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Idro-diplomazia turca nel Corno d’Africa. Il caso di Gibuti

Gennaio 16, 2022

* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal sito Pinterest, consultabile al seguente link: https://ar.pinterest.com/pin/285978645066053409/

Nel corso dell’ultimo decennio la Turchia ha accresciuto in maniera significativa la propria presenza in molte zone al di fuori dei propri confini. L’attivismo di Ankara in politica estera è stato, ed è tuttora, a dir poco rilevante; in virtù di ciò, non di rado alcuni esperti ed analisti definiscono neo-ottomana la strategia intrapresa dalla Turchia volta ad incrementare il proprio ruolo geopolitico al di fuori dei confini nazionali [1]. Il Corno d’Africa risulta essere uno dei principali scenari in cui la diplomazia turca opera più attivamente. Si tratta di una delle aree più strategiche non solo per il continente africano ma soprattutto in prospettiva globale. La presenza del Canale di Suez rende il Mar Rosso, e conseguentemente anche i Paesi che vi si affacciano, estremamente rilevanti in chiave geo-strategica. Non è un caso che proprio Gibuti, uno degli Stati africani più piccoli a livello territoriale e demografico, sia considerato di estremo valore dai principali attori globali. Pur avendo una moderata estensione (circa 23.000 chilometri quadrati) e una popolazione a dir poco modesta (secondo gli ultimi dati Gibuti non arriva ad un milione di abitanti), questa piccola nazione africana svolge un ruolo di primissimo piano nella geopolitica continentale. Ciò che conta maggiormente infatti è la sua posizione geografica. Gibuti si affaccia sullo stretto di Bab el-Mandeb, il braccio di mare che controlla l’accesso meridionale al Canale di Suez e che oggi è la quarta rotta marittima mondiale, con circa 30.000 navi che vi transitano ogni anno. Tutto ciò conferma la grande rilevanza dell’idro-geopolitica nelle odierne relazioni internazionali.

Fig. 1: Gibuti nel dettaglio geografico
Fig. 2: Collocazione geografica di Gibuti nel Corno d’Africa

Dunque, proprio in virtù del suo posizionamento geografico, Gibuti svolge una funzione strategica di grande rilevanza. A riprova di ciò, si consideri il grande numero di basi militari straniere presenti sul territorio nazionale del piccolo Stato che si affaccia sul Golfo di Aden. Paesi come Francia, Giappone e Cina [2] sono presenti in forze con importanti strutture logistiche. L’indiscutibile valore strategico di Gibuti è testimoniato anche dalla presenza dell’unica base militare americana in Africa: Camp Lemonnier. Ideato inizialmente per ospitare il contingente francese della Légion étrangère, la base divenne operativa sotto il controllo statunitense a partire dal 2002. Non lontano da Camp Lemonnier è presente anche la base italiana intitolata ad Amedeo Guillet. Si tratta di una struttura che offre un importante supporto logistico per le missioni italiane nel Corno d’Africa e nell’Oceano indiano.

Il coinvolgimento turco nel Corno d’Africa

La posizione chiave di Gibuti ha destato l’interesse di molte altre nazioni desiderose di acquisire un maggiore status geopolitico nel contesto internazionale. È il caso dell’Arabia Saudita, potenza regionale in crescita che ha in programma di aprire una base sul territorio gibutiano, e della Turchia, attore mediorientale da sempre interessato a questa parte di mondo. Il Corno d’Africa ha storicamente esercitato una forte presa sugli strateghi turchi, sia di recente sia ai tempi dell’Impero Ottomano. A tal proposito, si tenga presente il grande valore che i sultani ottomani attribuivano a quest’area geografica. Concretamente, l’anno 1538 segnò l’inizio delle grandi spedizioni navali lanciate da Solimano il Magnifico (1494-1566) contro i portoghesi nell’Oceano Indiano. Per realizzare ciò, il sultano si affidò a Özdemir Pasha, un ufficiale mamelucco, che, alla sua morte nel 1561, aveva conquistato, agli ordini del governatore d’Egitto Hadim Suleiman Pasha, entrambe le sponde dello Stretto di Bab el-Mandeb, che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden [3]. Nel XVI secolo, ovvero durante il periodo di massimo splendore della Sublime Porta, il Gran Visir Sokollu Mehmed Pasha immaginò il progetto visionario, ma all’epoca impraticabile, di costruire un canale tra il Mediterraneo e il Mar Rosso per facilitare il passaggio delle navi ottomane nell’Oceano Indiano. Tale idea venne elaborata ben tre secoli prima della effettiva realizzazione del Canale di Suez; ciò testimonia quanto l’intelligentsia ottomana avesse a cuore il controllo del Corno d’Africa.

