* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito Quotidiano di Sicilia (QdS), consultabile al seguente link: https://qds.it/agricoltura-sicilia-quali-sono-i-rischi-causati-dal-cambiamento-climatico/
Sembrerebbe un paradosso che un Paese come il Kenya, ricco di laghi e fiumi, sia al centro di due fenomeni fra loro agli antipodi: siccità e inondazioni. Due eventi che sono facce della stessa medaglia: si tratta di effetti, sebbene opposti, di ciò che siamo oramai abituati a identificare come cambiamento climatico. Nonostante il Kenya disponga di vaste aree di “oro blu”, si trova stretto, attualmente, nella morsa di una terribile siccità.
Da settembre 2022, su gran parte del nord del Kenya, è caduto il 30% in meno delle precipitazioni abitualmente attese. La siccità non è un fenomeno nuovo per il Paese, da sempre esposto a questo tipo di emergenze. Ciononostante, dal 1999 il fenomeno è raddoppiato: ogni due/tre anni, infatti, il Kenya deve far fronte a una grave siccità. Il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature hanno influito sul peggioramento della situazione. Se da un lato, una sempre più frequente e persistente siccità pone in una situazione sensibilmente critica lo Stato africano, dall’altro, un insolito innalzamento del livello dei laghi minaccia in varie aree le condizioni della vita umana, animale e vegetale.
Laghi: un’invasione sui generis
L’accelerazione dell’aumento di volume dei principali laghi del Kenya è stata il centro degli studi condotti dal geologo Simon Onywere (della Kenyatta University) tra il 2010 e il 2013. Oggetto della sua ricerca è stato il quarto lago più esteso del paese, il lago Baringo. Attraverso uno studio comparativo di immagini satellitari, Onywere aveva notato come anche altri laghi del Kenya fossero notevolmente aumentati di volume: il lago Bogoria, Naivasha, Nakuru, Vittoria e Turkana (lago di acqua salata). Già in quegli anni, l’innalzamento del livello delle acque aveva spinto migliaia di persone ad abbandonare le proprie case. Poi, le intense precipitazioni che si sono riversate sul Kenya nel 2020, hanno causato un’accelerazione rapida dell’espansione dei laghi la cui acqua si è spinta fino a case, alberghi e scuole, trasformando le zone coinvolte in habitat rischiosi anche a causa della presenza di coccodrilli e ippopotami.
Lo stesso destino ha colpito la superficie del già citato lago Turkana, bacino considerato tra le culle dell’umanità, che si estende per 250 km di lunghezza e 60 km di larghezza nel nord del Kenya. Secondo uno studio governativo, il volume del lago è aumentato del 10% tra il 2010 e il 2020 e ciò ha comportato che quasi 800 km2 di terra sono stati sommersi dalle acque. Il lago Turkana ha assimilato il complesso vulcanico Barrier – composto da quattro vulcani sovrapposti che prima lo separavano dal lago Logipi, che ora ha interamente sommerso creando una superficie d’acqua unica. Allo stesso modo, il lago Baringo ha inglobato il meno conosciuto lago 94, mentre il lago Oloiden è scomparso nel lago Naivasha[1].
Secondo gli esperti, l’origine di questo fenomeno è da attribuire alle precipitazioni estreme, alla deforestazione degli altopiani e dei bacini idrografici, ma anche ai movimenti tettonici, che stanno causando l’erosione del suolo e l’aumento del fango nei laghi. Se queste tendenze non saranno invertite, i laghi continueranno ad aumentare di superficie, generando, oltre alla sommersione di città e alla minaccia di estinzione di fauna e flora, anche molti rifugiati per motivi climatici.
Secondo un rapporto del 2021 del Ministero dell’Ambiente e delle Foreste del Kenya e del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, l’innalzamento delle acque del lago Baringo ha causato lo sfollamento di già oltre 75.000 famiglie. L’attenzione al problema è stata da sempre piuttosto scarsa, ma lo scoppio dell’emergenza della crisi pandemica ha causato una minor attenzione alla questione.
