* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito Shine, consultabile al seguente link: https://www.shine.cn/news/in-focus/2202182075/
Da oltre un decennio la Cina ha potenziato con grande efficacia l’idro-strategia come strumento di politica estera. Questo approccio si inserisce nel contesto espansivo della diplomazia cinese nel fornire capitali e forza lavoro per realizzare opere infrastrutturali strategiche. Sono molti, infatti, i progetti in cui Pechino stanzia finanziamenti per la costruzione di porti, aeroporti, ponti, strade e quant’altro in giro per il mondo. Principale destinazione del Foreign Direct Investment (FDI) cinese è l’Africa, continente a dir poco prediletto vista la crescita potenziale rappresentata dalle vivaci nazioni magrebine e subsahariane, in cui la componente demografica in forte ascesa gioca un ruolo determinante sotto il profilo di potenzialità produttiva. Oltre all’Africa, l’Asia emerge sempre più come area interessata dal FDI cinese. Intuitivamente, la prossimità geografica con alcune delle economie più vibranti del globo spinge la Cina a puntare sulla costruzione di infrastrutture nevralgiche per lo sviluppo e l’incremento dei traffici. Occorre inoltre segnalare che da un po’ di tempo a questa parte, un’altra area ha attratto l’interesse di Pechino: l’America Latina.
Da una ricerca qualitativa dei dati, risulta facilmente identificabile quanto, nel giro di pochi anni, la parte meridionale del continente americano abbia attratto con sempre maggior vigore gli interessi finanziari cinesi. Sotto questo profilo, il “balzo in avanti”, utilizzando una metafora cara alla narrativa cinese, si è verificato a cavallo dei primi due decenni degli anni Duemila. Stando ai dati della Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales – ente di ricerca privato con sede a Madrid – se tra il 2001 e il 2005 le imprese cinesi hanno stanziato circa 4,4 miliardi di dollari in America Latina, dal 2011 fino al 2017 l’investimento è salito a 70 miliardi. L’incremento è stato dunque a dir poco netto, soprattutto se si considera che, sempre secondo l’istituto madrileno, nel periodo che va dal 2018 al 2022, il FDI cinese in quest’area è ulteriormente aumentato[1], nonostante l’immobilità causata dalla pandemia. Dal Venezuela al Messico, passando per Argentina, Bolivia, Ecuador, Isole Caraibiche (e altri), flussi finanziari e operai cinesi hanno contribuito a realizzare molti progetti di mobilità strategica, tra cui spiccano soprattutto aeroporti, ferrovie e ponti.
Queste notizie, ovvero l’incremento dell’interesse cinese per l’America Latina e la costruzione delle già menzionate infrastrutture, sono state trattate con un’adeguata copertura da parte di ricercatori ed analisti nazionali ed internazionali. Ad ogni buon conto, invero, l’aumentata presenza di Pechino in un’area del globo storicamente appannaggio del suo più attuale rivale – gli Stati Uniti – ha attratto la curiosità di molti esperti. D’altronde, non si dimentichi la Dottrina Monroe (1823), secondo cui il continente americano non avrebbe dovuto essere soggetto ad ingerenze esterne, a quel tempo soprattutto di matrice europea. Nella seconda metà del Novecento, la crisi missilistica di Cuba ha reso evidente quanto questa dottrina, ancorché certamente vetusta, rappresentasse ancora una colonna portante della politica estera americana. Attualmente, sebbene sicuramente più edulcorata rispetto al contesto imperialista di inizio Ottocento, la Dottrina Monroe resta ancora ufficiosamente presente nelle camere del potere di Washington, in cui, inevitabilmente, gli investimenti cinesi in America Latina non sono passati inosservati.
Al di là della questione meramente numerica in merito al volume degli investimenti, è interessante comprendere l’approccio con cui la Cina si è indirizzata verso l’America Latina. Infatti, oltre alle “classiche” infrastrutture strategiche di collegamento, Pechino ha puntato in maniera evidente sulla realizzazione di grandi opere idriche. Dighe e centrali idroelettriche, in particolare, sono state poste al centro dell’agenda di sviluppo che Pechino ha in mente per numerose nazioni andine, in cui l’acqua abbonda sia in formato ghiacciato sia in virtù dei moltissimi fiumi. In America del sud, infatti, sono presenti enormi masse idriche a causa di numerosi ghiacciai e di vastissimi corpi fluviali che si intersecano come delle gigantesche vene d’acqua a tutte le latitudini di questo vasto territorio. Non è una coincidenza, dunque, che la Cina abbia puntato su questo tipo di infrastrutture strategiche, dal momento che un sapiente sfruttamento dell’acqua consente di rivoluzionare sia la produzione energetica di un Paese sia la fornitura di una risorsa indispensabile per la vita in ottica socioeconomica e produttiva[2].
