* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal sito di Burn Media, nella sezione Meme Burn, consultabile al seguente link: https://memeburn.com/2018/01/cape-town-dams-theewaterskloof/
Durante la prima metà del 2018 a Città del Capo si verificarono degli enormi problemi di approvvigionamento idrico. La capitale economica, nonché terza città più grande del Sudafrica, tra febbraio e aprile 2018 rischiò di vivere una situazione da incubo: assenza totale di acqua sia per le attività produttive sia per i bisogni primari della popolazione. In quei mesi la situazione era davvero disperata; il “Day Zero”, ovvero la data in cui si prevedeva che sarebbe terminata l’acqua, era stata fissata per il 22 di aprile. Disordini di ogni tipo con scenari drammatici caratterizzarono per diverse settimane la grande metropoli sudafricana. Fortunatamente, dopo un picco di sconforto generalizzato verificatosi durante gli ultimi giorni di marzo, la grave crisi idrica rientrò e il peggio fu scongiurato. Una serie di precipitazioni primaverili che colpirono Città del Capo rese possibile il superamento di uno scenario davvero tragico. Tuttavia, nonostante il lieto fine, ciò che ha caratterizzato la capitale economica del Sudafrica in quei mesi merita di essere studiato con attenzione per comprendere cosa non ha funzionato e per prevenire altre crisi di tale portata.
Innanzitutto, qualche dato. Città del Capo è un grande agglomerato urbano di circa quattro milioni di abitanti che nel corso degli ultimi anni ha sperimentato una poderosa crescita demografica. A partire dalla metà degli anni Novanta (2.4 milioni di abitanti) la popolazione di questa metropoli è aumentata esponenzialmente. A seguito di questo incremento non si è verificata una parallela crescita delle infrastrutture idriche cittadine, che sono rimaste sostanzialmente le stesse con lievi miglioramenti. Questa situazione è fotografata bene dai numeri. Se infatti dal 1995 ad oggi la popolazione della città è cresciuta del 79%, le autorità cittadine e il governo sudafricano insieme hanno provveduto ad apportare modeste modifiche alla rete idrica, che nei fatti è stata ampliata solo di un 15% (1). A tali circostanze di base si aggiunga la grave mancanza di precipitazioni che per circa tre anni aveva caratterizzato tutta l’area. Gli anni tra il 2016 e il 2018 erano stati i più secchi nel Paese dal 1933, ovvero da quando viene registrata l’umidità in Sudafrica. Per avere una chiara idea di quanto l’assenza di precipitazioni abbia influito sulla crisi idrica abbattutasi su Città del Capo si pensi che dai 1.100 millimetri di pioggia annui del 2013, nel 2017 si era arrivati a soli 500 millimetri, cioè meno della metà (2).
La crisi del 2018 venne favorita anche da altri fattori indirettamente connessi al mancato ammodernamento delle infrastrutture idriche e alle scarse precipitazioni. Da un punto di vista politico-amministrativo, per esempio, si ritiene che la vicenda sia stata gestita non al meglio. Secondo la legge sudafricana, è compito dello Stato centrale finanziare e ristrutturare le opere pubbliche, mentre le amministrazioni locali si occupano di provvedere al corretto funzionamento e alla fruizione da parte dei singoli cittadini. Questa dicotomia organizzativa non è molto funzionale per una gestione efficace della res publica, soprattutto in periodi di crisi quando le decisioni devono essere prese con una certa celerità. Se poi, come si è verificato nel caso sudafricano, le amministrazioni nazionali e locali appartengono a diversi schieramenti politici, la situazione può diventare insostenibile, a tratti pericolosa. A tal proposito, i ritardi nella gestione della crisi idrica sono dipesi anche dal fatto che l’Alleanza Democratica (AD), organizzazione politica di opposizione rispetto al partito di governo (Congresso Nazionale Africano, ANC), dal 2006 amministra la città e dal 2009 la provincia. Ciò potrebbe inevitabilmente aver complicato la collaborazione tra le autorità cittadine e lo Stato centrale. Il fatto che il sistema idrico non fosse gestito dalle autorità locali ma da quelle nazionali, che negli anni Novanta chiesero e ottennero l’amministrazione delle dighe e dell’acquedotto, sembra aver influito in maniera negativa sulla qualità delle misure adottate per far fronte alla crisi.
