Loading...

Dissalazione: dubbi ecologici e prospettive future

Novembre 21, 2021

La dissalazione, ovvero la rimozione della frazione salina dalle acque contenenti sale, è un processo scientifico che ha destato la curiosità degli esseri umani per moltissimo tempo. Non si sa con esattezza in che periodo i primi studiosi abbiano iniziato concretamente a dedicarvisi; sta di fatto che uno dei primi a studiare la materia in questione fu Leonardo da Vinci, il quale fin dal Rinascimento si rese conto che una certa quantità di acqua distillata poteva essere prodotta a buon mercato utilizzando un alambicco e un fornello. Altre testimonianze documentate riferiscono che durante un assedio in Tunisia nel 1560, settecento soldati spagnoli resistettero per mesi contro un numeroso esercito ottomano grazie ad un’intuizione del capitano. Quest’ultimo fabbricò un alambicco in grado di produrre 40 barili di acqua dolce al giorno dissalando grandi quantità di acqua marina. Durante i secoli successivi l’interesse per la dissalazione prese sempre più corpo ma fu solo a partire dagli anni Sessanta del XX secolo che i dissalatori iniziarono ad essere prodotti a livello industriale. Il primo grande dissalatore venne inaugurato nel 1961 a Freeport, in Texas. Il governo statunitense cercava di mitigare la crisi idrica che stava attraversando lo Stato meridionale da oltre un decennio proprio con un processo di dissalazione su larga scala.

Al giorno d’oggi questo metodo scientifico è alla base della produzione di grandi quantità di acqua dolce. Solo negli ultimi venti anni si stima che nel mondo l’acqua generata tramite processi di dissalazione sia aumentata di ben 8 volte, arrivando a produrre più di 100 milioni di litri al giorno (1). Sulla carta la dissalazione risulta essere un ottimo modo per risolvere le numerose crisi di water scarcity che attanagliano vari Paesi nel contesto globale. La premessa di ciò è che circa il 97% dell’acqua presente sul nostro pianeta proviene dai mari e dagli oceani; per il 2%, pur essendo bevibile o comunque idonea ad essere impiegata per usi domestici, è “intrappolata” nei ghiacciai e negli iceberg. Solo l’1% dell’acqua dolce risiede nei laghi e nei fiumi. Dunque, almeno teoricamente, l’utilizzo di dissalatori su larga scala potrebbe contribuire a risolvere in maniera permanente molti problemi, dal momento che l’acqua salata presente nei mari costituisce un elemento quasi inesauribile. A ciò si aggiunga che secondo lo Stockholm International Water Institute (SIWI), entro il 2030 circa il 47% della popolazione mondiale potrebbe sperimentare problemi di approvvigionamento idrico. L’influente Think Tank svedese da anni pone in allarme l’opinione pubblica mondiale, la politica e le organizzazioni internazionali sulla grave situazione che si profila all’orizzonte in materia idrica.

Per alcuni anni si è pensato alla dissalazione come ad un efficace metodo per mitigare una situazione che minaccia di innescare gravi tensioni nel prossimo futuro. Attualmente, la quota maggiore della domanda di acqua dissalata è rappresentata dai consumi pubblici legati alla fornitura di acqua potabile alla popolazione (61%), poco meno di un terzo è assorbito dall’industria (29%) e il restante viene destinato all’irrigazione (2%), consumato dalle centrali elettriche (5%) o impiegato con altri scopi (3%). Sostanzialmente, ormai i dissalatori sono presenti in molti Stati, soprattuto mediorientali, che usufruiscono di questo processo scientifico per immettere nella propria economia e società vasti quantitativi di acqua marina depurata dalla propria componente salina. Tuttavia, l’uso massiccio di dissalatori comporta dei seri effetti collaterali sia sul fronte ambientale sia da un punto di vista produttivo.

