel 2010 solo 356 comuni italiani disponevano di impianti elettrici o termici basati sulle rinnovabili, mentre oggi siamo arrivati quasi al 100% delle municipalità con almeno un impianto rinnovabile, ossia un totale di comuni che, nel giugno 2020, superava quota 7.900[7]. Nello specifico, sono 7.776 i comuni nei quali è installato almeno un impianto fotovoltaico, 7.223 quelli con un impianto solare termico, 3.616 con sistemi a bioenergia, 1.489 in cui si sfrutta l’energia idroelettrica (grazie a grandi strutture oppure anche a mini-impianti), 1.049 con impianti eolici e 594 in cui ci si approvvigiona anche tramite geotermia[8]. Inoltre, sono già oltre 3.000 i comuni in cui la componente rinnovabile supera il fabbisogno elettrico delle famiglie; di questi, in ben 41 si soddisfa interamente anche quello termico. Questi risultati sono, sotto ogni evidenza, molto significativi e testimoniano quanto l’Italia sia di fatto un Paese eco-friendly, in cui l’attenzione per la produzione di energia pulita è massima sia a livello nazionale sia locale.

Se non si tiene conto dell’energia derivante dallo sfruttamento dell’acqua, il sole è senza dubbio la fonte più usata per la produzione di elettricità. A tal riguardo, si consideri che circa un dodicesimo dell’energia totale prodotta in Italia, rinnovabile e non, deriva da impianti fotovoltaici. Una crescita davvero significativa, maturata peraltro in pochi anni. Il progresso e la ricerca tecnologica sono tra le principali ragioni che hanno favorito questo incremento. Infatti, oggigiorno esistono modi diversi di sfruttare i raggi del sole. Nello specifico, oltre ai classici pannelli fotovoltaici, sono diffusi molti sistemi solari termici, che sfruttano l’energia dei raggi solari per riscaldare l’acqua o un altro fluido. Si noti, inoltre, che l’energia solare è impiegata anche per alimentare singoli dispositivi e strumenti: si va dai mezzi di trasporto che funzionano grazie a pannelli fotovoltaici fino ai satelliti e veicoli spaziali, passando anche per oggetti d’uso quotidiano o edifici costruiti in posizioni remote che vengono alimentati grazie ai raggi solari.

Fig. 4: Pannelli solari e sistema solare termico montati sul tetto di un’abitazione
https://www.qualenergia.it/articoli/e-integrare-pompa-di-calore-fotovoltaico-e-solare-termico/

Per ciò che concerne lo sfruttamento del vento, si noti che, in termini assoluti, l’energia eolica in Italia è in progressiva crescita. Seppure a ritmi inferiori rispetto ad altri Paesi europei e alla media del continente, il vento viene sempre più “imbrigliato” al fine di produrre energia pulita. A tal proposito, si consideri che sul nostro territorio sono presenti oltre 5.000 impianti eolici. Come riportato dai dati ufficiali di ENEL Green Power, ad oggi, nella grande maggioranza dei casi, i siti italiani sono caratterizzati da turbine eoliche con una potenza unitaria installata tra i 20 e i 200 chilowatt[9]; in futuro si prevede l’installazione di turbine di tecnologia più avanzata, con potenza unitaria e produzione maggiori e, a parità di sito considerato, con un’ottimizzazione degli spazi e del consumo di suolo. I passi avanti realizzati in questo settore recentemente sono molto incoraggianti; si stima che l’energia complessiva ottenibile con l’eolico italiano possa raddoppiare in un decennio rispetto agli attuali 20 terawattora l’anno, con un passaggio in termini di potenza massima erogabile da 11 a 19 gigawatt[10].

Anche per ciò che concerne il settore geotermico l’Italia si conferma una nazione all’avanguardia. La Toscana, come sottolineato in precedenza, è la regione con la più alta presenza di impianti geotermici. È di Larderello, in provincia di Pisa, il primo impianto mai costruito nella storia. Fin dai primi esperimenti tecnici di inizio Novecento, l’Italia si è distinta nel mondo per la capacità innovativa nello sfruttare questo tipo di energia derivante dalle fonti geologiche. In passato, l’idea era di utilizzare il vapore in uscita dal sottosuolo come alternativa alle macchine a vapore alimentate a carbone. Oggi, a più di un secolo di distanza, nella sola Toscana gli impianti geotermici sono diventati una trentina. La tecnologia si è evoluta molto e permette attualmente di sfruttare i fluidi estratti direttamente dal sottosuolo. Il rendimento è aumentato in maniera notevole: gli impianti geotermici riescono oggi a ricavare un’energia anche quattro volte superiore rispetto a quella necessaria per il loro funzionamento.

