* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal sito di Wikipedia, alla sezione “foto satellitari”, consultabile al seguente link: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:2004_satellite_picture_of_Istanbul_and_the_Bosphorus.jpg.
Come molti ricorderanno, nel dicembre 1989 ebbe luogo l’invasione di Panama da parte degli Stati Uniti, con l’obiettivo dichiarato e riuscito di deporre il generale Manuel Noriega, capo delle Forze Armate che esercitava de facto un potere dittatoriale nel Paese. Si trattò di un’operazione militare, decisa dal Presidente George H. W. Bush, denominata “Giusta Causa” che per lungo tempo bloccò il traffico mercantile nel Canale di Panama, la cui amministrazione venne restituita ai panamensi dopo ben 10 anni, sulla base dell’accordo Carter-Torrijos del dicembre 1999.
Al di là degli effetti politici consuetamente legati alle operazioni militari, il blocco del canale di Panama non mancò di produrre gravissimi danni alle economie dei molti Paesi, soprattutto della costa pacifica sud americana che utilizzavano la rotta del Centro America per poter esportare i propri prodotti, attraverso Panama, o importarne dai continenti europeo e africano. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che nonostante l’avanzare delle tecnologie e dei vettori aerei cargo, ancora oggi circa l’80% del commercio mondiale utilizza le navi come mezzo di trasporto. Ergo, stretti e canali marittimi “accorciano le distanze del mondo” e costituiscono passaggi strategici di assoluto rilievo per il commercio mondiale, assumendo estrema importanza in termini di geopolitica e sicurezza internazionale, nonché nei rapporti di forza tra gli Stati e nei delicati dossier diplomatici che li riguardano. D’altra parte, è testimonianza di tale delicato aspetto anche il recente incidente avvenuto nel canale di Suez, in cui l’incagliamento della motonave “Ever Given” ha causato il blocco totale dei passaggi di imbarcazioni per oltre una settimana, causando perdite a compagnie di navigazione per milioni di dollari.
Prendiamo ad esempio il caso dell’Ecuador, Paese andino che nel 1989 figurava tra i primi esportatori mondiali di banane, cacao, gamberi, e faceva parte dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Nella sua capitale, Quito, ubicata a 3.000 metri sul livello del mare, fu evidentemente registrato un grave danno economico causato al Paese dal blocco di Panama. A parte una pur consistente quantità di prodotti che veniva esportata negli USA e in Canada seguendo la costa del Pacifico, la temporanea interdizione del passaggio attraverso Panama obbligò le navi cargo della nazione andina a circumnavigare il continente sud-americano per accedere all’Atlantico attraverso lo Stretto di Magellano. Sorte analoga fu riservata anche ad altri Paesi della costa pacifica in relazione alle loro esportazioni in Europa, con maggior danno per i trasporti navali di beni deperibili quali, per esempio, la frutta tropicale e altri generi alimentari, ma comunque con costi fortemente maggiori anche per il trasporto di prodotti industriali, minerari o idrocarburi.
Indipendentemente dal citato caso di Panama, risulta più che evidente che l’esigenza di garantire il fluido passaggio ai trasporti marittimi attraverso stretti e canali, in quanto percorsi obbligati, riguarda molti altri fondamentali passaggi strategici di elevata importanza nello scenario geopolitico. Tra questi, lo stretto di Hormuz, il Canale di Suez, lo Stretto di Gibilterra, il Bosforo e i Dardanelli, lo Stretto di Malacca, Bab El Mandeb e quello di Bering. Se, come abbiamo visto, il Canale di Panama – che collega gli oceani Atlantico e Pacifico – rappresenta un elemento vitale per buona parte dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, anche lo Stretto di Hormuz, ubicato tra l’Iran e l’Oman, assume un assoluto rilievo. Esso è infatti considerato il più importante punto di passaggio petrolifero, con circa 18 milioni di barili al giorno nel 2020 (20.7 nel 2018 e 20.6 nel 2016) e, secondo una stima della U.S Energy Information Administration, tale volume costituirebbe circa il 20% del consumo di petrolio liquido mondiale. Allo stesso tempo, vale la pena sottolineare l’importanza dello Stretto di Malacca, principale passaggio tra l’oceano Pacifico e l’oceano Indiano, che si colloca, in termini di traffico mercantile, subito dietro Hormuz.
Quanto alla citata vicenda del blocco di Suez – passaggio artificiale di circa 200 chilometri che collega il Mar Rosso al Mediterraneo – oltre alle ripercussioni economiche sul commercio navale tra l’Europa e i porti dell’Africa orientale, dell’Asia e dell’Oceania, va ricordato il già menzionato caso della porta-container Ever Given, (appartenente all’impresa di Taiwan Evergreen e battente bandiera panamense). Tale vicenda non ha mancato di produrre i suoi effetti distorsivi anche sullo stretto di Ba Bel-Mandeb, attraverso cui si accede al Canale di Suez e che costituisce un essenziale punto strategico tra oceano Indiano e Mar Rosso.
