* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal sito Go World, alla sezione Go Afrique consultabile al seguente link: https://www.goafrique.it/cenni-sul-lago-ciad-lago-africano-oggi-ridotto-nella-sua-estensione/
Le crisi ambientali costituiscono uno dei principali motivi per cui gli esseri umani decidono di emigrare. Guerre, carestie, mancanza di prospettive economiche e di sviluppo non sono le uniche, ancorché validissime, ragioni che spingono milioni di individui a lasciarsi tutto alle spalle per cercare un futuro migliore. In questo peculiare momento storico, le crisi ambientali, soprattutto se legate a difficoltà di approvvigionamento idrico, rappresentano un fattore che deve essere necessariamente tenuto in considerazione per studiare in maniera corretta le dinamiche migratorie. La difficile e, per certi versi, molto preoccupante situazione del Lago Ciad si inserisce perfettamente in tale ottica. Attualmente, questo grande bacino idrico sta attraversando una gravissima crisi che impatta in maniera molto significativa sulla vita, sulla società e sull’economia di circa 30/35 milioni di persone residenti in prossimità del lago. Questo tema, peraltro, ci riguarda molto da vicino, visto che un alto numero di migranti provenienti dall’Africa diretti in Italia proviene dalla Nigeria settentrionale, area direttamente interessata dalla crisi ambientale in corso nel Lago Ciad.
Per una serie di fattori, che verranno trattati in questo paper, la crisi che caratterizza il Lago Ciad raggiunge un livello di criticità decisamente inquietante. Come si sa, molti ecosistemi al giorno d’oggi sono soggetti ad alterazioni preoccupanti. Queste ultime sono provocate per lo più da fattori ambientali, tra cui il cambiamento climatico, o da interventi umani. Come accade spesso, ad una crisi ambientale se ne associa una di tipo socioeconomico, dal momento che ancora oggi le comunità umane traggono gran parte del proprio sostentamento dal territorio in cui risiedono. Tuttavia, ciò che si sta verificando nel bacino del Lago Ciad va oltre la “semplice” crisi ambientale con i consueti effetti negativi sul piano sociale ed economico. Infatti, alla difficile situazione sotto il profilo dell’approvvigionamento idrico, della desertificazione e della mancanza di sviluppo economico si sommano una serie di questioni politico-amministrative che rendono il bacino di questo lago una delle aree più inospitali del mondo.
Storia “ambientale” del Lago Ciad
Nel momento in cui si scrive, il Ciad risulta un lago trans-frontaliero di medio-grandi dimensioni che occupa una superficie afferente a quattro Stati africani localizzati nel Sahel sud-occidentale. Come si evince dalla Fig. 1, gli Stati sono il Niger, il Ciad, il Camerun e la Nigeria. L’estensione del bacino idrico in questione è di poco superiore ai 1.500 km², in costante diminuzione da circa sessant’anni. Solo pochi decenni fa, infatti, il Ciad aveva un’estensione di assoluto rispetto e rappresentava un’importantissima riserva idrica per l’Africa centro-occidentale. Tale situazione è fotografata bene dai numeri. Negli ultimi sessant’anni la superficie del lago si è ridotta di oltre il 90% passando, nella stagione delle piogge, dai 25.000 km² del 1960 agli attuali 1.540. Per avere un riscontro grafico di questa situazione si invita a consultare le Fig. 2 e 3.
Le ragioni per cui questo importante lago ha visto progressivamente ridursi la propria portata sono molte. Innanzitutto, va tenuta in considerazione la conformazione geologica del bacino idrico oggetto di analisi. Il Lago Ciad è tecnicamente “endoreico”, ovvero è un bacino idrografico senza emissari. Solitamente, le depressioni endoreiche si trovano all’interno di vaste aree continentali, tettonicamente stabili, dove grandi avvallamenti topografici locali costituiscono un punto di convergenza per la circolazione delle acque superficiali, che formano appunto i laghi. Questi ultimi possono essere anche di proporzioni molto vaste, arrivando addirittura a formare i cd “mari interni”. Un esempio di questo tipo è il Mar Caspio, il maggiore lago del mondo (371.000 km²), situato al centro di un bacino endoreico esteso su svariati milioni di km² che comprende, fra gli altri, i bacini imbriferi dei fiumi Volga e Ural. Le regioni endoreiche possono svilupparsi in qualsiasi clima, ma si trovano principalmente in zone desertiche, come nel caso del Lago Ciad che è situato appunto nelle propaggini meridionali del Sahara, il deserto più esteso al mondo.