La rete idrica di Città del Capo e le misure adottate per scongiurare la crisi
La rete idrica è composta principalmente da sei grandi dighe situate nella zona montuosa della città. In linea teorica, esse dovrebbero essere in grado di soddisfare il fabbisogno di acqua dolce degli oltre quattro milioni di abitanti. Come è noto, le dighe si riempiono d’acqua soprattutto in inverno, da maggio ad agosto, svuotandosi maggiormente d’estate, tra dicembre e febbraio. L’infrastruttura idrica più rilevante è senza dubbio la diga di Theewaterskloof; costruita nel 1978 ed inaugurata nel 1980, ha una capacità di 480 milioni di metri cubi d’acqua, circa il 41% della capacità di stoccaggio dell’acqua disponibile a Città del Capo.
Come detto poco sopra, il clima secco e la quasi totale assenza di precipitazioni che ha contraddistinto il triennio 2016-2018 stressò oltremodo le poco moderne infrastrutture idriche della metropoli sudafricana. Per avere un’idea sulla situazione disperata che si è verificata nella primavera 2018 basta fare un confronto tra la Fig. 3 e la Fig. 4.
Ad onor del vero, le autorità cittadine tentarono disperatamente di porre rimedio alla difficile situazione adottando misure anche molto drastiche per scongiurare il cd “Day Zero”. Va segnalato che, per certi aspetti, gli abitanti di Città del Capo fecero la loro parte patendo grossi disagi ai limiti della sopportazione. Secondo uno studio britannico, nel giro di tre anni i consumi di acqua si ridussero moltissimo. Si passò dagli 1.2 miliardi di litri consumati annualmente ai 500 milioni di litri dell’inizio del 2018, quando cioè la capacità idrica stimata nelle dighe cittadine era scesa sotto la preoccupante soglia del 13,5% (3). Le misure contenitive imposte dalla sindaca Patricia de Lille, in carica dal primo giugno 2011 al 31 ottobre 2018, colpirono per prime le attività commerciali. I ristoranti si adeguarono alla mancanza d’acqua usandola sia meno di prima sia tramite l’ausilio di piatti (usa e getta), mentre i parrucchieri per vari mesi hanno offerto sconti ai clienti che si lavavano i capelli a casa. Gli organizzatori di eventi, dalle gare sportive alle conferenze, si sono attrezzati per portarsi da soli le bottiglie d’acqua. Vennero inoltre sospese alcune attività; ad esempio, con diverse ordinanze la sindaca proibì di riempire le piscine, lavare le auto e i marciapiedi, innaffiare i giardini e i campi sportivi.
A subire le conseguenze più gravi delle misure restrittive fu senza dubbio l’agricoltura. I contadini furono costretti a ridurre i consumi d’acqua del 40%, e ad affidarsi in molti casi a riserve idriche private. In conseguenza di ciò, la produzione è calata di circa un quinto, con il nefasto risultato della perdita di migliaia di posti di lavoro non solo nelle campagne cittadine ma anche in tutta la provincia. Dal distretto di Città del Capo, infatti, proviene metà dei prodotti agricoli esportati dal Sudafrica. Si tratta principalmente di coltivazioni che usano molta acqua, come agrumi e uva.
Nonostante queste drastiche misure, che non toccavano direttamente il benessere individuale degli abitanti di Città del Capo ma, in maniera estensiva, afferivano alla sfera consumistico-ricreativa e agricola, la situazione non faceva che peggiorare, complice l’assenza di piogge. A quel punto, vista la gravità del momento, si decise di intervenire anche sul piano individuale. Le autorità municipali istituirono un limite individuale di 50 litri di acqua consumata al giorno, contro la media mondiale di 185 litri. Si trattò di una misura estremamente severa che scatenò proteste e guerriglie urbane in varie parti della metropoli per intere settimane. A cavallo tra febbraio e marzo 2018 non era infrequente imbattersi in bande di disperati alla ricerca di fonti da cui poter abbeverarsi o prendere acqua per scopi domestici.
Questa situazione difficile era peraltro esacerbata dalle caratteristiche intrinseche di Città del Capo, dove risultano ancora oggi evidenti i segni dell’apartheid. La metropoli sudafricana è infatti ancora profondamente diseguale dal punto di vista socioeconomico. I suoi quartieri centrali e benestanti, abitati principalmente da bianchi, sono contrapposti alle periferie povere e degradate, abitate da neri. Questo ha fatto sì che imposizioni sulla sfera individuale per far fronte alla crisi, come ad esempio la limitazione di docce di 60 secondi o la morigeratezza nell’uso degli scarichi sanitari e del bucato, fossero recepite con un certo fastidio nelle zone benestanti e bianche della città. In molti casi gli abitanti più ricchi si sono dotati di cisterne private per immagazzinare l’acqua, non contribuendo di fatto al risparmio idrico auspicato dalla sindaca Patricia de Lille. Nei quartieri poveri, inoltre, non sono mancate rivolte contro le autorità che avevano imposto delle restrizioni in zone già soggette a difficoltà di approvvigionamento idrico. Insomma, la composizione multietnica e ancora classista che caratterizza Città del Capo non ha di certo influito positivamente nella gestione della crisi.
