Loading...

Colonizzazione idrica: il caso di Cipro

Dicembre 19, 2021

* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal sito dell’European Space Agency (ESA), consultabile al seguente link: https://www.esa.int/Space_in_Member_States/Italy/Immagine_EO_della_Settimana_Cipro

La scarsità d’acqua è senza dubbio uno dei grandi problemi che affliggono Cipro. Come si sa, la situazione politico-amministrativa dell’isola non è particolarmente semplice, dal momento che a partire dal 1974 Cipro risulta essere di fatto divisa in due entità separate. La parte meridionale, a maggioranza greca, con capitale Nicosia e aderente all’Unione Europea è contrapposta a quella settentrionale, a maggioranza turca e non riconosciuta dalla Comunità Internazionale[1]. Tuttavia, nonostante tale complesso quadro istituzionale, è proprio la cronica mancanza di risorse idriche a caratterizzare negativamente la vita dei Ciprioti. Il clima secco, le flebili precipitazioni e la mancanza di adeguati bacini idrografici rendono questo angolo di Mediterraneo orientale un territorio difficile. Per giunta, negli ultimi cinquanta anni la situazione è notevolmente peggiorata, complice la diffusione del turismo di massa su tutta l’isola. La costruzione di mega resort, stabilimenti balneari e strutture ricettive, con il conseguente aumento esponenziale di presenze turistiche, ha quasi del tutto prosciugato le già poco fornite falde acquifere di cui è dotata l’isola. Inoltre, a parte piccoli torrenti che sgorgano dalla catena montuosa Troodos, situata nella parte centrale, i corsi d’acqua presenti su Cipro non sono altro che rigagnoli invernali che si prosciugano durante i periodi caldi. Tra i fiumi più rilevanti si annoverano il Diarrizos, la cui foce è vicina a Kouklia (l’antica Paphos), il Kouris che sfocia nel Mediterraneo presso il villaggio di Episkopi situato nel distretto di Limassol e il Pideas che ha le sorgenti nelle pendici settentrionali del Macharia.

Uno dei rimedi per far fronte alla notevole scarsità d’acqua che affligge l’isola è quello di far giungere il prezioso liquido da altre destinazioni. In passato, tra il 1998 e il 2002 venne studiato un sistema in tal senso: per circa 4 anni l’acqua dolce venne trasportata via mare tramite grandi navi-cisterna. Tuttavia, il fabbisogno idrico della popolazione locale non veniva soddisfatto; l’acqua che giungeva serviva solo in minima parte a rimpiazzare quella che veniva utilizzata o che si perdeva in loco. Infatti, oltre alla poca rilevanza idrografica, uno dei problemi maggiori di Cipro è la scarsa educazione idrica dei Ciprioti, soprattutto per ciò che concerne il corretto utilizzo di tubature, condutture ad acquedotti. Inoltre, preme segnalare che le infrastrutture idriche dell’isola sono poco moderne e non correttamente manutenute; dunque, lo spreco d’acqua è un fenomeno molto diffuso che peggiora notevolmente una situazione già di per sé oltremodo complessa. A poco sono serviti i dissalatori, peraltro non efficientissimi, visto che sia nella parte meridionale sia in quella settentrionale molti Ciprioti hanno sperimentato nel corso del tempo una notevole presenza di sale nell’acqua che ne inficia il corretto utilizzo per uso domestico e produttivo. Questa situazione è dovuta in massima parte alla presenza di dissalatori poco performanti, insufficienti numericamente e tecnologicamente obsoleti i quali, oltre a non garantire una corretta dissalazione dell’acqua, hanno un impatto sull’ambiente decisamente negativo. Stando agli esperti, Cipro provvede per circa il 70% del suo fabbisogno di acqua potabile con i dissalatori. Tuttavia, questi utilizzano spesso vecchie tecniche a osmosi inversa che hanno un forte consumo energetico e impatti rilevanti sull’ambiente. A causa del consumo di energia, questi dissalatori, tutti insieme, nel 2018 hanno emesso nell’atmosfera l’equivalente di circa 169 chilo-tonnellate di CO2, cioè circa il 2% delle emissioni totali di gas serra dell’isola [2].

Dunque, né navi-cisterna né dissalatori hanno contribuito a mitigare la crisi idrica cipriota. Negli ultimi anni, tra le strategie ideate per risolvere la questione è stata presa in considerazione la costruzione di una grande tubatura in grado di mettere in comunicazione l’isola con la Turchia. Principale sponsor di questa idea è proprio Ankara, mostratasi ben disposta a realizzare le infrastrutture necessarie a trasportare l’acqua dal proprio territorio verso la RTCN, dove l’influenza turca è storicamente molto più rilevante rispetto alla parte meridionale.