L’interesse turco per quest’area geografica è presente ancora oggi, soprattutto per ciò che concerne l’Habesh, antica provincia ottomana afferente grosso modo agli attuali Stati eritreo e somalo. L’attivismo di Ankara è riemerso in maniera vigorosa negli ultimi dieci anni, ovvero quando Recep Tayyip Erdoğan e, ancor di più, Ahmet Davutoglu (Ministro degli esteri turco dal 2009 al 2014), hanno posto il Corno d’Africa al centro delle strategie geopolitiche turche. Davutoglu è stato il fautore della cosiddetta stratejik derinlik (profondità strategica), una strategia diplomatica che sosteneva la necessità da parte della Turchia di stabilire un nuovo ordine economico e sociale, non solo nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente, ma anche in tutto il mondo musulmano. In Somalia la Turchia è presente a livello sia culturale sia economico. Sotto il primo profilo, sono stati organizzati vari programmi volti ad integrare la gioventù somala nel tessuto socioculturale di Ankara. In virtù di ciò, molti studenti somali sono andati in Turchia per studiare attraverso un programma di borse di studio finanziato dallo Stato. Il governo turco ha inoltre sostenuto la creazione di servizi sociali, scuole e ospedali, tra cui il nuovo ospedale Recep Tayyip Erdoğan a Mogadiscio. Anche sotto il profilo economico le relazioni tra i due Paesi sono molto strette. Stando ad alcune fonti pre-pandemiche, la Turchia avrebbe sborsato circa 1 miliardo di $ in aiuti tra il 2011 e il 2017, mentre il commercio bilaterale ha superato i 180 milioni di dollari solo nel 2018 [4]. Compagnie turche come Albayrak e Favorite hanno ottenuto rispettivamente la gestione del porto e dell’aeroporto di Mogadiscio, infrastrutture strategiche che testimoniano la forte presenza di Ankara in Somalia. Nel gennaio 2020, il presidente turco ha suggellato la forte vicinanza tra i due Paesi affermando che la Somalia aveva invitato la Turchia a condurre esplorazioni petrolifere al largo delle sue coste, che si estendono lungo l’Oceano Indiano e il Golfo di Aden [5].

Anche in Eritrea Ankara esercita un’influenza di tutto rispetto. La Turchia è stato uno dei primi Paesi a riconoscere il Paese nel 1993; da quel momento, le relazioni tra le due nazioni sono state proficue e durature. L’impegno finanziario turco nell’economia di Asmara è decisamente più ridotto di quello poc’anzi analizzato in Somalia. Nel 2016, la Turchia ha esportato merci per un valore abbastanza modesto, poco più di 15 milioni di $, e importato beni per un valore di circa 2.3 milioni di $. Tuttavia, da agosto 2014, la Turkish Airlines (THY) effettua 3 voli tra Istanbul e Asmara ogni settimana, nonostante moderate esigenze sia turistiche sia lavorative. Ciò testimonia la salda presenza turca in Eritrea, Paese ritenuto molto importante nella diplomazia di Ankara in virtù della posizione geografica oltremodo strategica. Le coste eritree, che si affacciano sul Mar Rosso, esercitano una forte attrattiva per la Turchia, desiderosa, come abbiamo visto, di espandere il proprio ruolo geopolitico nel Corno d’Africa.

