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L’innovazione tecnologica israeliana al servizio dell’efficienza idrica. Un esempio da seguire

Febbraio 15, 2023

* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito Israel Hayom, consultabile al seguente link: https://www.israelhayom.com/2019/07/21/un-showcases-israels-innovations-in-water-agriculture-technology/

In un territorio in gran parte desertico come quello mediorientale, dove l’acqua è considerata a tutti gli effetti un bene più prezioso dell’oro, la gestione delle risorse idriche racchiude un valore strategico enorme. Israele, tra le nazioni più tecnologicamente avanzate del mondo, ha ormai da molti anni affidato alla tecnologia il destino del proprio approvvigionamento idrico. I risultati sono sbalorditivi. Oggi Tel Aviv non solo non ha più problemi di water scarcity, ma è anche in grado di utilizzare le ampie risorse idriche di cui dispone come strumento diplomatico per accrescere la propria influenza nella regione. Non è un dato così scontato, dal momento che molte altre nazioni mediorientali sono alle prese con serie e persistenti crisi idriche. Giordania, Libano e Siria, ad esempio, localizzate alle stesse latitudini di Israele, sono molto lontani dall’ottenere gli stessi livelli di water security raggiunti dallo Stato ebraico. Damasco, in particolare, soffre ciclicamente di stress idrico a vari livelli. Secondo alcuni studi, questa caratteristica è stata alla base dei disordini che hanno portato alla guerra civile scoppiata nel 2011[1], ancora oggi non del tutto risolta soprattutto nelle propaggini settentrionali della nazione araba.

Un’accorta e proficua gestione dell’acqua ha risvolti soprattutto sociali, non solo economici e produttivi. Essendo il bene primario per eccellenza, indispensabile per qualunque forma di vita, l’acqua rappresenta l’elemento cardine per qualunque comunità. Nazioni povere di risorse idriche, oltre ad avere performances economiche non eccellenti, sono sottoposte a disordini sociali ricorrenti[2], acuiti spesso da crisi ambientali causate proprio dalla mancanza di acqua. Viceversa, Paesi che possono vantare un efficiente sistema di distribuzione e approvvigionamento idrico – come appunto Israele – solitamente hanno alti tassi di stabilità interna e notevoli economie di sviluppo. Questo perché, tra le altre cose, l’acqua entra praticamente in ogni processo produttivo, dal comparto industriale a quello della ristorazione, fino ad arrivare a settori chiave di una nazione come, ad esempio, la sanità o la produzione di energia.

In questo report si metteranno in luce le strategie idriche israeliane con particolare focus sul ruolo giocato dalla tecnologia per garantire a Tel Aviv uno dei sistemi più efficienti non solo del Medio Oriente ma anche sulla scena globale. Si evidenzieranno, inoltre, alcune aziende hi-tech specializzate in vari ambiti, dalla desalinizzazione all’irrigazione a goccia, dal trattamento delle acque reflue alla raccolta della rugiada per scopi irrigui. L’esempio rappresentato da Israele, che nel tempo ha, di fatto, creato un “giardino dal deserto”, può e deve essere seguito da altre nazioni che si trovano a gestire pericolosi casi di stress idrico.

Israele e il Water Supply Dilemma (WSD)

La questione relativa all’approvvigionamento idrico di Israele ha rappresentato un dilemma di non facile risoluzione ancor prima che lo Stato ebraico venisse alla luce. Già nel 1902, lo scrittore Theodor Herzl teorizzava nella sua storica opera Altneuland (La Nuova Terra) la creazione di un audace piano per il trasporto di grandi quantitativi di acqua nel deserto dell’allora Palestina, a quei tempi Vilayet ottomano[3]. Herzl proponeva, sostanzialmente, di prelevare l’acqua del fiume Giordano per scopi irrigui e di approvvigionamento. Le ridotte capacità tecnologiche di quell’epoca impedirono che questo piano venisse realizzato. Tuttavia, l’esigenza di aumentare le risorse idriche in quel territorio trovò sempre più aderenti. Trentacinque anni dopo, nel 1937 – quindi, alla vigilia della Seconda Guerra mondiale e oltre un decennio prima della fondazione dello Stato d’Israele – venne creata un’azienda specializzata nel settore idrico: Mekorot. Quest’ultima è attualmente la compagnia idrica nazionale di Israele e la principale agenzia del Paese per la gestione dell’acqua. Mekorot fornisce a Tel Aviv il 90% di acqua potabile e gestisce una rete di approvvigionamento idrico attraverso tutto il territorio tramite il cosiddetto National Water Carrier (NWC). Oltre a ciò, si segnala che Mekorot ha un riconosciuto profilo internazionale, visto che le sue filiali hanno collaborato con numerosi Paesi in tutto il mondo in settori quali la desalinizzazione, la potabilizzazione e impianti di approvvigionamento idrico[4].