Privo di emissari, il Ciad riceve a sé solo le acque del Logone e del Chari, che vi si riversano formando un vasto delta a sudovest del Komadugu-Yobe[1], medio-grande fiume dell’Africa occidentale che segna il confine fra la Nigeria e il Niger. La mancanza di emissari fa sì che il Ciad sia un lago in cui il rifornimento idrico è spesso soggetto al volume delle precipitazioni. Una delle caratteristiche del lago, infatti, è la poca profondità, segno appunto di uno scarso apporto idrico che ha impedito la formazione di un bacino profondo. In media, il Ciad ha una profondità di 1.5 metri, con picchi che arrivano a 11 metri. Si tratta di ben poca cosa, soprattutto se il corso d’acqua in questione è soggetto a ricorrenti crisi idriche. Questa situazione comporta che, in caso di siccità, non si verifica un “semplice” abbassamento delle acque ma, fatto di gran lunga più problematico, può verificarsi una vera essiccazione di intere aree, a seconda dell’intensità della crisi del momento.
Stando ad alcune teorie, il Ciad attuale sarebbe il residuo di un grande mare interno che nel pleistocene[2] aveva un’estensione enorme, di circa 400.000 km². Quest’ultimo, ribattezzato dagli esperti Mega Chad, si sarebbe progressivamente prosciugato fino a raggiungere le preoccupanti dimensioni odierne. Come si evince dalla Fig. 4, il Lago Ciad dei nostri giorni non è che uno “stagno” se paragonato al grande mare interno del passato. Dotato di depressioni rilevanti, che raggiungevano anche i 180 metri di profondità, il Mega Chad costituiva la principale riserva idrica dell’Africa centro-occidentale.
Come detto, vista la sostanziale assenza di emissari, il Ciad fa necessariamente affidamento sulle precipitazioni piovose per circa il 90% del proprio approvvigionamento idrico. In caso di riduzione del volume delle precipitazioni, la principale linea di rifornimento viene a mancare, mandando di fatto in affanno le risorse idriche del lago. A tal proposito, tra le cause del lento ed inarrestabile processo di prosciugamento che ha contraddistinto il Ciad negli ultimi decenni si segnala proprio la forte riduzione del volume delle piogge che ha di recente caratterizzato l’Africa occidentale. Le terribili siccità che hanno colpito la regione del Sahel negli ultimi trent’anni, risultato di scarse precipitazioni, ha certamente favorito la progressiva erosione delle risorse idriche lacustri. Stando ai dati, si è verificato un deficit pluviometrico accertato del 50-65% dal 1970[3]. Ciò ha contribuito a rendere critica una situazione che stava già lentamente aggravandosi, vista soprattutto la scarsa profondità media che contraddistingue, come già analizzato, il Lago Ciad. La trentennale siccità ha inoltre favorito una massiccia evaporazione delle acque, stressando in tal modo ulteriormente il bacino idrico già in affanno.
La regione saheliana in cui è localizzato il Ciad risulta attualmente una delle aree più soggette al cambiamento climatico dell’intero continente africano. Infatti, a lunghi periodi di forti siccità si sono alternati brevi ma intensissimi fenomeni di precipitazioni torrenziali che hanno, se possibile, persino aggravato la situazione. A questi riguardi, si segnala che nel 2020 la zona interessata ha registrato le precipitazioni più pesanti degli ultimi decenni. Ciò ha sconvolto la vita di centinaia di migliaia di famiglie, distruggendo o arrecando gravi danni ai villaggi e nei campi e costringendo oltre un milione di persone a spostarsi. In conseguenza di ciò, fame e malnutrizione permangono su livelli critici, nonostante la presenza di precipitazioni che, almeno in teoria, avrebbero potuto apportare qualche beneficio alle popolazioni residenti in prossimità del lago. Invece, secondo gli ultimi dati rilasciati dalla Nazioni Unite, circa dieci milioni di persone nell’area vivono una grave situazione di insicurezza alimentare, dovuta in massima parte alla difficoltà di approvvigionamento idrico[4].
Le numerose crisi che contraddistinguono il bacino idrico del Ciad
La difficile situazione ambientale che caratterizza il Lago Ciad ha dato origine ad una preoccupante serie di eventi che hanno peggiorato vistosamente le condizioni di vita di coloro che vivono in prossimità del bacino idrico. Innanzitutto, l’abbassamento delle acque ha causato un notevole peggioramento in ottica economico-produttiva. Il progressivo prosciugamento del lago ha letteralmente messo in ginocchio il settore ittico, un tempo fiorente. In tale ottica, si pensi che la produzione di pesce essiccato è passata dalle 140.000 tonnellate del 1960 alle 45.000 attuali[5]. Ciò ha generato, nel corso del tempo, la migrazione forzata di milioni di Africani che, prima dell’attuale crisi ambientale, facevano affidamento sulle ricche acque del Ciad.