I “lati oscuri” della dissalazione: alti costi produttivi e poca sostenibilità ambientale

Fino agli inizi degli anni Duemila la dissalazione ha rappresentato una valida alternativa per molte nazioni che sperimentavano disagi legati all’approvvigionamento idrico. Tuttavia, la grande diffusione di dissalatori che ha contraddistinto gli ultimi lustri ha posto dei seri enigmi. Attualmente, i problemi principali che tale metodo di produzione di acqua dolce genera sono di due tipi, peraltro strettamente interconnessi: gli alti costi produttivi e la poca sostenibilità ambientale.

Da un punto di vista energetico generare acqua potabile su scala industriale tramite processi di dissalazione è estremamente dispendioso. Ad onor del vero, va sottolineato che recentemente le tecnologie adottate per dare vita a questo complicato processo scientifico hanno fatto passi da gigante, abbattendo sensibilmente i costi che solo pochi anni fa erano molto più cospicui. Per avere una chiara idea di ciò, si tenga presente che in passato per produrre un litro di acqua dissalata erano richiesti in media circa 4 kWh. Attualmente, l’evoluzione tecnologica e ingegneristica ha messo a disposizione materiali sempre più avanzati e schemi costruttivi sempre più efficienti, riducendo il fabbisogno energetico degli impianti. Non è dunque raro imbattersi in dissalatori di ultima generazione che impiegano un solo kWh per produrre un litro di acqua dissalata. Paese leader in questo settore è Israele, che nel corso del tempo ha fatto un massiccio uso della dissalazione per risolvere le crisi di approvvigionamento idrico che ciclicamente si verificavano. Tuttavia, ciò che rende la dissalazione estremamente dispendiosa da un punto di vista energetico è il suo utilizzo su vasca scala. Proprio in Israele, infatti, sono presenti tre grandi impianti (ad Askelon, Hadera e Sorek) che producono ingenti quantità di acqua dolce a fronte di altissimi costi produttivi.

ImpiantoCapacità (lt/giorno)Costo Capitale (Milioni di $)Rendimento (kWh/lt)Costo acqua ($/lt)
Askelon330.0002123,850,68
Hadera456.0004253,500,67
Sorek540.0004003,500,52

Tab. 1: Dettagli sul rendimento e sul consumo energetico dei principali dissalatori israeliani
Fig. 1: Impianto di dissalazione di Askelon
Fig. 2: Impianto di dissalazione di Hadera
Fig. 3: Impianto di dissalazione di Sorek

Ciò che si verifica in Israele è una tendenza molto diffusa. Infatti, molte altre nazioni mediorientali fanno largo uso di dissalatori, i quali vengono alimentati principalmente tramite l’impiego di combustibili fossili. La principale ragione è dovuta al fatto che tali Paesi sono riccamente dotati di petrolio, elemento che viene tutt’oggi massicciamente utilizzato in molti processi produttivi, tra cui ovviamente anche la dissalazione. Il copioso ricorso a combustibili fossili per alimentare gli impianti di dissalazione causa l’immissione in atmosfera di decine di tonnellate di di CO2 e di altre sostanze inquinanti ogni anno. Secondo uno studio commissionato dalle Nazioni Unite, nel 2017 sono state immesse circa 150 milioni di tonnellate di CO2 da tutti i dissalatori del mondo. Se da un lato, dunque, si è prodotta moltissima acqua utilizzabile per scopi domestici, dall’altro si è provveduto ad inquinare in maniera evidente l’atmosfera (2).