Il superamento della crisi: una lezione per il mondo
Nonostante la situazione non facesse che peggiorare sotto il profilo sia pubblico che privato, Città del Capo non sperimentò mai il tanto temuto “Day Zero”. Una serie di forti precipitazioni primaverili, unite alle politiche di risparmio energetico che per mesi le autorità cittadine avevano adottato, scongiurarono il peggio. Col passare del tempo, i bacini idrografici si riempirono nuovamente e la popolazione della città poté gradualmente tornare a vivere una vita normale. Ci vollero mesi, tuttavia, prima che la situazione si normalizzasse; per tutto il 2018, infatti, la metropoli sudafricana rimase in uno stato di costante osservazione. Ancora oggi, proprio in virtù di quei caotici e per certi aspetti terribili mesi, Città del Capo porta i segni di quanto si è verificato. Il settore agricolo, che nel frattempo aveva perso circa 30.000 posti di lavoro sia in città sia in provincia, non si è del tutto ripreso (4). Soprattutto nei quartieri più poveri, bacino da cui molti imprenditori agricoli sudafricani erano soliti reperire manodopera a basso costo, sono tuttora presenti bande di sbandati che in precedenza venivano impiegati nelle campagne nei dintorni della città. Nei quartieri più ricchi, inoltre, è molto frequente trovare ancora oggi a tre anni dalla crisi numerose cisterne all’esterno delle case. Ormai tali cisterne fanno per così dire parte della componente architettonica di intere aree della città.
Sono molti i motivi per cui non solo gli addetti ai lavori ma anche l’opinione pubblica e le organizzazioni internazionali dovrebbero considerare gli eventi di Città del Capo con la massima attenzione. Prima di tutto, il fatto che una crisi idrica di tale portata si sia verificata proprio in Sudafrica, che è un Paese certamente “più strutturato” rispetto ad altri nel panorama continentale, dovrebbe far riflettere molto. A livello economico, il Sudafrica è un Paese estremamente rilevante; fa stabilmente parte del G20, dei BRICS e detiene un prodotto interno lordo di circa 330 miliardi di dollari annui. Non è certo poca cosa, soprattutto se si fa riferimento anche al PIL pro-capite dei Sudafricani, che ammonta a 5.400 dollari. Rispetto al PIL pro-capite medio dell’Africa, che ammonta a 1.900 dollari, possiamo constatare che la situazione economica sudafricana è significativamente positiva (5). Oltre a ciò, si tratta di una nazione industrializzata che da anni ha investito copiosamente in grandi impianti di produzione di energia rinnovabile. Quattro dei dieci stabilimenti di energia solare e fotovoltaica più importanti in Africa sono presenti, o sono in fase di realizzazione, proprio in Sudafrica. Nonostante tutto questo, il governo con sede a Pretoria e le autorità municipali di Città del Capo non sono state in grado di prevenire per tempo la crisi idrica che si stava profilando già a partire dal 2016, quando cioè le precipitazioni avevano iniziato a scarseggiare e i livelli dei bacini idrografici cittadini avevano iniziato a scendere. Questo perché l’approvvigionamento idrico è un tema assai complesso che richiede coordinazione, programmazione e puntualità nelle misure da adottare.
Il caso sudafricano è stato per certi aspetti molto utile, in quanto ha permesso di saggiare come una crisi idrica di ampia portata possa sconvolgere la vita di una metropoli. Si è trattato infatti della prima grande città che si è trovata a dover gestire la minaccia di una chiusura totale dei rubinetti per mancanza di acqua. È un caso dunque che farà scuola. Le lezioni apprese dalla vicenda di Città del Capo sono molte. Innanzitutto, secondo Neil Armitage, professore universitario di “costruzioni idrauliche” proprio a Città del Capo, in seguito agli eventi del 2018 siamo ufficialmente alla fine dell’era delle dighe. Il risparmio e la diffusione delle norme sul corretto uso dell’acqua per scopi domestici saranno le principali armi che le grandi città dovranno adottare per prevenire eventuali crisi di approvvigionamento nel prossimo futuro. Dighe, cisterne, bacini artificiali di ampia portata e quant’altro, stando al pensiero dello scienziato, possono essere utili ma non garantiscono in maniera efficace la risoluzione del problema. Anche perché in assenza di piogge, come testimoniato dal caso sudafricano, si possono anche costruire numerosi bacini idrografici ma, se non si ha la possibilità di riempirli, servono a ben poco.