Fig. 1: Logo di Mekorot, la compagnia idrica nazionale di Israele
https://www.mekorot-int.com/

La grande attenzione posta nei riguardi del cosiddetto Water Supply Dilemma (WSD) – come detto, ancor prima che Israele nascesse come nazione – testimonia una visione strategica lungimirante da parte dei leader del futuro Stato ebraico. Alle caratteristiche desertiche del territorio, infatti, si sommava il crescente numero di persone di origine ebraica che, a partire dagli ultimi due decenni del Diciannovesimo secolo, iniziarono ad affluire in Palestina. Si trattava del fenomeno denominato Aliyah, ovvero l’immigrazione ebraica nella terra di Israele, causata dall’aumento dei pogrom e della crescita del nazionalismo antisemita in varie parti d’Europa. Nel giro di pochi anni, centinaia di migliaia di persone si stabilirono in quell’area, causando inevitabilmente dei problemi logistici. Un maggior numero di persone automaticamente favoriva lo stress idrico in una regione che già soffriva endemicamente di crisi legate all’approvvigionamento d’acqua.

Dunque, da un punto di vista idrico, la questione demografica ha rappresentato fin dagli albori del moderno Stato ebraico un aspetto centrale per le autorità, che hanno dovuto fare i conti con tassi crescenti di popolazione stanziata su un territorio perlopiù arido. Ancora oggi, la demografia israeliana – dinamica e in forte crescita – obbliga Tel Aviv ad aumentare anno dopo anno la disponibilità di acqua per i propri residenti. A tal riguardo, si consideri qualche dato. Con una crescita del 2 % annuo, la popolazione israeliana conosce il più forte incremento demografico nel cosiddetto “mondo sviluppato”. Se il tasso di natalità si manterrà costante, l’Ufficio centrale di statistica israeliano calcola che nel giro di trent’anni si potrebbero raggiungere i 17,6 milioni di abitanti, quasi il doppio degli odierni 9 milioni[5]. In sostanza, entro il 2050, Israele potrebbe diventare un Paese più inquinato, densamente popolato e con molti meno spazi aperti. Secondo uno studio preparato da Tzafuf [6], il Forum nazionale per la popolazione, il numero di famiglie israeliane raddoppierà e continuerà a crescere nell’arco dei prossimi 45 anni[7].

Fig. 2: Crescita demografica israeliana dal 1948 al 2020
https://www.jewishvirtuallibrary.org/graph-of-israeli-population-growth

Se l’attuale tendenza demografica si confermasse nel tempo, le sfide idro-logistiche che le autorità di Tel Aviv dovrebbero affrontare sarebbero a dir poco impegnative. Il ritmo di costruzione degli alloggi nel 2040-2050 è destinato a crescere esponenzialmente, dal momento che Israele dovrà edificare in quel decennio il doppio degli appartamenti rispetto a quelli costruiti nel periodo 2010-2020. Inoltre, con l’attuale tasso di natalità, l’Ufficio centrale di statistica prevede che si perderà circa il 10 % degli spazi aperti entro la metà del secolo, dal momento che i terreni saranno necessari per abitazioni, infrastrutture e impianti di trasformazione dell’energia solare su larga scala.

Per far fronte all’amento vertiginoso della sua popolazione, Israele dovrà provvedere dunque ad incrementare la produzione di elettricità, a costruire più strade, scuole, ospedali e quant’altro. Parimenti, anche da un punto di vista idrico si stima che le necessità cresceranno altrettanto cospicuamente. Stando alle previsioni di Calcalist, giornale economico israeliano, il consumo di acqua passerà dagli attuali 2.200 milioni di m³ all’anno a oltre 3.500 milioni di m³ se la fertilità si ridurrà drasticamente, a 4.000 milioni di m³ in caso di contrazione lieve e 4.500 se non interverranno cambiamenti[8]. In ogni caso, quindi, il consumo idrico nazionale con molta probabilità aumenterà nettamente nel prossimo futuro. Contestualmente, inoltre, la disponibilità di acqua in natura dovrebbe ridursi alquanto a causa dei cambiamenti climatici[9]. A tal riguardo, mentre il resto del mondo sta cercando di evitare un aumento della temperatura di 1,5 gradi centigradi, si prevede che il Medio Oriente vedrà un aumento di ben 4 gradi. Gran parte di questa regione diventerà sostanzialmente quasi invivibile durante il lungo e torrido periodo estivo. In quest’ottica, alcuni studi presentati dall’Università di Tel Aviv indicano che in Medio Oriente, entro la fine di questo secolo, i mesi estivi aumenteranno del 50%, con previsioni di precipitazioni in calo fino al 40%.

Ecco quindi che, alla luce di fenomeni demografici in crescita e delle criticità ambientali sempre più persistenti, l’approvvigionamento idrico assume una centralità strategica assoluta per pianificare la gestione non solo dell’economia ma anche della società israeliana del futuro.

Israele e lo stress idrico: una battaglia vinta

Attualmente, Israele produce il 20 % di acqua in più di quella che necessita. Si tratta di un risultato davvero impressionante, raggiunto dopo decenni di ricerca, progettualità e investimenti. È lo è ancor di più se si tiene presente che, ancora oggi, circa quattro miliardi di persone sperimentano quotidianamente casi di grave water scarcity a causa di vari fattori, tra cui la crisi climatica, l’innalzamento delle temperature ad essa collegata e l’inquinamento idrico[10].