Merita di essere menzionata la critica situazione degli El-Molo, gruppo etnico che abita principalmente nella provincia nord-orientale del Kenya, i quali hanno assistito impotenti alla scomparsa graduale della loro unica fonte di acqua dolce, così come dei tumuli funerari dei loro antenati. Le acque, infatti, hanno inondato le strade, isolando così gli abitanti su un’isola in mezzo al lago. L’ultimo censimento del 2019 attestava appena 1.100 membri della comunità etnica, una “goccia d’acqua” rispetto ai 50 milioni di abitanti e a più di 40 etnie del Paese.
Alcuni sfollati hanno deciso di erigere un campo di fortuna sulla riva opposta: baracche su una radura sterile, da cui il mondo della loro comunità appare sempre più distante. Le reti da pesca e i cesti usati per millenni, intrecciati a mano con canne e fibre di palma, sono diventati meno efficaci nelle acque più profonde. Oltre ai pescatori, i bambini sono tra le categorie più penalizzate. La maggior parte di loro sono bloccati in casa, privati della possibilità di frequentare la scuola perché i loro genitori non possono permettersi il trasporto su barca.
Il governo locale, l’ONG World Vision (e tante altre organizzazioni) stanno fornendo assistenza, ma le risorse sono scarse e le esigenze sono numerose in questa regione colpita, nei periodi più caldi, anche da una grave siccità.
L’accanimento persistente della siccità
Come accade in un cambio repentino di ambientazione di una pellicola cinematografica, da una visione di inondazione è possibile spostarsi verso un ambiente arido, spoglio, privo di vita, pur rimanendo nella stessa regione.
Non si è, purtroppo, dinanzi a una pellicola, bensì alla storia vera e attuale del Kenya, la cui memoria iconografica ci rimanda in questi giorni a immagini dure e, a tratti, drammatiche: carcasse di animali giacenti su una distesa arida (nel 2022, 2,5 milioni di esemplari hanno perso la vita), bambini che trasportano per chilometri barili d’acqua, lunghe file di famiglie in attesa di ricevere cibo e acqua, ospedali con pazienti affetti da malnutrizione e disidratazione.
I terreni riarsi, privi di risorse d’acqua e quindi oramai non più fertili, procurano la morte di animali e una crisi umanitaria rilevante: contadini e allevatori ridotti alla fame, comunità che diventano nomadi per raggiungere e occupare territori limitrofi a fonti d’acqua e innumerevoli persone che rischiano la morte per conseguenze derivate da mancanza prolungata di cibo e acqua. Le zone messe più a rischio sono quelle del Turkana, del deserto del Galbi e della Suguta Valley.
Per la seconda stagione consecutiva il nord del Kenya, dove le temperature sono aumentate di 0.34% per decennio dal 1985 al 2015, ha aspettato invano l’arrivo delle piogge previste, rendendo difficoltoso l’approvvigionamento di cibo e acqua. La siccità in Kenya ha sempre seguito un ciclo ripetitivo e costante: ogni 5-10 anni era possibile aspettarsi un periodo di siccità e nel periodo interposto il suolo e le fonti idriche avevano tutto il tempo necessario per rigenerarsi, limitando così gli effetti del successivo periodo di aridità. Negli ultimi anni, però, la siccità bussa alle porte del Kenya ogni due anni, a volte anche ogni anno. Questo ritmo allarmante ha contribuito a velocizzare e ad aggravare la situazione umanitaria nel Paese. Si stima un aumento del 17% delle persone che soffrono di insicurezza alimentare, una percentuale corrispondente a circa 4 milioni di persone che necessitano di aiuto umanitario per le carenze di acqua e cibo. Preoccupante è il dato relativo alla malnutrizione infantile, secondo cui 942.000 bambini ne vengono colpiti[2].