La Peace Pipeline: fattibilità e dettagli del progetto 

La realizzazione di questo ambizioso progetto, non a caso definito “The project of the century[3], ha avuto in effetti inizio nel 1999 in seguito ad un report di fattibilità presentato alle autorità turco-cipriote. Secondo i piani di Ankara, la grande tubatura avrebbe avuto come punto di partenza la cittadina di Anamur, situata nel distretto di Mersin, e come punto di arrivo la città di Kyrenia, considerata la capitale turistica della RTCN.

Fig. 1: Veduta aerea del distretto di Mersin e Cipro.
Fig. 2: La tubatura secondo i piani di sviluppo turchi.

Il costo dell’operazione, stimato in circa 450 milioni di dollari, è stato interamente a carico della Turchia. Lunga circa 80 chilometri, la grande pipeline risiede sul fondo del Mediterraneo a 250 metri di profondità e fornisce a Cipro circa 75 milioni di metri cubi d’acqua al giorno. Si tratta del primo progetto ideato e realizzato allo scopo di portare acqua dolce da un Paese all’altro nella storia moderna; secondo analisti turchi, grazie a questa infrastruttura Cipro potrà contare su abbondanti risorse idriche per almeno trent’anni, ovvero quando si dovranno effettuare i primi lavori di manutenzione [4]. Dopo aver sbrigato le necessarie pratiche diplomatiche, la costruzione della cosiddetta Peace Pipeline (tubatura della pace) è iniziata nel marzo 2011. Pochi anni dopo, nel 2015, il progetto venne portato a compimento tra la soddisfazione delle autorità turche e lo scetticismo di molte associazioni ambientaliste.

In un discorso celebrativo tenutosi poche settimane dopo l’inaugurazione, Recep Tayyip Erdogan lodò convintamente gli sforzi finanziari turchi e la grande capacità ingegneristica di Ankara in seguito all’effettiva realizzazione della Peace Pipeline turco-cipriota. In uno slancio propagandistico il presidente turco ha affermato che lo scopo di questo progetto è quello di garantire l’approvvigionamento idrico per tutta l’isola e non solo per la parte settentrionale dove l’influenza di Ankara è preponderante. Secondo Erdogan, la finalità umanitaria della grande tubatura, peraltro simboleggiata dal nome stesso del progetto, è stata la principale motivazione che ha spinto il governo turco a realizzare questa infrastruttura. In realtà, secondo molti analisti l’acquedotto sarebbe un evidente tentativo di aumentare l’influenza di Ankara su Cipro estendendola anche alla parte meridionale dell’isola, dove la maggioranza greca e l’adesione all’Unione Europea hanno storicamente reso ostica la penetrazione turca nella giurisdizione di Nicosia. Come osservato da Rebecca Bryant, l’infrastruttura turca, che indubbiamente apporterà benefici per molti Ciprioti, ha una chiara matrice di controllo geopolitico sull’isola, considerata da Ankara una propria appendice nel Mediterraneo orientale [5]. Ciò è dovuto alla dominazione ottomana che ha caratterizzato Cipro per più di tre secoli, ovvero dal 1573 al 1876, quando in seguito alla Conferenza di Costantinopoli (tenutasi nel dicembre 1876) l’Impero britannico ottenne la gestione dell’isola a discapito della Sublime Porta [6].

Oggigiorno, nonostante evidenti problemi finanziari, la Turchia sembra adottare una politica estera assertiva, votata al cosiddetto “Neo-Ottomanesimo”. L’attivismo di Ankara su vari scenari è sotto gli occhi di tutti: dalla Siria alla Libia, fino ad arrivare al Corno d’Africa dove nel corso degli ultimi anni la Turchia ha intessuto relazioni proficue con Gibuti e Mogadiscio [7]. In questo scenario di grande dinamismo geopolitico Cipro rientra pienamente nella strategia di Erdogan improntata al ritorno di una forte influenza turca sia nel Mediterraneo sia in Africa. La costruzione della grande tubatura idrica ha dunque lo scopo principale di legare sempre più strettamente ad Ankara i due segmenti dell’isola. In seguito alla realizzazione della Peace Pipeline, l’approvvigionamento idrico cipriota dipende quasi interamente dalla Turchia, rendendola di fatto estremamente influente non solo a livello energetico ma anche in chiave politica e strategica negli affari dell’ex possedimento ottomano. Per certi aspetti, l’investimento di ben 450 milioni di euro da parte di un Paese che non è annoverato tra le nazioni finanziariamente più rilevanti del mondo, dovrebbe far riflettere su quanto i Turchi considerino importante il mantenimento della propria influenza nel Mediterraneo orientale. In virtù di ciò, non è erroneo considerare la mossa di Ankara come una forma di colonialismo idrico.