Fin dai primi anni di vita, lo Stato ebraico poté contare su una robusta azienda specializzata nella costruzione di reti idriche. La già citata Mekorot, infatti, a partire dai primi scorci del 1948 iniziò a irrorare del prezioso “oro blu” i quattro angoli della piccola nazione mediorientale tramite il già menzionato National Water Carrier, completato nel 1964, poco tempo dopo la fondazione di Israele. Questa rete di trasporto idrico venne progettata per pompare l’acqua dal lago Kinneret (Lago di Tiberiade) e trasferirla con l’ausilio di infrastrutture idriche regionali ai territori centrali e meridionali, come si evince in Fig. 3. Tuttavia, la popolazione del giovane Stato non faceva che aumentare, spinta sia dagli alti tassi di fertilità delle donne israeliane, sia dalla costante migrazione che continuava a fare affluire con regolarità nuovi residenti da varie parti del mondo. Oltre a ciò, si consideri che circa l’80% dell’acqua trasportata dal NWC veniva destinata all’agricoltura, attività che ancora oggi rappresenta la destinazione prediletta per le risorse idriche in tutto il mondo. Stando a vari studi, infatti, il settore agricolo è destinatario di oltre il 70% dell’acqua dolce di cui gli esseri umani si servono.

Il National Water Carrier, in sostanza, da solo non era in grado di soddisfare le esigenze idriche di Israele. La soluzione venne trovata grazie all’intuizione di Simcha e Yeshayahu Blass che, a partire dal 1959, iniziarono a sviluppare una tecnica irrigua che avrebbe rivoluzionato l’impiego di acqua nel settore agricolo: la cosiddetta drip irrigation, ovvero l’irrigazione a goccia[11]. Dunque, cinque anni prima del completamento del NWC, i Blass individuarono un metodo per ridurre drasticamente l’utilizzo di acqua destinata per scopi irrigui e, quindi, destinare crescenti quantitativi idrici all’approvvigionamento civile, uno dei principali obiettivi di Israele in quegli anni.

Nel 1965, i due decisero di esportare la loro idea su scala nazionale fondando Netafim, azienda che sarebbe diventata nel tempo un player globale di assoluto livello per quanto riguarda la produzione e commercializzazione di tecnologie irrigue. Oggi, la drip irrigation viene usata per circa il 75% nei terreni agricoli israeliani, contro un magro 5% a livello mondiale.

L’irrigazione a goccia non è stata l’unica tecnica utilizzata per alleviare lo stress idrico israeliano. Furono diverse, infatti, le idee che vennero alla luce per utilizzare in maniera più efficace le modeste riserve d’acqua dolce di cui Tel Aviv poteva disporre. Molto sapientemente, a partire dagli anni Ottanta, alcuni ingegneri iniziarono a lavorare su come sfruttare fonti idriche precedentemente considerate inutilizzabili, come le acque reflue. A questo proposito, nel 1985 Israele iniziò ad inviare le acque reflue, che venivano trattate e rese riutilizzabili, attraverso il suo vettore idrico nazionale (NWC) alle fattorie, riducendo notevolmente il divario tra la domanda dei consumatori agricoli e l’acqua disponibile. Alla base di questo approccio vi era l’obiettivo di servirsi del riciclo come strumento per aumentare la risorsa per l’agricoltura senza intaccare le riserve per l’approvvigionamento civile. Si è trattato di un approccio decisamente vincente, dal momento che attualmente Israele usa quasi il 90% dell’acqua riciclata per scopi agricoli[12] ed ha l’obiettivo di arrivare al 95% entro il 2025. Per fare un raffronto, il Paese che più si avvicina a questi dati, si fa per dire, è la Spagna con il 17% dell’acqua riciclata destinata all’irrigazione.

Con un afflusso giornaliero di circa 470.000 m³ di acque reflue grezze, l’impianto di Shafdan è il più grande impianto di trattamento delle acque reflue di Israele; fornisce ogni anno circa 140 milioni di m³ di acqua pulita e recuperata alle fattorie del deserto del Negev per l’irrigazione. Concretamente, più del 60% dell’agricoltura nel Negev è fornita solo dall’impianto di Shafdan. Inoltre, l’Organizzazione Israeliana per lo Sviluppo Verde (KKL-JNF) ha costruito 230 serbatoi che immagazzinano acque reflue trattate per uso agricolo. Ogni anno, questi serbatoi aggiungono fino a 260 milioni m³ di acqua alle riserve idriche di Israele. Il KKL-JNF ha anche istituito diversi progetti di fitodepurazione e biofiltri, in cui le piante rimuovono quasi il 100% degli agenti inquinanti dal deflusso delle acque piovane urbane per consentire una fonte aggiuntiva di acqua non potabile ma utilizzabile per l’irrigazione agricola.