Ma anche l’importanza storica, politica ed economica dello Stretto di Gibilterra è, soprattutto per noi Europei, molto evidente poiché, con la sua lunghezza di 64 chilometri, esso rappresenta un passaggio obbligato tra il Mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico e una sensibile frontiera tra l’Europa e l’Africa. Si tratta infatti di un rilevante punto critico nella delicata questione delle ondate migratorie provenienti dal Maghreb e dalle regioni sub sahariane. D’altra parte, la persistente presenza del Regno Unito sullo stretto attraverso la Rocca di Gibilterra e quella in territorio africano della Spagna, con le enclaves di Ceuta e Melilla, sono chiare testimonianze della sua valenza strategica.
E ancora, il Bosforo e i Dardanelli, stretti che dividono l’Asia dall’Europa, mostrano facilmente il loro determinante spessore strategico, a maggior ragione in coincidenza con una ritrovata potenza di Ankara nella regione mediterranea e mediorientale. Il Bosforo, ubicato tra il Mar Nero e il Mar di Marmara, e i Dardanelli, situati tra il Mar di Marmara e i mari Egeo e Mediterraneo, sono dunque vie d’acqua e passaggi strategici in relazione a numerosi prodotti industriali e materie prime, nonché a idrocarburi grezzi provenienti dalla regione del Mar Caspio e destinati all’Europa occidentale e meridionale.
Il valore strategico dello Stretto di Bering appare in piena evidenza, se si considera che esso separa gli Stati Uniti dalla Russia e per lungo tempo, soprattutto nelle fasi più critiche della c.d. Guerra Fredda, è stato fortemente sorvegliato sia dagli USA che dall’Unione Sovietica e ha dato luogo a non pochi attriti e tensioni. È piuttosto frequente che studenti di geo-strategia si imbattano nello studio di carte geografiche che rappresentano prospettive insolite. Tra queste appare particolarmente interessante una carta geografica centrata sul Polo Nord, che mostra delle “rotte del petrolio” nordiche attraverso Bering, cui sia Mosca che Washington attribuiscono da molti decenni un’estrema attenzione geopolitica.
Le conseguenze geo-strategiche del mancato libero accesso a canali e stretti
Va evidenziato che la Comunità Internazionale da tempo pone in essere sforzi per la codificazione di norme di diritto internazionale relative ai passaggi marittimi attraverso conferenze e convenzioni (essenziale a questo riguardo è la conferenza sul Diritto del mare di Montego Bay del 1982). Nonostante ciò, la sicurezza degli stretti può essere messa a rischio da diversi fattori. Tra questi, particolare eco hanno suscitato i frequenti episodi di pirateria che, oltre a costituire una concreta minaccia per i passaggi marittimi, costringono Stati e armatori a dotarsi di dispositivi di deterrenza e/o difesa a bordo, al fine di scongiurare attacchi alle proprie imbarcazioni anche in mare aperto. Particolarmente grave e nota è l’attività dei pirati che, con un alto numero di attacchi, hanno infestato negli scorsi anni lo Stretto di Malacca e quello di Bab El Mandeb, in taluni casi sostenuti da entità non statali e lasciati in condizione di agire dalla pressoché totale mancanza di controlli da parte degli Stati costieri, carenza che ha indubbiamente favorito traffici illegali e criminalità.
D’altra parte, negli stretti della regione mediorientale transitano prodotti essenziali per le economie del mondo intero, tra cui in primis il petrolio. Un aumento indiscriminato del suo prezzo, a causa del blocco temporaneo di un canale strategico, potrebbe infatti ripercuotersi sui prezzi globali, con evidente possibilità di generare una recessione economica generalizzata. Ricordiamo, a tal proposito, la situazione di sofferenza prodottasi a seguito della c.d. guerra del Kippur, nel 1973, e il conseguente aumento del prezzo degli idrocarburi e dei prodotti ad esso collegati. Talvolta, anche situazioni di conflitto politico latente con Paesi che insistono su un passaggio marittimo strategico generano criticità, perché l’instabilità accresce il timore di insicurezza e risulta difficile mantenere alti livelli di efficienza e navigabilità garantita, come testimoniato, per esempio, dalle lunghe tensioni tra Stati Uniti e Iran e la conseguente insicurezza del passaggio a Hormuz, dopo i drammatici fatti del 1979 e il lungo sequestro di diplomatici statunitensi a Teheran.