Fig. 4: Il dissalatore Jebel Ali, principale impianto di Dubai        

Dunque, oltre agli alti costi energetici, è opportuno segnalare che la dissalazione su vasta scala causa anche degli enormi disagi a livello ambientale. L’inquinamento atmosferico è purtroppo solo uno degli effetti inquinanti generati da questo processo scientifico. Concretamente, per ogni cento litri di acqua dolce prodotta c’è un residuo di 1,5 litri di salamoia, a concentrazione variabile e in funzione della salinità dell’acqua di partenza. La salamoia, insieme ad altre sostanze utilizzate nel processo di desalinizzazione, non è altro che un residuo industriale vero e proprio, un elemento di scarto che, come tale, deve essere smaltito. Come riportato in precedenza, attualmente si producono circa cento milioni di litri d’acqua dissalata al giorno in tutto il mondo. Ciò vuol dire che gli impianti di desalinizzazione, oltre a generare molta acqua dissalata, producono anche circa 150 milioni di metri cubi di salamoia iper-salina al giorno (3). Molto spesso, gli scarti derivanti dalle attività dei dissalatori vengono riversati in mare, dal momento che i costi di smaltimento sarebbero troppo elevati. Ciò produce gravi danni ambientali anche sul fronte costiero e degli ambienti marini. Infatti, non è infrequente imbattersi in residui industriali a poca distanza dalle spiagge o dalle coste in prossimità degli impianti di dissalazione. Magnesio, gesso, cloruro di sodio, di calcio e di potassio sono solo alcuni dei i materiali che spesso si trovano nelle scorie. Inoltre, la salamoia iper-salina che viene immessa in mare causa la morte di molte specie di pesci; la forte concentrazione di sale in piccole zone stravolge l’ambiente acquatico e altera di fatto le condizioni di vita di molte specie. Secondo alcuni biologi, anche alcune tipologie di alghe marine (una su tutte la pianta Posidonia), indispensabili per garantire un corretto bilanciamento naturale, soffrirebbero particolarmente di questa situazione (4).

Le principali tecniche di desalinizzazione e prospettive future

Al momento l’osmosi inversa è la tecnologia più diffusa negli impianti di grandi dimensioni ed è quella su cui si concentrano le maggiori aspettative di breve periodo. Stando all’analisi di Enrico Mariutti, circa il 50% degli impianti in attività a livello globale e il 90% di quelli in costruzione o in fase di progettazione sfrutta processi di osmosi inversa (5). Questa tecnologia utilizza membrane semipermeabili. Si tratta di membrane che consentono il transito solo di determinate molecole. Il flusso dipende da varie condizioni, tra cui la pressione, la concentrazione salina, la temperatura; anche le caratteristiche intrinseche della membrana giocano un ruolo determinante, dal momento che sono indispensabili per separare l’acqua dolce dai residui solidi e dalle impurità che la rendono inadatta al consumo civile. L’osmosi inversa per funzionare correttamente necessita di molta energia. Con questa tecnica l’acqua di mare viene spinta attraverso membrane dissalanti da una pressione che può giungere fino a 70-80 atmosfere. Per far ciò, l’impiego di energia deve essere ingente. Spesso, per abbattere i costi di produzione, le aziende e gli Stati che fanno uso di dissalatori si servono di combustibili fossili, i quali sono altamente performanti e reperibili senza spese eccessive ma, come si sa, molto inquinanti. Dunque, in futuro l’utilizzo di questa tecnica di desalinizzazione corre il rischio di diventate insostenibile da un punto di vista ambientale.

Recentemente sono state individuate altre tecniche di desalinizzazione che potrebbero avere un impatto meno invasivo. Una di queste è la cosiddetta distillazione con membrana, secondo cui l’acqua di mare non viene compressa, ma scaldata a qualche decina di gradi in modo da formare del vapore. Quest’ultimo, passando attraverso una apposita membrana, si condensa in acqua dolce. Tale sistema “spreme” ancora più acqua dolce da quella di mare, fino a lasciare solo i sali cristallizzati, che quindi, invece di essere scaricati in mare, sono essi stessi un prodotto vendibile. L’acqua dissalata prodotta con questa tecnica è molto più pura di quella realizzata tramite osmosi inversa e non richiede altri trattamenti, riducendo ulteriormente i consumi energetici. Inoltre, la distillazione con membrana non usa elettricità ma calore a bassa temperatura, circa 70 °C; questa temperatura può essere facilmente raggiunta senza un massiccio impiego di energia fossile, può persino essere il prodotto di impianti fotovoltaici o geotermici. Una delle nuove frontiere della dissalazione, infatti, è quella di impiegare in maniera sempre più diffusa fonti di energia rinnovabile, in modo da avere un basso impatto sull’ambiente e di contenere i costi di produzione. A tal proposito, si stanno sperimentando nano tubi di carbonio, grafene, elettrolisi solare o altre soluzioni artificiali che “succhiano” sostanzialmente l’acqua dolce da quella marina tramite l’utilizzo di energia proveniente da pannelli fotovoltaici o da centrali geotermiche. Al momento però sono tutte soluzioni confinate ad uno stadio sperimentale.