Opposizioni alla realizzazione della Peace Pipeline

Le reazioni al progetto turco sono state molto forti, sia da parte dei Greco-Ciprioti, comprensibilmente, sia da parte della compagine settentrionale che non gradisce un’eccessiva ingerenza di Ankara nei propri affari. Infatti, a parte il giornalista politico Yiorgos Kakouris, il quale si è espresso positivamente sull’investimento turco a Cipro [8], molte associazioni ambientaliste, figure politiche e semplici cittadini hanno fortemente criticato la Peace Pipeline. L’Associazione dei Biologi Ciprioti, che ha sede a Nicosia, ha stigmatizzato l’infrastruttura considerandola come il “mistake of the century”, in chiara contrapposizione a quanto avevano dichiarato i Turchi in fase di presentazione del progetto. Secondo loro, la pipeline non apporterà che un minimo incremento nelle risorse idriche cipriote. Questo soprattutto nei mesi estivi, quando il combinato disposto della calura e della massiccia presenza di turisti contribuirà pesantemente a ridurre l’acqua disponibile anche in seguito alla costruzione del gasdotto idrico.

Stando alle posizioni dell’Associazione, invece di puntare sulla costruzione di una grande infrastruttura, sarebbe più opportuno procedere alla promozione di politiche che favoriscano una corretta educazione ambientale dei Ciprioti, in modo tale da ridurre al minimo gli sprechi d’acqua. In aggiunta, secondo un gruppo di biologi turco-ciprioti, la pipeline avrebbe dei seri risvolti negativi sul piano ambientale. Sia presso la cittadina turca di Anamur, dove parte il gasdotto, sia sul territorio della RTCN è stato alterato sensibilmente e permanentemente il territorio. Intere comunità e villaggi sono stati sradicati e riposizionati in altri luoghi per far posto alla grande infrastruttura. Sul versante turco, in particolar modo, si sono sollevate molte critiche in vista della realizzazione della diga di Alaköprü, indispensabile per creare il bacino artificiale da cui attingere l’acqua diretta a Cipro.

Fig. 3: Visione aerea di Anamur
Fig. 4: Diga di Alaköprü
Fig. 5: Bacino idrico artificiale venutosi a costituire in seguito alla costruzione della diga

Secondo Dursun Yildiz, direttore della Hydropolitics Academy Association, solo una minima parte (8%) dell’acqua incamerata nel lago artificiale verrà dirottata tramite la pipeline. Tuttavia, gli effetti a medio e lungo termine in tutto il distretto di Mersin restano sconosciuti. Secondo alcuni rapporti del WWF presentati tra il 2012 e il 2013 proprio in merito alla diga di Alaköprü, la riduzione del flusso d’acqua a valle della struttura potrebbe comportare notevoli disagi ambientali. Nello specifico, la mancanza di risorse idriche a seguito della realizzazione del progetto potrebbe danneggiare la migrazione e la deposizione delle uova dei pesci e prosciugare le falde acquifere, che sono responsabili del sostentamento idrico di migliaia di cittadini turchi residenti nel distretto di Mersin [9].

Anche sul fronte politico non sono mancate aspre critiche alla Peace Pipeline. Da parte di Nicosia, in maniera del tutto prevedibile, la costruzione della grande infrastruttura turca ha sollevato molte perplessità. Prima di tutto, i Greco-Ciprioti temono che la presenza di Ankara sull’isola aumenti in maniera esponenziale, soprattutto in un settore chiave come quello relativo all’approvvigionamento idrico. Secondo la compagine greco-cipriota, la costruzione dell’acquedotto incrementerà e cementerà sempre di più l’occupazione turca nella parte settentrionale dell’isola. Nicosia non ha giocato alcun ruolo decisionale nel processo politico che ha portato alla realizzazione del progetto; sostanzialmente, ha subìto le decisioni strategiche prese ad Ankara senza poter influire su nulla. Inoltre, avendo l’acquedotto come punto di arrivo la parte settentrionale dell’isola, i Greco-Ciprioti sono convinti che il valore immobiliare delle case situate nella RTCN aumenti a discapito delle proprietà meridionali. Questo comprometterebbe le relazioni non solo a livello governativo tra le due compagini, peraltro già abbastanza tese, ma anche da un punto di vista privato, dal momento che molti singoli cittadini si troverebbero con un patrimonio immobiliare più ridotto in termini di valore. In tal modo si assesterebbe un duro colpo alla pax socialis cipriota, che verrebbe di fatto squassata dalle fondamenta. La parte meridionale soffrirebbe grossi disagi dal punto di vista degli ingressi turistici, che si sono già ridotti, mentre nella parte settentrionale, dove l’abbondante presenza di acqua garantisce un’accoglienza migliore, gli arrivi sono aumentati.