Nonostante in termini percentuali il geotermico non possa competere con altre rinnovabili – vista anche la sua minore diffusione sul territorio – l’Italia è ancora ai vertici mondiali in questo tipo di produzione. Alcune innovazioni tecnologiche hanno reso le prospettive ancora più interessanti. Anzitutto i gas tossici o climalteranti che possono essere sprigionati dal sottosuolo vengono oggi contenuti e se ne evita l’immissione in atmosfera. Inoltre, è possibile anche realizzare una geotermia inversa (detta a bassa entalpia) in cui il sottosuolo viene sfruttato come serbatoio per il calore in eccesso presente durante la stagione estiva, recuperandolo nei mesi freddi e trasformandolo in energia elettrica[11].

Il settore idroelettrico. La punta di diamante delle fonti rinnovabili italiane

Come abbiamo visto, sono varie le fonti rinnovabili utilizzate dall’Italia per produrre energia pulita. Tra queste, una menzione d’onore spetta senza dubbio al comparto idroelettrico, da sempre tenuto in altissima considerazione nella produzione di energia alternativa ai combustibili fossili. L’idroelettrico è la fonte di energia rinnovabile che vanta la più lunga tradizione nel nostro settore energetico. Una storia che affonda le sue radici negli ultimi anni dell’Ottocento, quando il Belpaese rappresentava l’avanguardia mondiale nello sviluppo di sistemi idraulici capaci di ricavare energia green. Fino a qualche decennio fa, addirittura, si credeva che quest’unica fonte rinnovabile potesse essere così abbondante da garantire da sola all’Italia l’autosufficienza energetica. Tale convinzione era così diffusa e radicata che l’idroelettrico venne ribattezzato il “carbone bianco” delle Alpi. Per certi versi, questo “carbone” aveva (ed ha tuttora) moltissimi aspetti positivi: l’energia dell’acqua è rispettosa dell’ambiente, disponibile in grande quantità entro i confini nazionali e ottenibile a prezzi bassi. Tutti questi vantaggi hanno portato il nostro Paese a investire molto e fin da subito sull’idroelettrico, con risultati molto soddisfacenti.

Fig. 6: Diga di una centrale idroelettrica in alta montagna
https://www.ohga.it/lenergia-idroelettrica-la-rinnovabile-piu-usata/

La conformazione fisica del nostro territorio, con la dorsale appenninica e soprattutto con l’arco alpino, rendono le regioni del nord aree ideali per la produzione su larga scala di elettricità tramite lo sfruttamento dell’acqua. Le forti pendenze del terreno, che sono decisive per avere impianti ad alta produttività, consentono lo sfruttamento massimo dell’energia cinetica idrica, principio alla base dei sistemi idraulici.

Fino agli anni Venti del secolo scorso, le centrali idroelettriche rappresentavano la quasi totalità dell’energia green italiana, con contributi minuscoli da parte di altre fonti come il geotermico. L’unica eccezione, come menzionato in precedenza, era costituita dalla grande centrale toscana di Larderello, realizzata nel 1904, o dall’eolico. Tuttavia, col passare del tempo, da protagonista indiscusso del panorama energetico non fossile, l’idroelettrico ha perso peso. Questo è da attribuirsi non tanto ad un calo delle produzioni – anzi, la tendenza non è mai stata al ribasso – ma ad una sostanziale e progressiva perdita di interesse per questo mezzo alternativo di produzione elettrica. Durante tutta la prima metà del Novecento, e fino agli anni Cinquanta inclusi, si realizzò il massimo sfruttamento del potenziale idroelettrico italiano, con la costruzione di parecchie grandi centrali. Poi, però, in parte per la carenza di ulteriori sorgenti vantaggiose, in parte per la ritrosia ad investire ulteriori fondi pubblici in seguito al disastro del Vajont, dagli anni Sessanta del Novecento fino al primo ventennio del nuovo secolo gli aumenti nella produzione sono stati modesti. Secondo uno studio effettuato da ENEL Green Power, negli ultimi sessant’anni le variazioni sono state nel complesso inferiori al 10%, peraltro con un andamento altalenante[12]. Tutto ciò, rapportato con la crescita di altre fonti energetiche, sia fossili sia rinnovabili, ha significato una notevole perdita di importanza relativa dell’idroelettrico nel paniere energetico italiano.

