* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal sito di Trevi SPA alla sezione Media Gallery, consultabile al seguente link: https://www.trevispa.com/it/MediaGallery/diga-di-mosul.
Il controllo delle risorse idriche ha da sempre rappresentato un’imprescindibile necessità per gli esseri umani. Ponti, porti e canali sono infatti tra le infrastrutture più strategiche realizzate nel corso del tempo in varie parti del mondo e in epoche storiche diverse. In seguito ai poderosi sviluppi tecnologici ed ingegneristici verificatesi negli ultimi decenni, oggigiorno è possibile costruire importanti strutture idriche capaci di esercitare un controllo enorme su interi ecosistemi e regioni: stiamo parlando delle dighe o, per essere più precisi, delle “mega-dighe”. Imponenti in altezza e potenza, le mega-dighe sono attualmente causa di numerose dispute a livello internazionale tra Stati sovrani. Molto spesso la costruzione, e soprattutto la gestione, di queste infrastrutture dà vita ai cosiddetti Tranboundary Water Conflicts (TWC), ovvero ai conflitti idrici trans-frontalieri tra Paesi che, loro malgrado, condividono uno o più corsi d’acqua. A tal proposito, basti pensare alle ricorrenti tensioni intercorse tra Turchia e Siria per la gestione del fiume Eufrate o alla preoccupante situazione geopolitica tra Egitto ed Etiopia in merito alla Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) progettata da Addis Abeba sul Nilo Azzurro.
Tecnicamente, la Diga di Mosul rientra a pieno titolo nella categoria delle mega-dighe. Situata sul fiume Tigri nella parte nord-occidentale dell’Iraq, è la più grande diga del Paese e la quarta di tutto il Medio Oriente. Dista circa 60 km da Mosul, città di grande importanza regionale a livello strategico e demografico1. La sua costruzione iniziò sotto il regime di Saddam Hussein il 25 gennaio 19812 ed entrò in funzione in tempi relativamente brevi, il 7 luglio 1986. Alta 113 metri e lunga 3.6 chilometri, la diga fa parte di un progetto polivalente ideato per tre scopi diversi:
1) fornire acqua come fonte di irrigazione;
2) esercitare funzione di controllo delle inondazioni;
3) produzione di energia idroelettrica.
Insomma, si tratta di un’infrastruttura idrica oltremodo rilevante a livello economico e sociale per tutta la regione nord-irachena.
Una struttura di questa portata ha bisogno di manutenzione costante da parte di personale altamente specializzato. Le mega-dighe sono opere complesse, difficili da costruire e ancor più da manutenere, soprattutto a causa dell’immensa mole d’acqua da gestire. Nel caso della Diga di Mosul, si tenga presente che il volume del bacino idrico è di circa 11.100 milioni di metri cubi d’acqua. Si tratta di una massa idrica gigantesca che se mal gestita o artatamente manomessa potrebbe causare non solo gravi disagi a milioni di cittadini iracheni, ma anche morte e distruzione in tutto il Paese. A tal riguardo, secondo esperti del Genio militare USA, la distruzione della diga procurerebbe danni ingenti in termini di vite umane (circa mezzo milione di persone). In aggiunta, secondo la disamina tecnica di Nadhir al-Ansari, ingegnere iracheno che partecipò alla costruzione della diga e che oggi vive e insegna in Svezia, la manomissione della diga potrebbe comportare incidenti gravi in grado di causare la morte di un milione di persone oltre ad una crisi economica senza precedenti in tutto l’Iraq.
Apparentemente, i numeri sopracitati potrebbero essere considerati allarmistici, in particolar modo per ciò che concerne il numero delle vittime. In realtà, stando ad una serie di studi internazionali3, un improvviso cedimento della diga causerebbe un’onda anomala fluviale molto potente in grado di arrecare danni effettivi molto gravi. L’onda che si sprigionerebbe, stando gli esperti, sarebbe in grado di raggiungere Bagdad, distante circa 350 km da Mosul, nel giro di 6 ore. La capitale irachena sarebbe sostanzialmente invasa da milioni di metri cubi d’acqua in grado di mettere letteralmente in ginocchio la maggior parte delle attività produttive, oltre che ad essere foriera di enormi disagi sul piano umano. Inoltre, si stima che, seppur con minor potenza, l’onda potrebbe causare disagi anche a Bassora, la grande metropoli meridionale distante più di 400 chilometri da Bagdad, situata alla confluenza tra il Tigri e l’Eufrate. Alla luce di questi interessanti quanto preoccupanti dati, la Diga di Mosul è stata spesso definita come la vera arma di distruzione di massa irachena4.