Secondariamente, è opportuno che da un punto di vista politico vi sia un’unione di intenti da parte di tutte le componenti coinvolte. Infatti, tra le principali ragioni che hanno portato la capitale economica del Sudafrica sull’orlo del disastro vi è certamente la dicotomia amministrativa governo- provincia che, come segnalato poco sopra, potrebbe aver influito in maniera pesantemente negativa sulla gestione delle infrastrutture idriche. Sia in fase di programmazione, sia soprattutto all’approssimarsi di una crisi, è opportuno che tutti gli organi istituzionali e i partiti politici in ballo adottino teleologicamente una medesima strategia. Dunque, sarebbe auspicabile un deciso coordinamento politico, soprattutto in quei sistemi amministrativi organizzati su più livelli decisionali.
Infine, è importante dotarsi di piani emergenziali che possano far fronte ad eventuali problematiche connesse al mancato approvvigionamento idrico. Oltre ad infrastrutture vetuste e a difficoltà organizzative, ciò che è mancato a Città del Capo tra febbraio e aprile 2018 è stata una pianificazione per così dire “di emergenza”. Sia le autorità cittadine sia il governo, infatti, hanno reagito in maniera passiva agli eventi. Non sono state ideate strategie alternative che potessero scongiurare o rendere meno pesante il disagio sopportato dalla popolazione. Ad esempio, il governo di Pretoria che, come detto, è responsabile della realizzazione delle opere pubbliche, ha proposto la costruzione di un dissalatore solo tardivamente e a crisi già iniziata. La desalinizzazione non è certo una panacea ma, in alcune gravi circostanze, può costituire un valido metodo per produrre acqua dissalata in grado di sopperire alla mancata fornitura tradizionale. La Tsogo Sun Holdings Ltd, il più grande operatore alberghiero del Sudafrica, nel febbraio 2018 iniziò la costruzione di un impianto di desalinizzazione per garantire i propri hotel. L’amministratore delegato di Tsogo, Ravi Nadasen, durante quelle caotiche settimane dichiarò più volte che la difficile situazione idrica di Città del Capo non era più da considerarsi straordinaria, ma una “nuova normalità”. Era dunque indispensabile che, in virtù della passività istituzionale, anche le imprese private dotate di una certa rilevanza finanziaria si attivassero per contribuire positivamente in un contesto di grande difficoltà.
Durante la prima metà del 2018 Città del capo è stata vittima di una vera e propria “tempesta perfetta”. Crescita esponenziale della popolazione in tempi brevi, mancanza di precipitazioni, inattività e indecisione politica, infrastrutture idriche non all’altezza e mancanza di un piano emergenziale hanno costituito un combinato disposto micidiale. Molte città, in futuro, potrebbero sperimentare situazioni simili, in particolar modo per ciò che concerne alcune aree del mondo dove la rapida crescita demografica delle metropoli non sempre viene accompagnata da adeguati piani di sviluppo urbano. L’Africa sub-sahariana e l’Asia orientale, in virtù di peculiari caratteristiche sociopolitiche, potrebbero sperimentare crisi di simile portata da qui a qualche anno. Auspichiamo che gli eventi sudafricani descritti in questo paper possano costituire una valida lezione su cosa non fare per scongiurare una crisi idrica. Si tenga presente, infatti, che le crisi di approvvigionamento idrico non si verificano in poco tempo o dal giorno alla notte. Spesso sono il risultato di anni di incuria, indecisione amministrativa e scelte politiche sbagliate.
1 https://www.rinnovabili.it/ambiente/crisi-idrica-citta-del-capo/
2 https://www.ilpost.it/2018/05/06/siccita-citta-del-capo/
3 https://www.globalcitizen.org/en/content/cape-town-water-crisis-day-zero-overflowing-dams/?template=next
4 https://www.globalcitizen.org/en/content/cape-town-water-crisis-day-zero-overflowing-dams/?template=next
5 Non è questa la sede opportuna per entrare maggiormente nel dettaglio della situazione economica sudafricana ma si tenga presente che, a fronte di dati tutto sommato positivi, il Sudafrica sperimenta ancora oggi una forte diseguaglianza economico-sociale. La ricchezza è detenuta in larga parte dalla popolazione bianca (10%), che dispone di circa del 60% del totale.