Di recente, dopo un lungo periodo di stagnazione, l’energia derivante dallo sfruttamento dell’acqua ha attratto nuovamente interesse a livello nazionale. All’inizio del 2019 – prima, dunque, dello scoppio della pandemia da Covid 19 – gli impianti italiani alimentati ad acqua erano 4.331[13]. Se ci si ferma ad analizzare il numero di centrali, si può parlare di un vero e proprio “decennio d’oro”: nel 2009 erano appena 2.249, da allora c’è stato un sostanziale raddoppio che ha avuto come anni cruciali il 2010 (+480 impianti), il 2016 (+270) e il 2017 (+348). Questo perché il settore idroelettrico negli ultimi 15 anni ha sperimentato una fase di forte crescita, spinta soprattutto dagli incentivi green che il governo ha stanziato per aumentare la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili. Tuttavia, va sottolineato che alla crescita in numero non è corrisposto un uguale incremento della potenza generata; ciò a causa del fatto che è diminuita la grandezza media degli impianti costruiti. La crescita media in potenza totale è stata dello 0,7%, dunque ben poca cosa. L’installazione di impianti di piccole dimensioni, il cosiddetto mini-idroelettrico, è iniziata nei primi anni Duemila, ed ha avuto un grande sviluppo nel corso degli ultimi lustri. La produzione media complessiva a livello nazionale è scesa da 8.4 megawatt per impianto di inizio secolo fino a circa la metà, a quota 4.4 nel 2018.

Fig.7: Piccolo corso d’acqua idoneo alla costruzione di un “mini-impianto”
https://www.logtogreen.it/mini-idroelettrico-energia-rinnovabile-a-basso-impatto-paesaggistico/

Il mini-idroelettrico di sicuro non garantisce altissimi tassi di produzione energetica. Nondimeno, offre dei vantaggi che non vanno ignorati, soprattutto in questa fase di transizione ecologica recentemente inaugurata dall’Italia. Innanzitutto, una centrale più piccola rispetto ad un grande impianto richiede investimenti contenuti e, quindi, assicura un veloce rientro del costo iniziale. Non bisogna dunque attendere svariati anni per “ammortizzare” i costi; già nel giro di poco tempo, infatti, il rapporto costo-beneficio relativo all’impianto sarà positivo[14]. In secondo luogo, una centrale più ridotta ha un minore impatto ambientale e paesaggistico. Ciò garantisce uno sfruttamento più sostenibile dell’ambiente, in linea peraltro con la nuova politica eco-friendly di Roma. In terzo luogo, il mini-idroelettrico consente di utilizzare anche corsi d’acqua modesti per produrre energia. Torrenti e piccoli fiumi, di cui il nostro Paese è oltremodo ricco per giunta, sono utilizzabili con risultati molto soddisfacenti[15].

La distribuzione sul nostro territorio degli impianti che usano l’energia cinetica dell’acqua per produrre energia non è uniforme. Come detto, la stragrande maggioranza della potenza installata si trova lungo le Alpi. A fine 2018 in Piemonte sono risultati registrati ben 930 impianti, corrispondenti a più di un quinto del totale e al 14,6% del dato nazionale in termini di potenza. Segue poi la Lombardia, con 661 impianti, che però si colloca al primo posto in assoluto in termini di potenza, con il 27,2%. E ancora, le province autonome di Trento e di Bolzano che, rispettivamente con 268 e 543 impianti, rappresentano insieme il 19,3% della potenza italiana. La classifica prosegue poi con Veneto (392 impianti e 6,2% della potenza), Valle d’Aosta (173 e 5,2%) e Friuli-Venezia Giulia (233 e 2,8%). Scendendo lunga la penisola, nella dorsale degli Appennini si distinguono invece l’Abruzzo, con soli 71 impianti ma il 5,4% della potenza nazionale, la Calabria (54 impianti e 4,1%) e l’Umbria (45 impianti e 2,8%). Infine, altri contributi non trascurabili arrivano da Lazio, Campania, Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna e Marche. Viceversa, Liguria, Molise, Puglia, Basilicata e Sicilia raccolgono invece nel complesso il 2,5% della potenza totale installata[16].