Come si accennava, la Cina è senza dubbio la potenza globale che più di tutte ha inserito l’idro-strategia come freccia nella propria faretra diplomatica. In passato, AB AQUA ha studiato e approfondito diversi progetti idrici in cui i capitali e le aziende del Dragone hanno contribuito a realizzare in molte nazioni infrastrutture di questo tipo. Basti pensare, ad esempio, all’attivismo cinese in Africa subsahariana, dove una grande azienda del calibro di Sinohydro Corporation – vero e proprio colosso di Stato con decine di migliaia di dipendenti e uffici amministrativi in quasi tutti i continenti – ha sovrinteso alla costruzione di infrastrutture idriche estremamente strategiche in Nigeria e Uganda. Non solo, la Cina ha investito copiosamente anche in Algeria, Georgia, Sri Lanka e Bangladesh, dove sono state costruite svariate dighe e centrali idroelettriche indispensabili per lo sviluppo economico di questi Paesi. Ciò che si sta verificando da qualche tempo in America Latina e, segnatamente, in Argentina, si inserisce in maniera precisa in questo solco idro-strategico su cui ormai da tempo Pechino ha puntato per incrementare la propria presenza in numerosi scenari.
La fragilità economica dell’Argentina favorisce la partnership strategica con Pechino
L’Argentina e la Cina hanno dei rapporti economico-diplomatici molto stretti, intensificatisi vistosamente nell’ultimo decennio. Nel 2022, tra l’altro, i due Paesi hanno festeggiato il cinquantesimo anniversario dell’allacciamento delle loro relazioni diplomatiche. Questa ricorrenza è stata caratterizzata da un clima di forte amicizia tra i dignitari e i leader politici di entrambe le nazioni. La sera del 28 settembre 2022 , ad esempio, il presidente cinese Xi Jinping è intervenuto durante il Foro de Alto Nivel sobre Intercambios Culturales China-Argentina, un evento bilaterale tenutosi a Pechino, dove ha pronunciato parole cordiali per descrivere il rapporto tra le due nazioni. Ha anche espresso un messaggio di augurio, nella speranza che si possa favorire la creazione di un nuovo capitolo del partenariato strategico Cina-Argentina e contribuire alla costruzione di un’amicizia prospera fra la Cina e l’America Latina in vista di un futuro di crescita e stabilità condivisa. Parimenti, nella sua lettera di auguri, anche il presidente argentino Alberto Fernández – in carica dal dicembre 2019 – ha auspicato che le due parti aumentino la rispettiva cooperazione per favorire una vicinanza economico-strategica, contribuiscano maggiormente al benessere dei loro popoli, alla pace e allo sviluppo mondiale.
Al di là delle dichiarazioni programmatiche rese dai rispettivi presidenti e di una generale volontà di collaborare insieme, cosa emerge da quest’importante incontro tra Cina e Argentina? Principalmente, la disponibilità di Pechino ad investire nella fragile economia argentina a fronte di una fornitura costante delle abbondanti materie prime di cui Buenos Aires dispone. Come è noto, le vicende economiche che hanno contraddistinto gli ultimi decenni economici dell’Argentina sono state a dir poco problematiche. Attualmente, la nazione andina, dopo una relazione travagliata con le istituzioni bancarie internazionali, non ha più accesso ai fondi che garantivano una certa precaria stabilità, ha un debito di oltre 40 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e appare vicina a esaurire le proprie riserve monetarie. Stando ad alcune analisi[3], il 36% della popolazione vive in condizioni di povertà, acuite da un tasso d’inflazione in forte crescita che, attualmente (agosto 2023), supera il 100% su base annua. Una situazione di questo tipo ha spinto inevitabilmente la leadership argentina a cercare nuovi potenziali investitori disposti a far affluire i capitali finanziari di cui il Paese ha bisogno. La Cina, sotto questo profilo, appare un candidato affidabile, viste le ingenti risorse che vengono annualmente stanziate da Pechino per la realizzazione di opere in luoghi considerati strategici.