Il coinvolgimento italiano nella difesa e manutenzione della grande diga
Quando Mosul venne conquistata dallo Stato Islamico nel giugno 2014, l’Iraq e la Comunità Internazionale accusarono, per così dire, il colpo. Non solo, infatti, una delle maggiori città irachene era caduta sotto il controllo dei terroristi neri; dopo pochi mesi divenne persino una delle loro capitali insieme alla città siriana di Raqqa, conquistata qualche mese prima, nel gennaio 2014. In seguito a questi eventi la sicurezza della diga divenne di primaria importanza. Come detto, Mosul dista solo 60 chilometri dalla grande struttura idrica. Se quest’ultima fosse caduta nelle mani sbagliate le conseguenze per l’Iraq avrebbero potuto essere catastrofiche. A complicare una situazione già oltremodo spinosa, nel corso del tempo la diga aveva dato segni di cedimento in più punti. Necessitava infatti di lavori di riqualificazione, trattandosi di un’infrastruttura costruita a partire dal 1981; inoltre, come tutte le grandi dighe, è soggetta ad un’usura molto veloce, soprattuto a causa dei sedimenti che, col passare degli anni, possono erodere in maniera evidente alcune delle strutture portanti. Insomma, la Diga di Mosul nei primi mesi del 2015 era in precarie condizioni, dovute alla mancanza di una corretta manutenzione, e rischiava di cadere sotto il controllo di fanatici religiosi senza scrupoli, pronti a tutto per imporre la loro distorta visione del mondo.
Il governo iracheno, per risolvere la questione relativa al deterioramento della diga, indisse un bando internazionale rivolto ad aziende specializzate nella manutenzione di grandi infrastrutture. Nel marzo 2016 questo bando venne vinto dalla nostra Trevi SPA, alla quale il Ministero delle Risorse Idriche di Bagdad affidò un importante progetto di riqualificazione5. Tuttavia, in quei mesi la situazione in Medio Oriente era tutt’altro che tranquilla. Lo Stato Islamico nel 2016 era all’apice della sua espansione territoriale, controllava vaste regioni a cavallo tra la Siria orientale e l’Iraq nord-occidentale. L’azienda italiana con sede a Cesena fu dunque incaricata di provvedere al restauro di un’opera idrica di estrema rilevanza strategica in condizioni di enorme pressione, dovuta alla presenza di elementi ostili e pericolosi a poche decine di chilometri dalla diga. Per ovviare a questo problema, il governo italiano, che in quei mesi era presieduto da Matteo Renzi, decise di inviare un supporto logistico e militare a difesa sia della diga sia dei tecnici mandati sul posto dalla Trevi per onorare il contratto siglato con Bagdad. La missione militare italiana, dall’evocativo nome Prima Parthica6, era composta da 1.500 soldati ai quali era stato affidato il compito di proteggere la diga dagli attacchi dello Stato Islamico e di difendere gli operai e gli ingegnerei della Trevi impegnati nella ristrutturazione. Tra i vari compiti previsti dall’operazione vi era anche quello di fornire addestramento militare alle truppe curdo-irachene di stanza nel KRG (Kurdish Regional Government), la regione autonoma settentrionale a maggioranza curda con capitale Erbil. Insomma, il coinvolgimento italiano in quella parte di mondo aveva scopi poliedrici che interessavano vari ambiti.
L’invio di truppe italiane sul suolo iracheno si inserì in un contesto di tutela degli interessi nazionali di Roma in Medio Oriente, soprattutto in una nazione considerata strategica come l’Iraq. Oltre alla Trevi, infatti, erano e sono tutt’ora numerose le aziende del Bel Paese che operano nel tessuto economico iracheno. In primis l’ENI, presente in Iraq dal 2009, che conduce attività di sviluppo di idrocarburi su una superficie di oltre 1.000 chilometri quadrati, 446 dei quali gestiti direttamente dalla multinazionale italiana. Le attività di produzione e sviluppo sono regolate da un Technical Service Contract (TSC). La produzione è fornita principalmente dal giacimento Zubair, a ovest di Bassora, di cui Eni ha una quota del 41,6% e che solo nel 2018 ha prodotto ben 34.000 barili al giorno (in quota all’azienda italiana). Le attività di sviluppo riguardano, invece, l’esecuzione del cosiddetto ERP (Enhanced Redevelopment Plan), ovvero di un piano per incrementare la produzione petrolifera per il progetto di Zubair, che consentirà di raggiungere il livello produttivo di 700.000 barili al giorno nei prossimi anni.