Fig. 4: Impianto di trattamento delle acque reflue di Shafdan
https://www.mekorot-int.com/blog/project/shepdan/

Se l’irrigazione a goccia ha rivoluzionato le tecniche irrigue consentendo un sostanzioso risparmio della risorsa e se il riciclo delle acque trattate ha incrementato la disponibilità idrica israeliana, la desalinizzazione ha consentito alla piccola nazione mediorientale di affrancarsi del tutto dal fenomeno della water scarcity che per anni aveva comunque attanagliato Israele. Attualmente, l’acqua dissalata gioco un ruolo fondamentale nel rifornire di preziose risorse il paniere idrico di Tel Aviv. Le operazioni di costruzione degli impianti iniziarono sul finire del vecchio millennio, quando, precisamente nel 1999, il governo israeliano avviò un programma di desalinizzazione incentrato sull’osmosi inversa dell’acqua di mare. Israele credette fin da subito in questo progetto, tanto da avviare nel giro di poco tempo la costruzione di cinque impianti di desalinizzazione su larga scala che divennero  operativi nel giro di poco tempo: l’impianto di Ashkelon (2005) in grado di produrre 118-120 milioni di m³ di acqua potabile all’anno; Palmachim (2007), che oggi produce annualmente 90-100 milioni di m³ di acqua; Hadera (2009) in grado di produrne 127, Sorek (2013) che produce 150 milioni di m³ di acqua all’anno e Ashdod (2015), che produce ogni dodici mesi 100 milioni di m³ di acqua dissalata.

Oltre a queste cinque infrastrutture, Israele ha avviato di recente la costruzione di altri due impianti di desalinizzazione, uno dei quali dovrebbe essere operativo entro il 2023. Secondo alcuni studi, queste nuove frecce nella faretra idrica israeliana avranno una capacità combinata di 300 milioni di m³ l’anno. Al completamento del settimo impianto, l’acqua desalinizzata coprirà fino al 90% il consumo annuale di acqua municipale e industriale dello Stato ebraico. L’obiettivo a cui puntano le autorità è quello di produrre circa 1,1 miliardi di m³ d’acqua desalinizzata all’anno. Si tratta di un risultato davvero impressionante, ottenuto dopo anni di grande sacrificio, lavoro e pianificazione. Non si scordi, infatti, che solo fino a 15 anni fa, nonostante la visione lungimirante dei propri leader e la costante attenzione dedicata all’approvvigionamento idrico, Israele era alle prese con una gravissima siccità[13]. Durata quasi un decennio, quest’ultima ha “bruciato” tutto il Medio Oriente, fino a lambire le propaggini occidentali della Mezzaluna Fertile. Tra il 2010 e il 2015, la maggiore fonte di acqua dolce di Israele, il Lago di Tiberiade, scese quasi al limite della cosiddetta “linea nera”, dove un’infiltrazione di sale avrebbe inondato il lago, danneggiandolo in maniera quasi irreparabile. 

Similmente, anche in altre zone del Medio Oriente la grave siccità del 2008 causò enormi disagi. Ad esempio, quando la situazione si è acuita, facendo sostanzialmente sprofondare il livello freatico, gli agricoltori della Siria lo hanno, per così dire, inseguito, trivellando pozzi di 100, 200, poi 500 metri di profondità in una letterale caccia alle falde sotterranee. Alla fine, i pozzi si sono prosciugati e la coltivazione agricola in Siria è collassata in un’epica tempesta di sabbia. Più di 1 milione di agricoltori si sono ammassati in baraccopoli nei sobborghi di Aleppo, Homs, Damasco e altre città, in un futile tentativo di trovare lavoro. Simili storie si svolsero in tutto il Medio Oriente, dove la siccità e il collasso agricolo hanno prodotto una “generazione perduta”, senza prospettive e con un forte risentimento. L’Iran, l’Iraq e la Giordania, nello specifico, hanno affrontano analoghe catastrofi idriche, in cui la mancanza d’acqua ha spinto l’intera regione in una spirale di gravi disagi.

Fig. 5: Assottigliamento delle risorse idriche pro capite nel corso degli anni nei Paesi arabi
https://www.mei.edu/publications/climate-change-middle-east-faces-water-crisis

Oggi, almeno per ciò che concerne Israele, la situazione si è del tutto capovolta. Come detto, infatti, grazie ad una diversificata strategia di approvvigionamento idrico, Tel Aviv è in grado di produrre più acqua di quella che necessita. Proprio il Lago di Tiberiade, principale riserva di acqua dolce del Paese, è l’emblema di questa nuova era di abbondanza d’acqua che caratterizza lo Stato ebraico. Nel 2018, ultimo anno della decennale siccità, il lago sulle cui acque (secondo il racconto di alcuni Vangeli) camminò Gesù[14], si stava letteralmente prosciugando. I suoi affluenti, tra cui il fiume Giordano, apportavano sempre meno acqua e quella che affluiva conteneva sempre più molecole saline, pericolose per la salute biologica del lago. Con una superficie di 166 km², il Kinneret – secondo la dicitura ebraica – ha la particolarità di essere a oltre 200 metri sotto il livello del mare. Ciò rende tutto il bacino lacustre estremamente umido, condizione che facilità il fenomeno dell’evaporazione dell’acqua. Dunque, il combinato disposto rappresentato dalla siccità, dall’abbassamento del livello delle acque, dall’aumento della componente salina e dall’evaporazione stava rapidamente mettendo a rischio la tenuta idro-ambientale del Lago di Tiberiade[15].