   L’abbattimento dei costi energetici garantirà nel prossimo futuro una più equa distribuzione di dissalatoti a livello globale. Attualmente, infatti, dei circa 16.000 impianti in 177 Paesi, due terzi sono presenti in Paesi ad alto reddito, soprattutto in Medio Oriente dove è frequente che l’acqua dissalata sia impiegata per attività non primarie. Lentamente, la tecnologia diventa sempre più accessibile, grazie all’ottimizzazione dei processi scientifici e ai progressi dell’ingegneria a membrana, dei sistemi di recupero energetico e dell’accoppiamento dei dissalatori con fonti di energia rinnovabili. Ciò vuol dire che nei prossimi anni anche nazioni non ricche, ma che sperimentano quotidianamente problemi legati all’approvvigionamento idrico, potranno dotarsi di impianti di desalinizzazione non eccessivamente costosi e poco inquinanti. Le aree dove plausibilmente si verificherà un impiego dei dissalatori di nuova generazione sono l’Africa sub-sahariana e l’America centro-equatoriale. Sono zone che hanno caratteristiche molto simili: alti tassi di crescita demografica, urbanizzazione di massa, povertà diffusa, difficoltà di accesso all’acqua per moltissime famiglie.

Conclusione 

La desalinizzazione è un processo scientifico che sicuramente troverà una dimensione importante nei prossimi anni per un crescente numero di Paesi. La domanda di risorse idriche crescerà in maniera costante in futuro e, vista la grande abbondanza di acqua salata che contraddistingue il nostro pianeta, gli impianti di dissalazione troveranno sempre più mercato in quasi tutte le aree del globo. L’Italia, fortunatamente, per il momento non è nelle condizioni di dover dipendere dai dissalatori per garantire il proprio fabbisogno di acqua dolce. A parte infatti alcune aree di Sicilia, Sardegna e alcune piccole isole, il nostro Paese è considerato tra i più ricchi a livello europeo in materia idrica. Nel dettaglio, dal punto di vista climatico l’Italia è favorita dalla grande massa d’acqua dei mari mediterranei che la circondano quasi da ogni lato. Tali mari costituiscono soprattutto per l’Italia (meno per le penisole iberica, balcanica e anatolica) un benefico serbatoio di calore e di umidità. Determinano infatti, nell’ambito della zona temperata meridionale, un clima particolare detto “temperato mediterraneo” che garantisce temperature tutto sommato miti a fronte di precipitazioni costanti. Inoltre, anche dal punto di vista meteo-dinamico il Belpaese gode di naturali vantaggi; oltre agli influssi mediterranei, il clima italiano beneficia delle correnti occidentali, che si originano in seno all’Oceano Atlantico, e delle conseguenti perturbazioni che viaggiano da ovest verso est. Ciò assicura al nostro Paese delle costanti precipitazioni per circa nove mesi all’anno. Se a tutto questo aggiungiamo che le falde acquifere italiane sono mediamente molto fornite abbiamo una chiara idea del motivo per cui nel prossimo futuro i dissalatori non saranno impiegati in maniera massiccia sulle nostre coste. Oltre a ciò, si tenga presente l’importante riserva idrica contenuta nei nostri ghiacciai alpini.