Oltre al Cane a sei zampe, sono presenti sul territorio iracheno anche Bonatti e Renco, altre due importanti aziende italiane che operano nel Paese in joint venture da fine 2017. Svolgono un’importante funzione manutentiva delle otto turbo-gas che alimentano gli impianti di Zubair, dove peraltro opera la stessa ENI. Inoltre, stando ai dati forniti dall’osservatorio economico della Farnesina7, sarebbero numerose le aziende italiane attive su tutto il territorio iracheno. Tra le più note vale la pena menzionare Ge-Bh Nuovo Pignone (fornisce macchinari, apparecchiature e prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio), Maeg Costruzioni, Mdt – Mc Drill Technology (produce macchinari e apparecchiature), Panigada Engineering, Melete (specializzata nella raffinazione del petrolio), Pitaly (fornisce macchinari, apparecchiature e costruzioni), Saipem, Sicim SPA (costruzioni), SSE (Sirio Sistemi Elettronici, si occupa di prodotti elettronici, elettromedicali e ottici).
Conclusione
Il coinvolgimento diretto di Roma nella difesa e manutenzione della Diga di Mosul è un chiaro segnale di quanto l’Italia abbia a cuore la tutela delle risorse idriche in un Paese chiave come l’Iraq. Naturalmente, come abbiamo visto, sono molti gli interessi che ci legano al Paese arabo, dal settore delle costruzioni a quello energetico. Ciò nondimeno, la missione Prima Parthica, che ha portato sul territorio iracheno ben 1.500 soldati, è stata lanciata con il precipuo obiettivo di sorvegliare la diga e sovrintendere alla difesa del personale italiano ivi operante. Se escludiamo il contingente di stanza in Libano, presente dal 2006 con l’operazione “Leonte”, la missione italiana in Iraq era la maggiore per numero di effettivi. Nel 2019, quando cioè si concluse Prima Parthica, il numero dei soldati italiani impegnati nelle missioni all’estero era di circa 5.700 in oltre 20 Paesi, dal Kosovo all’Afganistan, dalla Libia alla Somalia oltre che alle due sopracitate nazioni arabe. Dunque, più del 26% dei militari impiegati in giro per il mondo venne destinato alla difesa della Diga di Mosul.
Un coinvolgimento così diretto da parte dell’Italia, Paese tradizionalmente restio ad inviare sul campo un cospicuo numero di uomini, ci obbliga ad effettuare un paio di riflessioni. Prima di tutto, è opportuno prendere atto quanto le questioni idriche abbiano progressivamente guadagnato attenzioni sia presso Palazzo Chigi sia alla Farnesina. L’Italia si è dimostrata una delle prime nazioni europee a prendere in seria considerazione un problema che sarà sempre più presente nei prossimi anni in varie parti del mondo: l’accesso all’acqua e la lotta per il controllo delle fonti idriche. La buona riuscita di tutta l’operazione irachena ha reso Roma un interlocutore credibile a livello globale in quest’ottica. In secondo luogo, l’attivismo italiano nella manutenzione e protezione della Diga di Mosul ha aperto un nuovo e interessante capitolo nella nostra strategia diplomatica. Stiamo parlando della cosiddetta “idro-diplomazia”, che ha permesso a Roma non solo di sostenere una nazione amica in difficoltà, ma che ha anche accresciuto notevolmente la presenza del nostro Paese nel tessuto socio-economico dell’Iraq. I legami tra Italia e Iraq dopo la proficua operazione di restauro della diga sono molto forti; ciò apre scenari positivi sia per le altre nostre aziende che vogliono investire nel Paese arabo sia per la vicinanza istituzionale tra Roma e Bagdad, sempre più unite da un rapporto di vicendevole fiducia.
1 Stando ai dati forniti dal governo iracheno, Mosul è una popolosa metropoli settentrionale con più di un 1.600.000 abitanti. Proprio a causa del suo grande valore strategico, la conquista della città da parte dello Stato Islamico nel giugno 2014 destò grande scalpore in Occidente.
2 Per molto tempo venne identificata sia in Iraq che in Medio Oriente come la “diga di Saddam”.
3 Per ulteriori dettagli in merito si rimanda al report pubblicato da Dexter Filkins, A Bigger Problem Than ISIS?, in «The New Yorker», 2 gennaio 2017.
4 Per ulteriori dettagli sul tema si consiglia Francesca Simi & Paola Sconzo, Settlement Dynamics on the Banks of the Upper Tigris, Iraq: The Mosul Dam Reservoir Survey (1980), in «Journal of Open Archaeology Data», Vol. 3, 2020.
5 Il governo di Bagdad stanziò 300 milioni di dollari per riqualificare la diga, circa 273 milioni di euro.
6 Il nome della missione italiana è stato scelto in onore della prima gloriosa legione che, ai tempi dell’Impero Romano, si era spinta molto ad oriente fino ad entrare in contatto con i Parti, storici abitanti di queste terre.
7 https://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=105