In definitiva, indipendentemente dalla causa, i tempi del blocco di uno stretto risultano determinanti: se esso si limita a due o tre giorni, l’impatto sarà limitato ad un peggioramento del ritardo nel passaggio delle navi. Se però il blocco si prolungasse si produrrebbero ramificazioni globali molto serie con aumento dei prezzi e perdite ingenti per gli operatori economici. Nel recente caso di Suez, per esempio, non solo sono rimaste bloccate le consegne di alimenti, combustibili, prodotti manufatturieri, veicoli e prodotti vari, ma le stesse autorità egiziane non hanno incassato i diritti di passaggio nel canale, che alcuni esperti hanno calcolato per ogni imbarcazione – per tutto il periodo di fermo – in circa 700.000 dollari! Sappiamo, dunque, che questi passaggi marittimi – di enorme importanza per l’economia mondiale – presentano rischi di blocco in grado di destabilizzare il sistema dei trasporti via nave, generando significative perdite per armatori, società di gestione dei canali e Stati. Ciò può essere causato da incidenti fortuiti (es. Suez 2021), eventi bellici nella regione (es. Kippur 1973), interventi politico-militari (es. Panama 1989), ma anche da episodi di pirateria, attacchi terroristici, condizioni peculiari che impediscano temporaneamente l’utilizzo dei sistemi di transito (es. danni ai meccanismi delle chiuse).
La problematica della delicatezza dei passaggi strategici marittimi è molto avvertita da studiosi di diritto internazionale e dalle diplomazie mondiali. Questi, pur consapevoli dei rapporti di forza esistenti tra gli attori della Comunità Internazionale, non hanno mancato di teorizzare forme di internazionalizzazione di alcuni stretti e canali, con l’obiettivo di sottrarli al controllo politico di singoli Stati e rendere meno probabile il rischio di blocco per ragioni politiche. Tale soluzione risulterebbe di innegabile convenienza sia per il Paese che accoglie il canale nel suo territorio, sia per le compagnie di navigazione e per l’intera Comunità Internazionale. Infatti, un’adeguata formula di internazionalizzazione rappresenterebbe forse la figura giuridica più adatta sotto il profilo della neutralità, dell’efficienza e dell’uso pacifico del passaggio strategico. Inoltre, la sua amministrazione, in caso di conflitto bellico, potrebbe essere affidata ad una commissione speciale al di sopra delle parti, in grado di garantire il regolare svolgimento delle operazioni di passaggio delle navi, evitando che il commercio e il trasporto internazionale soffrano di instabilità. Tuttavia, è facile comprendere che gli interessi in gioco sarebbero comunque numerosi e significativi; inoltre, la concreta realizzazione di un simile progetto risulterebbe solo parzialmente efficace: infatti, sospensioni forzate dell’attività dei canali a causa di attentati terroristici o guasti alle strutture non verrebbero eliminate attraverso un’internazionalizzazione.
Conclusione
Alla luce di quanto precede, appare opportuna una riflessione. Indipendentemente dalle polizze assicurative private stipulate dalle compagnie di navigazione, sarebbe opportuno ipotizzare la creazione – nel contesto dei competenti fori diplomatici multilaterali, quali, p.e. l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), ovvero l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC) – di una sorta di Autorità Internazionale per gli Stretti e i Canali, con l’obiettivo di proteggere gli attori commerciali vittime dei blocchi. Essa potrebbe funzionare sulla base di un sistema di quote di partecipazione (con modalità analoghe a quelle dell’Autorità Internazionale per i Fondali Marini, che regolamenta la raccolta di minerali pregiati sui fondali del mare internazionale) proporzionate al numero di passaggi annuali o al volume di merci trasportate attraverso stretti e canali, che avrebbe, in caso di blocco, una funzione di redistribuzione di risorse economiche per mitigare il più possibile le perdite subite. Pensiamo, ad esempio, ai Paesi meno avanzati esportatori di materie prime, nei confronti dei quali il danno causato da un blocco commerciale di un passaggio navale strategico potrebbe produrre serie destabilizzazioni economiche e, con ogni probabilità, anche sociali.
Certamente i rapporti di forza tra gli Stati e il c.d. principio di effettività, che caratterizza le dinamiche della Comunità Internazionale, faranno fatica a cedere al diritto e all’organizzazione internazionale la propria supremazia, basata su interessi economici e sulla collegata esigenza di esercitare un controllo politico più ampio possibile su stretti e canali. Ma ciò non toglie che un’azione diplomatica possa esser esercitata con la prospettiva di regolare in maniera più armonica ed equa la gestione pacifica di stretti e canali, anche al fine di evitare turbolenze e contraccolpi nell’ordinato svolgersi della navigazione mondiale attraverso questi essenziali passaggi strategici.