Oltre a ciò, si tenga presente il grave danno che la mancanza di acqua ha provocato per ciò che concerne gli scambi socioeconomici. In passato, il lago veniva spesso utilizzato come una vera e propria “via d’acqua” tramite la quale numerosissimi scambi commerciali venivano quotidianamente organizzati a tutte le latitudini del grande bacino idrico. I principali responsabili di questa intensa attività economica erano i cd piroghieri, ovvero un gruppo di addetti alla navigazione che si rendevano responsabili del trasporto di merci e persone da una sponda all’altra del Ciad. Come riportato in vari studi realizzati nel corso degli ultimi tempi[6], i piroghieri sono stati la locomotiva del commercio locale per decenni, essendo la colonna portante di una fiorente economia basata su scambi sociali e commerciali che ha reso il bacino del Lago Ciad un importante centro sub-regionale. Infatti, come correttamente sottolineato da Luigi Limone, rispetto al trasporto su strada le barche offrivano una soluzione più rapida per consegnare grandi quantità di merci. Questo significava reddito per i trasportatori e i commercianti da un lato e prezzi più bassi per i consumatori dall’altro[7].
Oltre ai disagi economico-produttivi, che hanno certamente assestato un grave colpo al tenore di vita già fragile dei milioni di Africani residenti in prossimità del lago, si segnalano serie questioni in materia di “conflitti agricoli”. Come si può immaginare, oltre che come mezzo di trasporto necessario per scambi commerciali, il lago serviva soprattutto come bacino idrico da cui attingere per moltissime famiglie di agricoltori. Infatti, uno dei motivi che ha accelerato la crisi odierna del Lago Ciad è proprio legato all’utilizzo indiscriminato ed incontrollato delle risorse idriche per scopi agricolo-pastorali. Nel corso del tempo, innumerevoli contadini ed allevatori africani hanno fatto massicciamente uso delle acque del lago. Tuttavia, se in passato ciò costituiva un problema “solo” di tipo ambientale, vista la costante erosione di risorse idriche che queste pratiche senza controllo causavano, oggigiorno la situazione è ben diversa. Come si può vedere nitidamente nelle Fig. 2 e 3, il lago ormai ha una certa rilevanza solo in Ciad ed in Camerun, visto che in Nigeria è quasi del tutto essiccato ed in Niger non restano che acquitrini fangosi. Questo fa sì che spesso contadini nigeriani e nigerini penetrino in territorio ciadiano e camerunense per accedere alle acque del lago, generando inevitabilmente delle tensioni sia a livello locale sia in ambito delle relazioni bilaterali tra gli Stati coinvolti. Queste pratiche sono ormai così frequenti che non è erroneo definire tali scontri fra contadini, con le relative ripercussioni diplomatiche, come dei veri e propri “conflitti agricoli trans-frontalieri”.
In aggiunta, non va certo dimenticato il forte degrado sociopolitico in cui si trova il bacino del Ciad a seguito del proprio progressivo prosciugamento. Il grave peggioramento delle condizioni economiche di milioni di famiglie ha inevitabilmente favorito l’emersione di fenomeni legati alla criminalità. Particolarmente frequenti sono gli episodi di furto del bestiame, razzie e danneggiamenti, favoriti molto spesso dall’insicurezza alimentare che contraddistingue ormai tutto il bacino del Lago Ciad. Come se non bastasse, tale situazione, di per sé già critica, viene ulteriormente esacerbata dalla presenza sul territorio di vari gruppi jihadisti, su tutti l’Islamic State’s West Africa Province (ISWAP), la branca africana dell’ISIS. Meglio conosciuta come Boko Haram, l’organizzazione intende sfruttare la crisi in corso per espandere la propria influenza nel tentativo di creare un vero e proprio Stato islamico nella ragione del Lago Ciad. L’organizzazione terroristica cerca di inserirsi nei mal ridotti gangli delle comunità lacustri, approfittandosi delle difficoltà incontrate dalle autorità governative nazionali nella gestione della crisi idrica. Oltre all’aumento della criminalità, la perdita della ricchezza rappresentata un tempo dal lago ha favorito il reclutamento da parte di gruppi terroristici dei pescatori dei piccoli villaggi e ha incentivato una migrazione massiccia verso i centri urbani, mandando terribilmente in affanno le città della zona che già soffrivano e soffrono tuttora di ricorrenti crisi legate all’approvvigionamento idrico.