Anche sul fronte turco-cipriota la Peace Pipeline ha destato serie preoccupazioni. Innanzitutto, stando a Kibris Postasi [10], quotidiano pubblicato sull’isola in lingua turca, le aziende coinvolte nella costruzione del progetto sono state interamente turche, escludendo di fatto quelle già presenti sul territorio cipriota. Ciò ha estromesso da un punto di vista economico molti lavoratori turco-ciprioti che avrebbero potuto trarre vantaggio dalle operazioni di costruzione che, come visto in precedenza, sono durate circa 4 anni, dal 2011 al 2015. Trattandosi di un’isola dove l’occupazione è legata prevalentemente al settore turistico nelle stagioni calde, avere la possibilità di lavorare per ben 4 anni anche di inverno avrebbe certamente giovato a centinaia di cittadini. Inoltre, i Turco-Ciprioti sono consapevoli del fatto che l’acqua proveniente dal distretto di Mersin appartiene alla Turchia. Di fatto, Ankara esercita una funzione di controllo molto rilevante sulla gestione delle risorse idriche e lascia poco spazio al governo locale. Ad esempio, la RTCN preferirebbe che a gestire la struttura fosse la municipalità di Kyrenia; i Turchi, al contrario, affidano l’appalto della gestione della pipeline ad una compagnia privata (ovviamente turca), che esercita le sue funzioni con un chiaro intento aziendale, ovvero vende di fatto l’acqua al miglior offerente. Dunque, gli iniziali intenti umanitari hanno trovato pochi sbocchi una volta ultimato il progetto. Oltre a tutto questo, l’influenza di Ankara negli affari interni della Repubblica Turca di Cipro del Nord è aumentata vistosamente a seguito della realizzazione dell’acquedotto, lasciando poco margine di manovra alla politica locale. I Turco-Ciprioti, che sarebbero i beneficiari principali dell’acqua proveniente da Anamur, sono sempre più marginalizzati nei processi di decisione politica. Ciò è testimoniato da una dichiarazione effettuata il 25 ottobre 2015 da Ekfan Ala, ex Ministro degli Interni turco. In un raduno tenutosi a Bursa il politico sentenziò: “Cipro è debitore nei nostri confronti”[11]. In sostanza, a seguito della costruzione della pipeline, i Turchi si sentono in credito verso la RTCN, ed esercitano in maniera impropria un’influenza maggiorata rispetto a qualche lustro fa.

Conclusione

Come analizzato in questo paper, Cipro ha un effettivo problema legato all’approvvigionamento idrico. Le soluzioni che sono state proposte nel corso del tempo non hanno sortito effetti duraturi, lasciando di fatto migliaia di Ciprioti in seria difficoltà, in particolar modo durante i mesi estivi. Nè le navi-cisterna né i dissalatori hanno contribuito a migliorare la situazione. Le domande che è opportuno porsi a questo punto sono le seguenti: l’acquedotto costruito dalla Turchia può essere una soluzione? Quali sono le vere intenzioni di Ankara in questa vicenda?

La risposta alla prima domanda è sì, con alcune riserve. Infatti, l’afflusso idrico proveniente dall’acquedotto potrebbe in linea teorica e al netto degli sprechi ancora molto numerosi, garantire una certa autonomia all’isola in materia di acqua. Tuttavia, la mancanza di educazione ambientale propria di Cipro, in particolar modo per ciò che concerne la salvaguardia delle scarse risorse idriche, è un fatto che va tenuto in seria considerazione. Questa situazione viene enormemente esacerbata durante i mesi estivi, quando cioè l’isola si riempie di turisti; durante quel periodo l’acqua non viene di certo usata con parsimonia, anzi se ne fa un uso assai maggiore di quanto in realtà se ne dovrebbe, viste le scarse risorse di cui dispone Cipro. Per cui, così come suggerito sia dall’Associazione dei Biologi Ciprioti sia da esperti turco-ciprioti, sarebbe auspicabile un decisivo cambio di passo in merito al corretto utilizzo dell’acqua per uso domestico. Ovviamente, la costruzione di un grande acquedotto in grado di trasportare decine di milioni di metri cubi d’acqua al giorno può fare la differenza e sostenere migliaia di cittadini nel contrastare le ricorrenti crisi idriche. Nondimeno, se le abitudini dei Ciprioti non cambieranno, sarà molto probabile che nel giro di qualche anno possano ripresentarsi altri problemi legati al water scarcity.