Per risolvere questo spinoso problema, pochi anni fa il governo di Tel Aviv elaborò una strategia rivoluzionaria, basata sul pompaggio di acqua desalinizzata direttamente nel lago tramite un canale artificiale. Questo progetto, dal costo di 900 milioni di shekel (240 milioni di euro), ha l’obiettivo di mantenere costante il livello dell’acqua del lago soprattutto durante i periodi di siccità. Mekorot ha sovrinteso la costruzione di una conduttura sotterranea di 13 km che connette il lago all’infrastruttura a sua volta collegata agli altri cinque impianti di desalinizzazione situati sulla costa mediterranea. L’acqua desalinizzata viene, poi, convogliata nel fiume Tzalmon, che si getta direttamente nel lago di Tiberiade, vicino al kibbutz Ginosar sulla sponda nord-occidentale, garantendo costantemente una fonte di approvvigionamento al bacino lacustre.

Implicazione strategiche della tecnologia israeliana al servizio del comparto idrico

Senza dubbio, l’alta tecnologia è la principale ragione alla base del successo di Israele in campo idrico. Ciò ha degli importanti risvolti strategici che vale la pena sottolineare. Innanzitutto, la disponibilità di uno stock di risorsa idrica certo, indipendentemente dalle condizioni climatiche sempre più instabili nella regione mediorientale, consente a Tel Aviv di realizzare una politica industriale al riparo da casi di water scarcity. Ciò genera delle ricadute positive sia a livello economico sia in fase di progettazione. Una volta messo in sicurezza l’approvvigionamento e quindi, non dovendo più usare un approccio emergenziale alla questione “acqua”, Tel Aviv ha posto le basi per espandere tecnologicamente il proprio know-how idrico ancora di più. A tal proposito, sono molte le aziende israeliane che hanno ideato delle tecniche ardite per trovare, conservare e utilizzare il prezioso “oro blu” nelle sue variegate forme. In questa sede, si porrà l’accento su Asterra e Tal – Ya, due realtà imprenditoriali di grande successo capaci di immaginare nuovi modi per ottimizzare l’uso dell’acqua.

Fig. 6: Logo di Asterra
https://asterra.io/
Fig. 7: Logo di Tal – Ya
http://www.tal-ya.com/

Asterra, nata inizialmente con il nome di Utilis, si occupa di effettuare delle rilevazioni satellitari finalizzate alla scoperta di serbatoi idrici sotterranei. Creata nel 2013 da Lauren Guy, giovane imprenditore con una formazione da geofisico, questa azienda si era inizialmente specializzata nello studio della superficie marziana alla ricerca di depositi di ghiaccio nel sottosuolo del Pianeta Rosso. Dopo aver riscontrato un certo successo, Guy decise di riconvertire parzialmente, ma non teleologicamente, il modello di business aziendale e di dedicarsi alla ricerca di acqua sulla Terra, molto più vicina e altrettanto bisognosa di risorse idriche. La tecnologia che aveva sviluppato per operare su Marte, situato a diversi milioni di km dal nostro pianeta, poteva essere tranquillamente utilizzata per gli stessi identici scopi sulla superficie terrestre. Un sistema incentrato sull’uso dell’intelligenza artificiale applicata ad un algoritmo ad hoc, consente di rivelare la presenza del prezioso liquido senza effettuare trivellazioni alla ricerca di falde freatiche o artesiane. Chiaramente, le implicazioni strategiche che questa azienda può offrire nei confronti di Paesi alle prese con crisi idriche sono molteplici. Si va dagli elevati tassi di successo nella ricerca di acqua sotterranea, al contenimento dei costi per effettuare delle rilevazioni fisiche – che possono essere proficue se si trovano delle falde, ma anche infruttuose – fino ad arrivare al rispetto dell’ambiente, sottoposto a minimi disagi vista l’alta tecnologia che Asterra mette a disposizione.

Nel 2016, l’azienda aggiunse un’altra importante attività di business: il rilevamento delle perdite nei sistemi idrici sotterranei, che è poi progressivamente diventata l’applicazione primaria utilizzata commercialmente da Asterra. Da un satellite in orbita, una banda dello spettro radio “penetra” nella superficie terrestre e, attraverso un algoritmo messo a punto per rilevare l’acqua underground, è in grado di rilevare le perdite sotterranee fino a 0,5 litri al minuto. Le perdite dalle tubazioni sotterranee, oltre a rappresentare un gravissimo danno per gli acquedotti, impiegano in media 18 mesi per affiorare e, quando lo fanno, notevoli volumi d’acqua vengono irrimediabilmente persi. Asterra stima che quasi 64 miliardi di litri d’acqua in tutto il mondo vengano sprecati ogni giorno a causa delle perdite. L’azienda fondata da Guy utilizza una serie di tecnologie di intelligenza artificiale per analizzare i sistemi di tubazioni obsoleti e fornire dati di monitoraggio ai gestori del settore idrico per affrontare i problemi di manutenzione. Si tratta di una tecnologia davvero all’avanguardia frutto di tecniche aerospaziali di assoluto livello. A questo proposito, un paio di anni fa nel 2021, Utilis ha deciso di modificare il nome commerciale proprio in “Asterra”, da Astra, denominazione latina di “stelle”, Asterion, la divinità fluviale greca, e Terra, il nostro pianeta[16].