Prospettive future
Come abbiamo visto, la situazione del Lago Ciad non è certo rosea. Senza troppi giri di parole, siamo sull’orlo di una vera e propria catastrofe ambientale che potrebbe, ed in parte ha già causato, generare una crisi migratoria dai risvolti molto foschi. Per scongiurare una fine che sembra essere inevitabile, le nazioni coinvolte hanno dato vita ad un’organizzazione sovranazionale responsabile della gestione del lago: la Lake Chad Basin Commission (LCBC). Ad onor del vero, questa commissione è oltremodo datata, visto che è stata istituita nel lontano 1964 dai quattro Stati affacciati sul Ciad. Attualmente la LCBC comprende ben otto membri, i quattro fondatori più Algeria, Repubblica Centroafricana, Libia e Sudan (questi ultimi sono stati scelti in virtù della loro prossimità al Lago Ciad). È previsto anche un budget annuale di un milione di dollari per la gestione della Commissione, da ripartirsi come segue: Nigeria 52%, Camerun 26%, Ciad 11%, Niger 7%, Repubblica Centroafricana 4%.
Nonostante la presenza di un’organizzazione sovranazionale preposta alla salvaguardia del Ciad, la situazione non ha fatto che deteriorarsi negli ultimi cinquant’anni, fino ad arrivare quasi al capolinea odierno. Ciò è dovuto in massima parte alla difficoltà nell’elaborazione di una strategia congiunta volta alla preservazione delle risorse idriche e al contrasto delle pratiche scorrette. Essendo stata fondata nel 1964, ovvero quando il bacino idrico non riscontrava particolari problematiche, la LCBC aveva tutti i presupposti per portare a compimento un risultato più soddisfacente di quello attuale. Non si dimentichi, infatti, che la Commissione è la più “longeva” organizzazione africana di Stati che condividono sul proprio territorio un fiume o un lago. Dunque, le condizioni per realizzare un lavoro di qualità non mancavano di certo. La non perfetta gestione delle risorse idriche da parte dei governi locali, che hanno sistematicamente ignorato gli allarmi degli scienziati e continuato a sfruttare indiscriminatamente le acque con canali di drenaggio per l’irrigazione delle aree coltivabili, ha di fatto annullato qualunque tentativo di trovare una soluzione congiunta ad un problema che resta, senza dubbio, comune.
Nel momento in cui si scrive, ovvero in una situazione di estrema emergenza, si segnala la presenza di una serie di proposte finalizzate alla salvaguardia del Lago Ciad. Tra le misure prese in considerazione è opportuno menzionare la realizzazione di un canale di oltre 100 km (con un costo stimato in sette milioni di dollari) per immettere nel Ciad parte delle acque del Oubangui, un affluente del Congo che segna il confine meridionale della Repubblica Centrafricana. In tal modo, gli scienziati ritengono che il lago riceverebbe un importante apporto idrico in grado di garantirne la sopravvivenza. Al momento questa sembra essere la strada più facilmente percorribile, visto che è stato ufficialmente abbandonato un faraonico progetto che puntava ad innalzare il livello idrico del Ciad tramite il prosciugamento di un’importantissima zona umida del Sudan meridionale, ovvero un sistema paludoso di 8000 km².
[1] Il Komadugu-Yobe è un fiume trans-frontaliero di considerevoli dimensioni, caratterizzato da un bacino idrografico (148.000 km²) che svolge una funzione importante sia per la Nigeria che per il Niger. Lungo 1.200 km e con una portata media di 15 m³/s, questo corso d’acqua è situato nel nord della Nigeria (per circa 85.000 km²), nel sud-est del Niger (circa. 65.000 km²).
[2] Precisamente tra 41.000 e 2.300 anni fa. https://www.britannica.com/place/Chad-Basin#ref1068345.
[3] https://www.globalgeografia.com/africa/lago_ciad.htm.
[4] https://www.africarivista.it/la-scomparsa-del-lago-ciad-una-crisi-ambientale-e-umanitaria/180074.
[5] https://www.africarivista.it/la-scomparsa-del-lago-ciad-una-crisi-ambientale-e-umanitaria/180074/.
[6] https://www.bbc.com/news/world-africa-43500314.
[7] https://www.africarivista.it/la-scomparsa-del-lago-ciad-una-crisi-ambientale-e-umanitaria/180074/.