Quest’ultimo aspetto ci permette di rispondere alla seconda domanda. La Turchia, evidentemente, non sembra avere finalità umanitarie nei riguardi di Cipro, nonostante gli enfatici proclami di Erdogan, essendo piuttosto l’obiettivo di Ankara quello di aumentare la propria presenza sull’isola mediterranea. A causa dei problemi economici di cui da tempo soffre, la Turchia non è in grado di esercitare una pressione finanziaria. Anche da un punto di vista militare la questione sarebbe oltremodo complessa, visto che la parte meridionale di Cipro fa parte dell’Unione Europea. Inoltre, anche livello culturale lo spazio di manovra è scarso; la cultura greca è preponderante nell’isola. Per cui, la costruzione della Peace Pipeline, con il conseguente tentativo di colonizzazione idrica, sembra essere l’unico efficace mezzo per preservare e persino aumentare il ruolo geopolitico di Ankara su Cipro. Al momento, però, la gestione a tratti “colonialista” dell’acquedotto sta alienando ai Turchi gli iniziali consensi ricevuti nei mesi immediatamente successivi alla sua costruzione. Infatti, come analizzato in questo paper, anche gli stessi Turco-Ciprioti, che condividono con Ankara la cultura e la lingua oltre ad essere i principali beneficiari delle risorse idriche, sono scettici sulle reali intenzioni della Turchia.


[1] L’unico Stato a riconoscere ufficialmente Kuzey Kıbrıs Türk Cumhuriyeti, ovvero la Repubblica Turca di Cipro del Nord (RTCN) è la Turchia. Ankara ha iniziato ad intrattenere rapporti ufficiali con la parte settentrionale dell’isola a partire dal 1983, quando lo storico leader Rauf Denktaş, cipriota di origini turche, ne ha autoproclamato l’indipendenza.

[2] https://greenreport.it/news/acqua/acqua-potabile-piu-ecocompatibile-per-cipro/.

[3] Per dettagli maggiori sulla questione si rimanda a Pinar Tremblay, Turkey’s peace pipe to Cyprus, in «Al Monitor», ottobre 2015. https://www.al-monitor.com/originals/2015/10/turkey-cyprus-water-pipeline-delivers-fears.html.

[4] Ivi.

[5] Rebecca Bryant, Cyprus ‘peace water’ project: how it could affect Greek-Turkish relations on the island, in «EUROPP-European Politics and Policy», Ottobre 2015. https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2015/10/28/how-turkeys-peace-water-project-could-affect-relations-between-greek-and-turkish-cypriots/.

[6] In seguito all’inaugurazione del Canale di Suez, verificatasi nel 1869, l’Impero britannico aveva individuato in Cipro la base nel Mediterraneo orientale su cui puntare per controllare le nuove rotte che si sarebbero aperte. Approfittando della disfatta ottomana nella guerra russo-turca (aprile 1877-marzo 1878), i Britannici ottennero la gestione dell’Isola da un Impero Ottomano ormai debilitato ed in avanzata fase calante.

[7] Per ulteriori dettagli si rimanda a Chiara Gentili, La Turchia e il Corno d’Africa: strategie di penetrazione, in «Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale», marzo 2021. https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/03/29/la-turchia-corno-dafrica-strategie-penetrazion.

[8] Consapevole della difficoltà in cui versa l’isola da un punto di vista idrico, il giornalista ha più volte dichiarato che non è importante da dove proviene l’acqua o chi la fornisca. Per Yiorgos Kakouris ciò che conta è Cipro possa contare su risorse idriche certe e durature nel tempo. Cfr.  Pinar Tremblay, op. cit., 2015.

[9] Ivi.

[10]https://www.kibrispostasi.com/c35-KIBRIS_HABERLERI/n58689-tcden-kktcye-su-getirilmesi-protokolunde-gorulmemis-muafiyetle.

[11] https://www.al-monitor.com/originals/2015/10/turkey-cyprus-water-pipeline-delivers-fears.html.

Resta Aggiornato

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando i nostri servizi, accetti l’utilizzo dei cookie. Maggiori informazioni