L’altra realtà su cui è interessante soffermarsi è Tal – Ya, impresa israeliana che ha ideato un sistema di irrigazione che funziona con la rugiada. Non troppo dissimile dall’idea che ha portato alla creazione della drop irrigation, la Tal – Ya Water Technologies ha concepito un nuovo prodotto che permette di comprimere la rugiada dall’aria consentendo l’innaffiatura di raccolti risparmiando preziosi quantitativi idrici. Da un punto di vista tecnico, la procedura è la seguente: viene collocato sul terreno un vassoio seghettato quadrato realizzato con un tipo di plastica speciale. Il vassoio (che non è usa e getta) ha un foro centrale per far sì che la pianta si possa sviluppare. La caratteristica della riutilizzazione è data dal fatto che sono costruiti con plastica non-PET riciclata e riciclabile con filtri UV addizionati con calcare; ciò impedisce all’apparecchio di degradarsi al sole o dopo l’applicazione degli antiparassitari o dei fertilizzanti. Un sostegno di alluminio aiuta i vassoi a adattarsi a possibili escursioni termiche fra la notte ed il giorno.

Questa tecnica a dir poco ingegnosa risale, in realtà, a diversi secoli fa. Gli antichi Israeliti utilizzavano delle speciali pietre calcaree per cercare di raccogliere la rugiada dall’aria, con risultati interessanti anche se modesti. Di rado, infatti, queste pietre erano in grado di raccogliere quantitativi elevati di risorsa. Al massimo, si poteva ottenere acqua a sufficienza per dissetare una manciata di individui. Attualmente, con le intuizioni di Tal – Ya e le moderne tecnologie esistenti, si può raccogliere molta più risorsa da destinare anche a scopi irrigui. Anche in questo caso, dunque, i benefici ambientali ed economici sono notevoli per i fruitori finali di questa tecnica, sia da un punto di vista dei moderati impatti ecologici, sia in chiave del contenimento dei costi.

Oltre ai vantaggi sul settore privato, il prezioso know-how tecnologico che Israele ha saputo costruirsi nel corso di questi decenni ha dei risvolti strategici sul piano nazionale e sotto il profilo della cosiddetta idro-diplomazia. L’alta produzione di acqua tramite i già menzionati impianti di desalinizzazione consente a Tel Aviv di gestire un surplus idrico che può essere usato in via negoziale con altre nazioni mediorientali, spesso alle prese con crisi idriche. In quest’ottica, è interessante studiare i rapporti idro-diplomatici tra Giordania e Israele. Questi due Paesi, bisognosi rispettivamente di acqua ed energia, hanno di recente trovato un accordo – denominato Israel / Jordan Peace Treaty – sulla fornitura reciproca di risorse considerate indispensabili ai fini della crescita economica e tenuta sociale di entrambi. Sostanzialmente, secondo il trattato, Tel Aviv venderà acqua in cambio di energia solare, abbondante in Giordania vista la sua ampia superficie desertica. Una volta entrato pienamente in vigore, l’accordo tra le due nazioni mediorientali potrebbe diventare un vero e proprio punto di svolta per l’intera regione. Israele otterrebbe molta energia rinnovabile a un costo inferiore, con il risultato di una rafforzata cooperazione regionale. La Giordania, dal canto suo, raggiungerebbe la sicurezza idrica attraverso l’acquisto di acqua desalinizzata israeliana e diventerebbe un importante esportatore di energia verde. In questo progetto sono coinvolti anche gli Emirati Arabi Uniti, che finanzierebbero la costruzione di centrali solari in Giordania in vista dell’ottenimento dell’energia da trasferire a Israele[17].

I risvolti economici per tutte le parti coinvolte sarebbero molto significativi. Stando al centro studi EcoPeace, entro il 2050 la Giordania, fornendo circa il 20% del fabbisogno energetico di Israele, aumenterebbe il proprio Pil del 3-4% su base annua, oltre ad acquistare acqua desalinizzata del Mediterraneo in quantità. Per quanto riguarda Israele, i vantaggi economici ed energetici sarebbero altrettanto positivi. Amman oggi produce elettricità tramite lo sfruttamento del sole a meno di 3 centesimi al chilowattora, mentre in tutto lo Stato ebraico l’elettricità viene venduta a 10 centesimi al chilowattora o più. Di fatto, dunque, l’energia solare giordana non solo è più sostenibile, ma anche molto più economica. Tra l’altro, la Giordania, non avendo un agevole accesso all’acqua di mare per la desalinizzazione – con il suo unico punto sul mare situato lontano dalla sua capitale e dai principali centri abitati – per portare acqua desalinizzata dal Mar Rosso spende da tre a quattro volte in più del costo che Israele sostiene per pompare acqua desalinizzata dalla costa mediterranea[18]. In sostanza, dunque, questo accordo idro-diplomatico è la classica win-win situation che soddisfa pienamente tutte le parti coinvolte.

Conclusione

Alla luce di quanto analizzato in questo report, Israele oggi può facilmente essere considerata come una vera e propria potenza idrica. L’efficienza del suo comparto tecnologico, all’avanguardia sotto moltissimi profili, garantisce a Tel Aviv non solo la sicurezza idrica ma anche un notevole surplus di risorsa che, come abbiamo visto, viene a tutti gli effetti utilizzata in alcune strategie di politica estera dello Stato ebraico. A questo proposito, è interessante notare l’approccio di sviluppo regionale integrato che da anni ormai Israele propone. Sul modello rappresentato dall’Unione Europea – venutasi a costituire prima come una comunità economica incentrata sulla gestione comune del carbone e dell’acciaio (aprile 1951) e poi progressivamente divenuta una federazione di Stati legati da rapporti istituzionali molto stretti – Tel Aviv ritiene che l’aumento degli scambi economici tra nazioni mediorientali possa favorire pace e stabilità nella regione. A questo proposito, l’acqua gioca un ruolo determinante vista la sua alta domanda in molte regioni del Medio Oriente. Potendo contare su molta risorsa, Tel Aviv è in grado di proporre scambi che favoriscano un’integrazione sempre più forte tra i Paesi con cui confina. Al posto del carbone e dell’acciaio, la comunità economica a cui puntano gli Israeliani si baserebbe sullo scambio di acqua ed energia.