Le condizioni climatiche avverse hanno ugualmente compromesso i guadagni e i raccolti dei coltivatori keniani. In aggiunta, le famiglie devono far fronte all’aumento dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità (aggravato dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina); in conseguenza di ciò, esse hanno riscontrato anche una limitazione all’accesso dei suddetti beni. Una tale vulnerabilità, che incide anche sulla sopravvivenza umana, è stata all’origine di episodi di saccheggi, conflitti per le risorse e brigantaggio. Le tensioni e la disperazione, scaturite dal duro impatto della siccità, sono tangibili in varie aree del Paese.
In taluni casi, l’intensità della siccità spinge spontaneamente le sue vittime a ricercare qualsiasi soluzione possibile senza la preoccupazione per le conseguenze a lungo termine che potrebbero sopraggiungere. Come testimonia la scelta di Denis Musya, un giovane uomo che vive a est di Nairobi. L’impossibilità di acquistare generi alimentari di prima necessità e la continua assenza di piogge hanno obbligato Denis a ricercare sostentamento nella foresta:
“Un chilo di mais viene venduto a circa 0,83 dollari e un litro di olio da cucina costa circa 3,31 dollari. Quindi in un giorno dovrei spendere 4,14 dollari. Ma poiché questo budget è al momento impossibile, mi avventuro nella foresta alla ricerca di qualsiasi cosa sia disponibile, sia essa una gazzella, una lepre, un tasso, un’antilope o qualsiasi altro animale che finisca nelle mie trappole. Se non ne trovo, passo vicino a frutti selvatici come i baobab e ne raccolgo un po’ per bollirli e riempire lo stomaco”[3] (Denis Musya).
Mancanza d’acqua: un intervento tra natura e tecnologia
Complessivamente, nel Sahel si è registrata, negli ultimi venti anni, una diminuzione drastica di sorgenti d’acqua pari a più del 40%.In Kenya, la combinazione tra una scarsità materiale di risorsa idrica e l’aumento del prezzo delle forniture è risultata preoccupante: nelle zone più colpite dalla siccità, le famiglie non arrivano a procurarsi l’acqua necessaria per il proprio sostentamento. La sola fonte d’acqua disponibile proviene dai venditori sui camion o dai carretti trainati dagli asini.
La panoramica in Kenya documenta come 23 contee siano alle prese con un elevatissimo rincaro dei prezzi dell’acqua, con i casi eccezionali di Mandera e Garissa, dove sono stati rilevati aumenti, rispettivamente, del 400% e del 260% da gennaio 2021[4]; allo stesso tempo, un’ampia percentuale delle risorse d’acqua aperte già risultano prosciugate nelle aree colpite dalla siccità.
L’accesso all’acqua sta diventando oramai sempre più limitato e cercare soluzioni alternative rimane, quindi, fondamentale. Nella contea di Kwale, ad esempio, si sta avviando la perforazione dei pozzi per raggiungere le acque sotterranee. Si tratta di un’operazione che porta via una giornata di lavoro e che garantisce il rifornimento d’acqua primario, ma sono necessari almeno 13.000 dollari per avviare una trivellazione. Le falde acquifere rimangono, però, ancora poco sfruttate: secondo l’ONU, che considera questa risorsa una potenziale alternativa alla siccità, solo il 3% dei terreni agricoli di queste regioni è attrezzato per l’irrigazione e solo il 5% utilizza le acque sotterranee[5].
Il prosieguo degli interventi finanziari da parte governativa o di enti locali e/o internazionali rimane, quindi, essenziale per assicurare l’accesso all’acqua alle popolazioni gravemente colpite dalla siccità.