Il ruolo della “idro-diplomazia” nelle relazioni tra Turchia e Gibuti

Se la Somalia e l’Eritrea sono nazioni considerate importanti in chiave geopolitica, è Gibuti la vera “gemma pregiata” a cui mira Ankara per incrementare il proprio ruolo nel Corno d’Africa. A livello culturale i rapporti tra questi due Paesi sono molto stretti, soprattutto in seguito alla realizzazione della moschea “Abdulhamid Han II”. I Turchi hanno finanziato la costruzione di questa grande infrastruttura religiosa (la più grande del Paese), in grado di ospitare fino a 6.000 persone, con uno stile architettonico tipicamente ottomano che evoca, in maniera non troppo velata, il passato di dominazione turca. Oltre a ciò, si tenga presente il forte attivismo della TIKA (Türk İşbirliği ve Koordinasyon İdaresi Başkanlığı) [6], l’Agenzia Turca di Cooperazione e Coordinamento che ha accresciuto esponenzialmente la presenza della cultura, della società e dell’economia di Ankara nel piccolo Stato africano. Fondata nel 1992 con il precipuo compito di sostenere l’imprenditoria turca all’estero e aiutare le economie dei Paesi in via di sviluppo, questa agenzia dal 2018 opera attivamente a Gibuti in seguito all’apertura di vari uffici. Tra i compiti svolti dalla TIKA, si segnala quello della promozione dell’immagine turca all’estero. In conseguenza di ciò, molti giovani gibutini hanno avuto accesso a borse di studio che hanno consentito loro di proseguire le proprie carriere universitarie in Turchia.

Fig. 3: Logo della TIKA (Türk İşbirliği ve Koordinasyon İdaresi Başkanlığı)

Sia a livello religioso che culturale la presenza turca a Gibuti può essere considerata rilevante. Tuttavia, il vero asso nella manica che ha consentito alla Turchia di diventare un partner affidabile agli occhi dei governanti gibutiani afferisce alla cosiddetta “idro-diplomazia”. L’acqua, o meglio la gestione dell’acqua, costituisce un serio problema per Gibuti, che soffre ciclicamente sia di gravi siccità sia di ingenti danni ambientali dovuti alle inondazioni. Periodi di siccità si verificano molto spesso, per lo più a causa della natura arida del suo terreno. Per avere un’idea, si consideri che lo Stato è sovente costretto ad importare gran parte dei prodotti agricoli necessari per il proprio sostentamento dalla vicina Etiopia, uno degli Stati africani più ricchi in termini di risorse idriche. Oltre a ciò, si segnalano inondazioni nella parte meridionale del Paese, in prossimità di Ambouli, città sede dell’aeroporto internazionale di Gibuti. Fin dalla sua costruzione nel 1948, l’aeroporto ha sperimentato vari problemi legati alle inondazioni, le quali sono state spesso responsabili di sospensioni del traffico aereo ed ingenti danni di riparazione.

Consapevoli delle numerose difficoltà sperimentate da Gibuti nel corso del tempo proprio in virtù della gestione delle risorse idriche, i Turchi hanno cercato una valida soluzione che ponesse fine agli annosi problemi legati a siccità ed alluvioni. La soluzione ideata da Ankara si è basata sulla costruzione di una grande diga che regolarizzasse il flusso dei corsi d’acqua presenti nei pressi dell’aeroporto internazionale. Si tratta della Ambouli Friendship Dam, una grande diga realizzata proprio per prevenire le inondazioni e fornire risorse idriche sufficienti per l’agricoltura locale. Il volume delle scorte della diga è di 14 milioni di metri cubi d’acqua e il 100% del costo è coperto interamente dal governo turco, che ha affidato la realizzazione del progetto alla State Hydraulic Works (DSİ), una compagnia di stato specializzata nella costruzione di impianti idrici. Oltre alla regolazione dei flussi per scongiurare le alluvioni e alla creazione di un serbatoio idrico artificiale in grado di garantire importanti risorse in caso di siccità, la diga ha creato centinaia di posti di lavoro, apportando in tal modo un contributo significativo anche da un punto di vista occupazionale.

Fig. 4: Veduta aerea dell’Ambouli Friendship Dam
Fig. 5: Lavori di costruzione dell’Ambouli Friendship Dam