Secondo i dati raccolti dal GSE[17], alla fine del 2018 l’Italia aveva una potenza complessiva installata per l’idroelettrico pari a 18,94 gigawatt. Un valore che corrisponde più o meno al 35% della potenza nazionale da fonti green. In termini di energia prodotta, invece, sempre a fine 2018 il computo annuo per l’idroelettrico aveva raggiunto i 48,8 terawattora, pari a poco più del 15% del fabbisogno energetico nazionale e al 43% della produzione da fonti rinnovabili. Risultati certamente buoni ma inferiori a quanto ci si potrebbe concretamente aspettare. A pesare sono stati soprattutto i mancati investimenti pubblici in questo settore e il cinquantennio di sostanziale disinteresse verso l’idroelettrico. Da un punto di vista occupazionale, si stima che in Italia le persone impiegate nei green job relativi all’idroelettrico siano oltre 15.000. Di questi lavoratori, poco più di 6.000 si occupano direttamente della parte idraulica e gestionale, mentre altri 4.000 sono impiegati sul fronte elettrico. Il terzo rimanente, infine, è costituito da posti di lavoro indiretti, indotti dalla presenza delle centrali.

Conclusione

Come analizzato in questo report, l’Italia pone una grande attenzione nella produzione di energia tramite lo sfruttamento di renewables. In termini numerici, degli oltre 320 terawattora del fabbisogno elettrico annuale, più di un terzo arriva oggi da fonti rinnovabili, ovvero ben 110 terawattora, equivalenti a circa una decina di milioni di tonnellate di petrolio. Crescite rilevanti si sono osservate soprattutto nel settore fotovoltaico ed eolico. L’energia solare, con una quota parte del 20%, grazie in particolar modo alle recenti accelerazioni già osservate, ricopre un ruolo rilevante nel paniere delle rinnovabili. In prospettiva, il sole potrà essere presto scalzato dal vento, che al momento arriva al 16% ma mostra la tendenza di crescita più solida, anche a livello globale. Resta invece ancora residuale la componente geotermica, attualmente al 5%, mentre le bioenergie si attestano al 17%.

Il settore idroelettrico è ancora la fonte prediletta dal nostro Paese per la produzione di elettricità tramite combustibili non fossili. Come detto, il 43% di energia nell’intero panorama delle rinnovabili è generata tramite lo sfruttamento di risorse idriche; ciò è emblematico di quanto Roma ancora oggi basi gran parte della sua strategia energetica green sull’utilizzo dell’acqua. Per incrementare ulteriormente i già considerevoli tassi di energia idroelettrica, soprattutto alla luce del processo di transizione ecologica inaugurato dal nostro Paese, è auspicabile che questo settore torni ad essere oggetto di interesse e di investimenti. Preme sottolineare che, al fine di massimizzare le risorse idriche italiane, non è necessario la costruzione di altri grandi impianti o mega-dighe. I primi, come accennato, hanno alti costi iniziali e sono legati allo sfruttamento di grossi bacini fluviali o lacustri. Quanto alle dighe, soprattutto se di massicce dimensioni, vi è il concreto rischio di uno sfruttamento non sostenibile dell’ambiente e di un’alterazione permanente di ecosistemi e regioni.

Quale potrebbe essere, dunque, la strategia più corretta per un aumento produttivo sostenibile e relativamente economico dell’energia idroelettrica? Stando a vari studi[18], l’ammodernamento degli impianti già esistenti apporterebbe un considerevole incremento dell’energia prodotta a fronte di costi contenuti e basso impatto ambientale. Dato che buona parte dei grandi impianti italiani ha più di 70 anni di vita, oggi l’energia effettivamente ricavata risente inevitabilmente dei segni dell’età e del mancato ammodernamento delle strutture. Lavori di riqualificazione garantirebbero un rinnovamento degli impianti; anche solo con interventi manutentivi e piccole sostituzioni si stima che si possa far guadagnare già in pochi anni almeno 5.8 gigawatt di potenza e 4.4 terawattora di energia annua, con un risparmio di oltre 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica e la creazione di 2.000 ulteriori posti di lavoro (diretti e indiretti) per l’esecuzione degli ammodernamenti. Ciò farebbe incrementare l’elettricità prodotta dalle rinnovabili nel paniere energetico totale e innalzerebbe di 8/10 punti percentuali la quota dell’idroelettrico all’interno dell’universo green, passando dall’attuale 43% al 51-53%. Oltre a ciò, non si dimentichi l’importanza delle nuove tecnologie e della digitalizzazione, validissimi “alleati” in grado di rendere gli impianti più flessibili e longevi, sfruttando ad esempio la cd “manutenzione predittiva”.