Come è stato possibile che l’Argentina si sia, nel tempo, alienata il supporto economico delle agenzie di credito internazionali e abbia sostanzialmente ridotto quasi del tutto la propria credibilità sui mercati globali? L’instabilità economica di questa importante nazione andina si è purtroppo cronicizzata nel corso degli ultimi decenni. Non si dimentichi, a tal proposito, che il sistema economico di Buenos Aires tra default ufficiali e debiti non ripagati è tecnicamente fallito almeno nove volte. Un triste record. In maniera molto breve e schematica, anche perché non oggetto di questa trattazione, si cercherà di ripercorrere i principali motivi che hanno provocato la decadenza argentina sotto il profilo produttivo e finanziario e che hanno indirettamente favorito la presenza economica cinese.
All’inizio del Novecento, l’Argentina era uno dei Paesi più ricchi al mondo, con un PIL pro capite paragonabile a importanti potenze europee del calibro di Francia e Germania. Tuttavia, la mancata modernizzazione delle infrastrutture e l’insufficiente industrializzazione – nonostante un’abbondanza di materie prime soprattutto in rapporto ad una scarna popolazione – spiegano in massima parte le croniche difficoltà economiche dell’Argentina di cui, peraltro, ancora oggi soffre. Sostanzialmente, Buenos Aires non è mai riuscita a diventare una nazione competitiva. Il principale motivo di ciò è che l’Argentina ha sempre fatto una certa fatica ad attrarre capitali stranieri. In un sistema economico capitalistico quale quello odierno, questo fattore ha pesato in maniera determinante.
Uno dei principali responsabili di questa mancata attrattività e apertura verso i finanziamenti esterni è stato da molti osservatori individuato in Juan Domingo Perón, il cui governo (durato dal 1946 al 1955) ha ostacolato in vari modi l’afflusso di risorse estere. Perón, le cui simpatie fasciste e franchiste gli alienarono fin da subito il supporto diplomatico di molte nazioni occidentali, attuò un programma nazionalista e statalista con un forte carattere sociale. Subito dopo la sua vittoria cercò di favorire i lavoratori e l’aumento di potere della classe operaia. Nel far ciò, si rese responsabile di azioni molto drastiche, tra cui la nazionalizzazione della Banca Centrale e del sistema dei trasporti. Inoltre, cercò di ottenere il controllo statale su tutti gli enti stranieri che operavano in Argentina, affossando sostanzialmente qualunque opportunità di investimento nel Paese proveniente dall’estero[4]. Lo statalismo dirigista del governo Peròn ha infatti nel tempo scoraggiato e allontanato gli investitori internazionali, timorosi che prima o poi lo Stato avrebbe preso il controllo di tutto il sistema industriale a loro discapito.
Una volta terminata l’esperienza peronista, i governi che si susseguirono a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta accrebbero in maniera vertiginosa il debito pubblico argentino nel tentativo di favorire lo sviluppo industriale. Facendo più volte ricorso alla Banca Centrale, che stampava regolarmente moneta su richiesta del governo, l’Argentina a poco a poco andò incontro al fenomeno della cosiddetta “monetizzazione del debito”. Stampare moneta “dopa” l’economia nazionale che si trova in una fittizia condizione di espansione e crea dei forti squilibri nel giro di pochissimo tempo, con alte probabilità di generare inflazione. Ecco perché, ad esempio, le principali economie di mercato evitano da tempo di fare ricorso alle Banche Centrali per far fronte al debito pubblico e preferiscono finanziarsi sui mercati globali. L’inflazione elevata, come è noto, causa enormi danni all’economia e alla società, genera incertezza ed è come una tassa che colpisce tutti i cittadini, soprattutto le fasce più deboli. Questo è proprio quello che è successo in Argentina a partire dalla metà degli anni Sessanta.