Tuttavia, tale situazione positiva non è eterna, può modificarsi in qualsiasi momento. Stando ad alcuni climatologi, infatti, il cambiamento climatico potrebbe influire in maniera negativa sul volume delle nostre precipitazioni. Nel 2050, ad esempio, si stima che la piovosità media in Italia potrebbe calare anche del 7% rispetto a oggi, con significativi rischi di desertificazione al sud. Per questo motivo è importante monitorare il mercato e le prospettive di sviluppo tecnologico dei dissalatori. Avendo a disposizione molta acqua salata in virtù della sua peculiare conformazione geografica, l’Italia in un futuro non troppo lontano potrebbe dotarsi di impianti di desalinizzazione per far fronte ad eventuali crisi idriche. Preme segnalare che altri Paesi europei vivono condizioni molto critiche da questo punto di vista. Basti pensare alla Spagna, in cui molte regioni meridionali hanno alti tassi di siccità per molti periodi all’anno a causa di scarse precipitazioni e di un clima semi-desertico. Tuttavia, anche se disponiamo di un clima più florido sotto molti aspetti rispetto a quello iberico, le crisi idriche posso colpire in qualunque momento e con poco preavviso.

Come analizzato in questo paper, il principale ostacolo alla grande diffusione di dissalatori nel mondo è dovuto agli elevati costi di produzione e al nefasto impatto ambientale. Con il progredire delle tecniche ingegneristiche si prevede che sia a livello di spesa sia per ciò che concerne il contenimento degli effetti negativi sull’ambiente, la desalinizzazione sarà una tecnica sempre più impiegata. Da un certo punto di vista, i dissalatori potrebbero persino costituire essi stessi un modo per accumulare energia rinnovabile. Nei momenti di eccesso di produzione da vento e sole, ad esempio, possono infatti produrre acqua dolce in sovrappiù, accumularla in serbatoi, per poi immetterla in rete, sospendendo la dissalazione nei momenti in cui la produzione di energie rinnovabili è minore. Ciò avrebbe un duplice effetto positivo: da un lato si avrebbe la produzione di acqua dolce a costi ridotti e a basso impatto ambientale; e dall’altro si utilizzerebbe in maniera produttiva l’energia rinnovabile che altrimenti rischierebbe di andare sprecata. Non essendo ancora in grado di accumulare in grandi riserve l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili, spesso se ne perdono grosse quantità semplicemente per il mancato uso. I dissalatori di ultima generazione e quelli ancora in fase di progettazione potrebbero dunque contribuire a risolvere questo dilemma: usare l’energia pulita in eccesso, evitando che vada sprecata, e produrre acqua dissalata con un approccio eco-friendly.


1. Per ulteriori dettagli si rimanda a Enrico Mariutti, Dissalazione: problemi di ecosostenibilità e prospettive di breve periodo, aprile 2018 https://www.qualenergia.it/articoli/20180430-dissalazione-problemi-di-ecosostenibilita-e- prospettive-breve-periodo/

2. Ulteriori dettagli sono reperibili presso https://www.lifegate.it/vantaggi-svantaggi-dissalazione-soluzione-contro-siccita.

3. Per avere un’idea di quanto materiale di scarto venga prodotto annualmente si tenga presente che, in un anno, la salamoia venutasi a creare sarebbe sufficiente a coprire metà della superficie italiana sotto 30 centimetri di melma caustica. Cfr. Luigi Bignami, in «Focus», ottobre 2019, https://www.focus.it/ambiente/ecologia/dissalatori-di-acqua-di-mare-e-salamoie.

4. Dario Zerbi, Vantaggi e svantaggi della dissalazione, una soluzione contro la siccità, in Lifegate, novebre 2018, https://www.lifegate.it/vantaggi-svantaggi-dissalazione-soluzione-contro-siccita.

5. Dario Zerbi, Vantaggi e svantaggi della dissalazione, una soluzione contro la siccità, in Lifegate, novebre 2018, https://www.lifegate.it/vantaggi-svantaggi-dissalazione-soluzione-contro-siccita.

Resta Aggiornato

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando i nostri servizi, accetti l’utilizzo dei cookie. Maggiori informazioni