Al netto degli alti benefici che la tecnologia ha apportato al settore idrico di Israele, non si può fare a meno di sottolineare qualche criticità. Ad esempio, in merito all’alta produzione di acqua dissalata, punta di diamante del comparto idrico israeliano, non sono mancate nel corso del tempo alcune critiche da parte dei più scettici. Ad esempio, non è stato visto in maniera favorevole l’alto consumo di combustibili fossili necessari per produrre tanta acqua dissalata. Ancora, è stato criticato il progetto di far affluire acqua desalinizzata nel lago di Tiberiade al fine di scongiurare la progressiva erosione delle sue acque. A sostegno di questa tesi, alcuni esperti hanno sostenuto che, anche se scevra dalla propria componente salina, l’acqua immessa nel lago apporterebbe dei gravi danni biologici all’ecosistema lacustre.

Entrambe le critiche sono state respinte. I combustibili fossi, usati in quantità durante i primi anni di operatività degli impianti, sono oggi sempre meno necessari grazie alla produzione di energia solare che alimenta anche le centrali di desalinizzazione. A tal proposito, uno dei motivi che ha spinto Tel Aviv a stipulare l’accordo idro-energetico con la Giordania attiene proprio all’immissione di energia pulita nel paniere israeliano per continuare a produrre acqua dissalata con impatti ambientali sostenibili. Inoltre, in merito alla critica relativa all’acqua immessa nel lago di Tiberiade, altri esperti hanno ribadito che la differenza biologica tra le due acque esiste ma è minima. E, inoltre, la sopravvivenza ecologica del lago ha la priorità rispetto a modifiche biologiche di modesta entità. Questo bacino idrico, infatti, non è solo molto rilevante per Israele, ma rappresenta un’importante fonte di approvvigionamento per la Siria e il Libano[19].

Israele ormai da molti anni ha risolto uno dei suoi principali dilemmi, ovvero la lotta all’insicurezza idrica. Certamente, sono molte le prove che i leader dello Stato ebraico devono ancora affrontare e cercare di risolvere, soprattutto in merito alla costante tensione che aleggia non solo all’interno dei propri confini ma, soprattutto, nel contesto regionale mediorientale. Tuttavia, l’abbondanza di acqua, ottenuta dopo molti decenni di sacrifici e innovazione, di cui dispone oggi Tel Aviv può essere considerato come un vero e proprio vantaggio strategico determinante. La grande disponibilità di risorse idriche assicura ad Israele, per lo meno da un punto di vista teorico, un futuro di sviluppo e crescita sociale ed economica non riscontrabile in tutto il Medio Oriente.

Bibliografia:

Articoli accademici

  • Maurus Reinkowski, Late Ottoman Rule over Palestine: Its Evaluation in Arab, Turkish and Israeli Histories, 1970-90, in “Middle Eastern Studies”, Vol. 35, No. 1, 1999, pp. 66-97.
  • Mesfin Mekonnen & Arjen Y. Hoekstra, Four billion people facing severe water scarcity, in “Sciences Advances”, Vol. 2 Issue 2, 2016, pp. 1-7.
  • Peter H. Gleick, Water, Drought, Climate Change, and Conflict in Syria, in “Weather, Climate, and Society”, Vol. 6, No. 3, 2014, pp. 331-340.
  • Pola Lem, Could a Lack of Water Cause Wars? Water scarcity poses a greater risk of turmoil under global warming, in “Scientific American”, 2016. 
  • Shahzaib Ahmad et. al., Impact of water insecurity amidst endemic and pandemic in Pakistan: Two tales unsolved, in “Annals of Medicine and Surgery”, Vol. 81, 2022.
  • David Katz and Arkady Shafran, Water-Energy Nexus: A Pre- Feasibility Study for Mid-East Water-Renewable Energy Exchanges, in “EcoPeace” – Middle East and Konrad Adenauer Stiftung, novembre 2017.