Se la natura, sfruttata e maltrattata dall’uomo, non riesce a correre ai ripari, allora la tecnologia può giungere in soccorso. La costruzione e la corretta manutenzione di infrastrutture idriche sono in grado di fornire prevenzione e risoluzione del problema dell’insicurezza idrica. Se, infatti, le infrastrutture presentano debolezze tecniche, la loro capacità di limitare i rischi e i danni di una crisi idrica è messa a dura prova, specialmente in contesti di grave siccità. Le infrastrutture citate possono includere serbatoi, grondaie domestiche, così come le riserve idriche naturali e le opere resilienti al clima, cioè sistemi capaci di resistere, assorbire e recuperare acqua dagli effetti indotti dal clima. È intuibile come i costi relativi alla costruzione di questi sistemi e la necessità di una frequente manutenzione, a garanzia di un funzionamento a lungo termine, costituiscano degli ostacoli reali per realtà come quella del Kenya.
Lo Stato, impegnato nella risoluzione di questo annoso problema, ha avviato piani di water management a breve e lungo periodo, investendo anche in infrastrutture domestiche o comunitarie non tubate, come cisterne e grondaie, efficaci per garantire una buona capacità di raccolta delle acque piovane e la riduzione della dipendenza dalle infrastrutture naturali, più inaffidabili e stressate durante il periodo di siccità. Questa strategia risulta valida per le famiglie chiamate ad affrontare l’incertezza idrica. Tale metodo viene già applicato dalle numerose organizzazioni no profit che installano sistemi di raccolta dell’acqua piovana su piccola scala nelle zone rurali per promuovere la sicurezza alimentare e idrica.
Per una sostenibilità a lungo termine, rimane consigliata la realizzazione di infrastrutture più innovative, accompagnata da piani di gestione e da un’educazione alla gestione del rischio per quanto riguarda le fonti idriche.
Un nuovo panorama politico
Inevitabile è l’accenno al nuovo panorama politico avviato in Kenya dal 13 settembre 2022, a seguito dell’elezione del nuovo Presidente, William Samoei Ruto, avvenuta il 9 agosto. Uno dei suoi cavalli di battaglia è stato proprio la lotta al cambiamento climatico. Il Presidente neoeletto si è impegnato, infatti, durante la campagna elettorale, ad aumentare l’energia sostenibile e ad eliminare gradualmente i combustibili fossili entro il 2030, a favore di una transizione equa verso un’elettricità generata esclusivamente da energia solare, eolica e geotermica.
Il suo primo mandato già vede la necessità di dover gestire la drammatica crisi in atto e condurre il Paese fuori dalla grave siccità. Di contro, è stato anche rilevato da parte di alcuni esperti che il suddetto piano sostenibile potrebbe risultare non sufficiente vista la devastante siccità che sta inficiando la produzione di energia idroelettrica in Africa.
Di recente, il governo keniano – tra le altre cose – ha ottenuto dalla African Export-Import Bank (Afriexim) un finanziamento di tre miliardi di dollari per l’attuazione di un programma che prevede lo sviluppo di schemi idrici sulla base di legami privati e di incubatori d’impresa. Il governo ha previsto la realizzazione di cento mini-dighe, un progetto che raddoppierà le aree irrigate in Kenya e avrà un impatto significativo sulla produzione alimentare.
Alla COP27, il Kenya si è appellato ai Paesi più economicamente avanzati affinché vengano riconosciute le “esigenze speciali” del continente africano, dilaniato dalle conseguenze dei cambiamenti climatici e isolato nella risoluzione delle stesse. Non poteva mancare, ovviamente, un riferimento alla situazione del Kenya:
“Il Corno d’Africa, compreso il Kenya, sta vivendo la peggiore siccità degli ultimi 40 anni […] La famosa fauna selvatica del Kenya non è stata risparmiata. Carcasse di elefanti, zebre, gnu e altri animali selvatici disseminano i nostri parchi. Abbiamo speso tre milioni di dollari per portare loro cibo e acqua.”
Per discutere di questi problemi, in qualità di Presidente del gruppo di negoziatori africani, Nairobi ha espresso la sua intenzione ad organizzare un “vertice continentale sull’azione per il clima” nel 2023.