[1] Il 37,5% dell’intero budget stanziato dall’Unione Europea è rivolto al finanziamento e alla promozione di progetti ecosostenibili. Ad onor del vero, si segnala che il 37% è la soglia minima voluta dalla UE; l’Italia, dunque, stanzia poco più del minimo richiesto dai vertici europei e si posiziona al di sotto della media continentale (40%). Per maggiori dettagli: https://www.iconaclima.it/italia/politiche/pnrr-italia-sotto-la-media-ue-per-le-risorse-destinate-alla-transizione-ecologica/.

[2] https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/italia

[3]L’incidente di Three Mile Island fu il più grave incidente nucleare avvenuto negli Stati Uniti d’America. Venne causato dalla parziale fusione del nocciolo nella centrale nucleare sull’omonima isola, nella Contea di Dauphin, in Pennsylvania, il 28 marzo del 1979.

[4]Qualcosa di molto simile si è verificato di recente anche in Germania, quando a seguito degli incidenti di Fukushima nel 2011 ben otto Tedeschi su dieci si sono dichiarati contrati alla produzione di elettricità attraverso l’atomo. 

[5]https://www.corriere.it/economia/opinioni/22_gennaio_11/caro-bollette-pregiudizi-gas-nucleare-carbone-gran-rifiuto-impossibile-per-ora-e3616826-71e0-11ec-b185-e6e7d7d180a3.shtml.

[6]Si fa riferimento, naturalmente, alle tecnologie più moderne incentrate, ad esempio, sulla tecnica della fusione nucleare. Tale metodo, a differenza della fissione, permetterebbe di generare elettricità con un minore impatto sull’ambiente vista la minor produzione di scorie radioattive difficili da smaltire. Per maggiori dettagli, si rimanda al seguente link: https://www.ilpost.it/2022/02/09/fusione-nucleare-jet/.

[7] https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/italia.

[8] Questi dati numerico-statistici sono frutto di uno studio effettuato da Legambiente (2020), consultabile al seguente link: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2020/06/rapporto-comunita-rinnovabili-2020.pdf.

[9] https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/italia.

[10] L’energia derivante dallo sfruttamento del vento aumenterà progressivamente. A livello mondiale si stima che, da qui al 2040, la capacità di catturare l’energia eolica possa aumentare di 15 volte, portando dunque il settore eolico a diventare, nella media globale, la fonte rinnovabile numero uno a disposizione dell’umanità. Per maggiori dettagli: http://www.fotovoltaicosulweb.it/guida/il-futuro-green-del-pianeta-risiede-nel-vento.html.

[11] https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/italia.

[12] https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/energia-idroelettrica/italia.

[13] I dati numerici degli impianti idroelettrici sono di GSE (Gestore Servizi Energetici) e sono consultabili a questo link: https://www.gse.it/documenti_site/Documenti%20GSE/Rapporti%20statistici/GSE%20-%20Rapporto%20Statistico%20FER%202018.pdf.

[14] I tempi di ammortamento di un investimento economico nel mini-idroelettrico si aggirano intorno ai 15-20 anni per gli impianti che hanno una potenza che va dai 10 e i 100 kW, mentre, per quelli con potenza inferiore ai 10 kW, i tempi di possono scendere anche sotto i 10 anni.

[15] https://www.logtogreen.it/mini-idroelettrico-energia-rinnovabile-a-basso-impatto-paesaggistico/.

[16] Questi dati sono frutto di uno studio effettuato da ENEL Green Power, che è reperibile al seguente link: https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/energia-idroelettrica/italia.

[17]https://www.gse.it/documenti_site/Documenti%20GSE/Rapporti%20statistici/GSE%20-%20Rapporto%20Statistico%20FER%202018.pdf.

[18] Tra i vari studi sull’argomento si segnala quello di Althesys dal titolo L’idroelettrico crea valore per l’Italia. Di seguito il link del sito: https://www.althesys.com. 

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