Periodici e quotidiani

  • Abigail Klein Leichman, Turn the Flood inot a Drip. Urges Netafim CEO, in “Israel21c”, 13 aprile 2022.
  • Cristina Bufi Poecksteiner, Israele, una delle nazioni più aride del mondo, adesso sta traboccando d’acqua, in “Global Voices”, 11 gennaio 2019.
  • Christophe Lafontaine, Demografia, in trent’anni Israele raddoppia, in “TerraSanta.net”, 29 giugno 2021.
  • Lior Novik, Israel has built an exceptional, resilient water economy, in “The Jerusalem Post”, 12 agosto 2022.
  • Max Kaplan-Zantopp, How Israel used innovation to beat its water crisis, in “Israel21c”, 28 aprile 2022.
  • Max Kaplan-Zantopp, The Steps Israel must Take to Avoid a Future Water Crisis, in “Israel21c”, 12 maggio 2022.
  • Melanie Lidman, Plan to pump desalinated water to Sea of Galilee may open diplomatic floodgates, in “The Times of Israel”, 27 giugno 2019
  • Paolo Castellano, Cresce la popolazione di Israele. Oltre i 9 milioni alla vigilia di Yom HaAtzmaut, in “BET. Magazine Mosaico – Sito Ufficiale della Comunità Ebraica di Milano”, 14 aprile 2021.
  • Rena Lenchitz, Israel Leads World In Wastewater Reclamation, But Solution Is Not Perfect, in “No Camels”, 30 agosto 2021.
  • Thomas Coex, Si sta seccando il lago più famoso dei Vangeli, in “Il Post”, 1 dicembre 2018.
  • Yuval Azulai, The climate crisis will cause a surge of migration. You can’t stop hungry people, in “Calcalist”, 29 agosto 2022.

[1] Qualche anno prima della crisi scoppiata nel 2011, nel 2006 una grave siccità spinse migliaia di agricoltori siriani a migrare verso i centri urbani, ponendo le basi per le massicce rivolte che si sarebbero verificate poco tempo dopo, dando l’inizio ad una sanguinosa e logorante guerra civile. Per maggiori dettagli si rimanda a Peter H. Gleick, Water, Drought, Climate Change, and Conflict in Syria, in “Weather, Climate, and Society”, Vol. 6, No. 3, 2014, pp. 331-340.

[2] Cfr. Pola Lem, Could a Lack of Water Cause Wars? Water scarcity poses a greater risk of turmoil under global warming, in “Scientific American”, 2016 e Shahzaib Ahmad et. al., Impact of water insecurity amidst endemic and pandemic in Pakistan: Two tales unsolved, in “Annals of Medicine and Surgery”, Vol. 81, 2022.

[3] Cfr. Maurus Reinkowski, Late Ottoman Rule over Palestine: Its Evaluation in Arab, Turkish and Israeli Histories, 1970-90, in “Middle Eastern Studies”, Vol. 35, No. 1, 1999, pp. 66-97.

[4] Per maggiori dettagli si rimanda a Lior Novik, Israel has built an exceptional, resilient water economy, in “The Jerusalem Post”, 12 agosto 2022.

[5] Christophe Lafontaine, Demografia, in trent’anni Israele raddoppia, in “TerraSanta.net”, 29 giugno 2021.

[6] Tzafuf significa «sovraffollato» in ebraico; si tratta di una ONG fondata da un gruppo di ricercatori, accademici e di ambientalisti.

[7] Paolo Castellano, Cresce la popolazione di Israele. Oltre i 9 milioni alla vigilia di Yom HaAtzmaut, in “BET. Magazine Mosaico – Sito Ufficiale della Comunità Ebraica di Milano”, 14 aprile 2021.

[8] Christophe Lafontaine, Demografia, in trent’anni Israele raddoppia, in “TerraSanta.net”, 29 giugno 2021.

[9] Yuval Azulai, The climate crisis will cause a surge of migration. You can’t stop hungry people, in “Calcalist”, 29 agosto 2022.

[10] Mesfin Mekonnen & Arjen Y. Hoekstra, Four billion people facing severe water scarcity, in “Sciences Advances”, Vol. 2 Issue 2, 2016, pp. 1-7.

[11] Max Kaplan-Zantopp, How Israel used innovation to beat its water crisis, in “Israel21c”, 28 aprile 2022.

[12] Questo dato risulta, tra l’altro, in crescita, visto che pochi anni fa (2015) Tel Aviv utilizzava “solo” l’86% dell’acqua riciclata per scopi agricoli. Per ulteriori dettagli su questo aspetto si rimanda a Rena Lenchitz, Israel Leads World In Wastewater Reclamation, But Solution Is Not Perfect, in “No Camels”, 30 agosto 2021.

[13] Cristina Bufi Poecksteiner, Israele, una delle nazioni più aride del mondo, adesso sta traboccando d’acqua, in “Global Voices”, 11 gennaio 2019.

[14] Secondo i Vangeli, proprio sulle sponde del Lago di Tiberiade Gesù scelse alcuni dei suoi apostoli e realizzò uno dei suoi miracoli più famosi, ovvero la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

[15] Thomas Coex, Si sta seccando il lago più famoso dei Vangeli, in “Il Post”, 1 dicembre 2018.

[16] Max Kaplan-Zantopp, The Steps Israel must Take to Avoid a Future Water Crisis, in “Israel21c”, 12 maggio 2022.

[17] David Katz and Arkady Shafran, Water-Energy Nexus: A Pre- Feasibility Study for Mid-East Water-Renewable Energy Exchanges, in “EcoPeace” – Middle East and Konrad Adenauer Stiftung, novembre 2017.

[18] Melanie Lidman, Plan to pump desalinated water to Sea of Galilee may open diplomatic floodgates, in “The Times of Israel”, 27 giugno 2019.

[19] Abigail Klein Leichman, Turn the Flood into a Drip. Urges Netafim CEO, in “Israel21c”, 13 aprile 2022.

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