Conclusioni
La difficile situazione del Kenya costituisce l’ennesima prova degli effetti contrastanti e devastanti del cambiamento climatico che non affliggono solamente l’habitat naturale in cui viviamo, ma si ripercuotono anche sui bisogni primari della vita di tutti noi: approvvigionamento alimentare, accesso all’acqua, stanzialità.
La grave crisi kenyana richiama alla responsabilità di un’azione comunitaria, nonché alla necessità improrogabile di includere nelle politiche pubbliche nazionali e internazionali la nozione di water management, imprescindibile allo stato attuale per una prevenzione e limitazione dei danni causati da siccità o da altri eventi climatici estremi. Governi, stakeholders e comunità internazionale non dovrebbero limitarsi a prevedere maggiori finanziamenti, ma dovrebbero fare maggiore affidamento su imprese, tecnici locali ed esterni per la realizzazione di infrastrutture e tecnologie necessarie a garantire alla popolazione la possibilità di accedere e beneficiare di acqua adeguata, a prezzi vantaggiosi e sicura per il benessere e una vita sana.
In Kenya è possibile citare la realtà del Kenya Innovative Finance Facility for Water (KIFFWA), un fondo di investimento attivo nel campo del settore idrico. I diversi progetti hanno un impatto a livello ecologico, agricolo, sociale e tecnologico. Il Mbooni Water Treatment and Distribution Project, ad esempio, punta allo sviluppo di infrastrutture idriche utili all’estrazione dell’acqua. Il Commercial Water Purification and Distribution Project si concentra sulla funzione di purificazione e distribuzione dell’acqua alle comunità della contea di Nakuru. “L’iniziativa per un’infrastruttura avanzata di misurazione, fatturazione e comunicazione dell’acqua per il settore idrico” mira a gestire quasi 30.000 punti di prelievo dell’acqua e di scarico degli effluenti in tutto il Kenya.
L’attuazione di una cooperazione, non solo a livello nazionale, tra governi e imprese nell’ottica di una politica di win-win risulta, quindi, impellente per attuare interventi infrastrutturali necessari: riabilitazione e costruzione di nuove dighe, di bacini naturali e di sistemi di irrigazione idonei e miglioramento dei sistemi fognari.
C’è un bisogno insistente di nuovi grandi progetti e di tecnologie all’avanguardia per attenuare le conseguenze e per prepararsi ad affrontare al meglio le sfide attuali e future poste dai cambiamenti climatici.
[1] C. Baraka, “A drowning world: Kenya’s quiet slide underwater”, The Guardian – 17 marzo 2022 https://www.theguardian.com/world/2022/mar/17/kenya-quiet-slide-underwater-great-rift-valley-lakes-east-africa-flooding.
[2] “Kenia: las graves sequías dejan a 4,1 millones de personas sin acceso adecuado a alimentos y agua”, Caritas – 2022 https://www.caritas.org/2022/09/kenia-las-graves-sequias-dejan-a-41-millones-de-personas-sin-acceso-adecuado-a-alimentos-y-agua/?lang=es.
[3] C. Pauvarel, “Kenya: la vie des habitants du Kitui menacée par l’absance de pluies”, fr.africanews.com – 2022 https://fr.africanews.com/2022/10/06/kenya-la-vie-des-habitants-du-kitui-menacee-par-labsence-de-pluies/.
[4] “Emergenza siccità nel Corno d’Africa: in Kenya il costo dell’acqua è cresciuto fino al 400%”, greenreport.it – agosto 2022 https://greenreport.it/news/clima/emergenza-siccita-nel-corno-dafrica-in-kenya-il-costo-dellacqua-e-cresciuto-fino-al-400/.
[5] Redazione Africanews, “Kenya: les eaux soutteraines, l’alternative à la crise de l’or belu”, fr.africanews – 2022 https://fr.africanews.com/2022/03/22/kenya-les-eaux-souterraines-l-alternative-a-la-crise-de-l-or-bleu/.