Nel dicembre 2019, Ahmed Mohamed Awaleh, Ministro per l’agricoltura, l’acqua e le risorse marine di Gibuti, espresse all’agenzia di stampa Anadolu Agency (AA) grande apprezzamento nei confronti della Turchia per essersi accollata le spese totali del progetto e per aver realizzato un’infrastruttura chiave per la vita e l’economia di moltissime famiglie gibutiane [7]. A ben vedere, infatti, la regolarizzazione dei flussi idrici rappresenta un grandissimo risultato per il piccolo Stato africano. La diga costruita dagli ingegneri di Ankara ha consentito a Gibuti di limitare gravi disagi in materia di approvvigionamento idrico e di evitare le frequenti inondazioni sopra menzionate. Come detto, la Turchia non ha (ancora) una base militare in questa piccola e strategica nazione africana. Tuttavia, in seguito al grande attivismo diplomatico portato avanti negli ultimi anni nel Corno d’Africa in generale e a Gibuti in particolare, si può ritenere che Ankara eserciti un’influenza significativa in tutta la regione. I legami storici, la vicinanza culturale dovuta alle comuni radici islamiche e le politiche pubbliche realizzate dalla TIKA hanno senza dubbio accresciuto il ruolo giocato dalla Turchia in queste terre. Tuttavia, proprio grazie alla costruzione dell’Ambouli Friendship Dam, la Turchia ha suggellato un legame molto stretto con Gibuti senza dover insediare una base militare all’interno dei suoi confini nazionali. L’idro-diplomazia, ovvero una strategia di politica estera che nei prossimi anni sarà sempre più al centro delle relazioni internazionali, ha consentito ai Turchi di accrescere il proprio ruolo in uno degli Stati più strategici dell’intero continente africano [8].


[1] Per ulteriori dettagli sulla vicenda si rimanda ad uno studio già pubblicato sul nostro sito, disponibile al seguente link: https://abaqua.it/la-turchia-e-la-diplomazia-dellacqua/.

[2] Per comprendere a fondo l’importanza di Gibuti nello scacchiere internazionale si tenga presente che la Cina, divenuta recentemente attore geopolitico di primissimo livello, ha inaugurato nel 2017 la sua prima base militare all’estero proprio in questo piccolo Paese del Corno d’Africa.

[3] Per ulteriori dettagli sulla questione in oggetto si rimanda a Giuseppe Gagliano, Ecco come la Turchia si espande nel Corno d’Africa, in «Start Magazine», Novembre 2020. L’articolo è disponibile al seguente link: https://www.startmag.it/mondo/ecco-come-la-turchia-si-espande-nel-corno-dafrica/.

[4] Per maggiori approfondimenti si rimanda agli articoli di Ibrahim Mukhtar, Turkey’s growing smart power in Somalia, Agosto 2021 (disponibile al seguente link https://www.aa.com.tr/en/asia-pacific/opinion-turkey-s-growing-smart-power-in-somalia/2340384) e Daily Sabah, 10 years of Turkey, Somalia friendship furthers tangible progress, Agosto 2021,(disponibile al seguente link https://www.dailysabah.com/politics/diplomacy/10-years-of-turkey-somalia-friendship-furthers-tangible-progress).

[5] La presenza turca in quell’area non sarà certo priva di conseguenze, in quanto i campi petroliferi in questione si trovano in un’area marittima di circa 10.000 chilometri quadrati, attualmente contesa da stati confinanti come il Kenya. Questa spinosa controversia è attualmente all’esame della Corte internazionale di giustizia. Cfr Gagliano, https://www.startmag.it/mondo/ecco-come-la-turchia-si-espande-nel-corno-dafrica/.

[6] Tra i vari ruoli di questa importante agenzia si segnalano: 1) Assistenza nello sviluppo dei Paesi e delle comunità turche. 2) Sviluppo della cooperazione economica, commerciale, tecnica, sociale, culturale ed educativa tra i Paesi e le comunità turche. 3) Sostegno a progetti e attività sociali e culturali volti a preservare il patrimonio e i valori culturali e sociali comuni tra i Paesi e le comunità turche. 4) Erogazione di borse di studio e assistenza a funzionari pubblici e altri individui stranieri per l’istruzione e la formazione in Turchia. 5) Assistenza tecnica e aiuti umanitari per promuovere la Turchia nel mondo.

[7] Per ulteriori dettagli sulla vicenda si rimanda a Daily Sabah, Dam built by Turkey helps Djibouti fight floods https://www.dailysabah.com/turkey/2019/12/02/dam-built-by-turkey-helps-djibouti-fight-floods.

[8] La Turchia utilizza molto l’idro-diplomazia come strumento per accrescere la propria influenza nel contesto internazionale. Per ulteriori dettagli si rimanda alle relazioni “idro-diplomatiche tra Turchi e Ciprioti, uno studio che abbiamo già pubblicato sul nostro sito. È disponibile al seguente link: https://abaqua.it/la-turchia-e-la-diplomazia-dellacqua/.

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