Con l’avvento al potere di Carlos Menem nel 1989, dopo diversi decenni di dirigismo statalista, l’Argentina avviò un periodo di importanti riforme economiche improntate ad una privatizzazione più netta. Il governo Menem (1989-1999) espressione del cosiddetto “peronismo federale”, si contraddistinse per la privatizzazione di numerose aziende statali e per una dura politica di austerità economica, il cui obiettivo era il taglio radicale della spesa pubblica nel tentativo di ridurre il forte debito che si era accumulato negli anni precedenti. Pilastro fondamentale della disciplina economica di Menem e del suo Ministro delle Finanze – Domingo Cavallo – fu la cosiddetta ley de convertibilidad, ossia una legge di convertibilità che prevedeva che il peso argentino avesse un tasso di cambio fisso con il dollaro statunitense. Questa decisione fu presa per impedire al valore della moneta di oscillare, ancorandola al dollaro per porre così un freno all’inflazione galoppante degli anni Novanta. Queste misure, se da un lato ebbero inizialmente dei buoni risultati frenando di fatto l’inflazione, dall’altro irrigidirono moltissimo l’economia argentina, trovatasi di fatto modellata su quella statunitense in virtù della ley de convertibilidad. Le esportazioni non vennero favorite da una moneta argentina divenuta improvvisamente troppo forte per il valore delle merci di Buenos Aires. Infatti, la rigidità artefatta del tasso di cambio, che era molto sopravvalutato e non rispecchiava veramente l’economia della nazione andina, rendeva molto più difficile esportare i prodotti di Buenos Aires, diventati improvvisamente molto più cari all’estero. Inoltre, data la semplicità con cui i pesos potevano essere convertiti in dollari, molti cittadini optarono per usare esclusivamente la valuta statunitense nella propria quotidianità, causando dunque problemi anche sul fronte economico interno.
Il governo Menem, che pure aveva intrapreso un audace percorso di riforma, non fu in grado di invertire la rotta. A cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, infatti, tra i cittadini argentini si diffuse il panico. Numerosi artigiani e professionisti, temendo un’improvvisa svalutazione del peso, convertirono i propri risparmi in dollari e trasferirono grandi cifre all’estero, con la sicurezza di poter disporre del proprio denaro in qualunque momento. In un tentativo disperato di evitare il fallimento e il massiccio deflusso di capitali, il governo argentino guidato da Fernando de la Rùa – al potere dal 10 dicembre 1999 al 21 dicembre 2001 – impose una misura conosciuta come corralito[5], che congelò tutti i conti bancari dei cittadini argentini per un anno, permettendo unicamente il prelievo di piccole somme di denaro, generando proteste sociali e duri scontri[6]. E proprio da quel dicembre 2001 iniziò la travagliata storia dell’Argentina con le agenzie di credito internazionali, su tutte il FMI. Dopo aver inizialmente concesso un prestito nel 2000, il FMI nel dicembre 2001 ritirò i soldi stanziati causando di fatto il primo di una lunga serie di default che hanno caratterizzato la recente storia economica dell’Argentina.
Da allora crisi molto simili, sebbene di minore intensità, si sono ciclicamente riproposte. Non sono stati sufficienti i prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che nel tempo ha cercato di intervenire impostando piani di risanamento delle finanze e riforme economiche mai davvero rispettati. Un nuovo default si è verificato nel 2014 e, ancora più recentemente, nel 2019 l’Argentina era andata di nuovo tecnicamente in default a causa della mancata restituzione di un prestito che aveva nel frattempo ottenuto. Da quel momento i tentativi di stabilizzare l’economia sono stati in gran parte inefficaci. La pandemia da coronavirus scoppiata nel 2020, tra l’altro, non ha certamente aiutato, anzi. L’economia di Buenos Aires ha risentito più di molte altre della crisi provocata dai mesi di inattività, e il PIL del Paese è sceso di oltre l’11%. A maggio del 2020 la nazione andina è andata di nuovo in default tecnico a causa del mancato pagamento in tempo di altri debiti. Vista l’impossibilità di finanziarsi sui mercati esteri, che è la principale causa delle difficoltà economiche argentine, il governo ha cominciato nuovamente a stampare moneta provocando un nuovo aumento dell’inflazione, che ha finito per danneggiare cittadini e aziende, già da tempo in gravi difficoltà.
È proprio in questo scenario di precarietà finanziaria, spirali inflazionistiche ormai cronicizzate e mancanza di concrete opportunità di rilancio che si è inserita la Cina, il cui supporto economico viene visto con grande favore nelle stanze del potere di Buenos Aires. Come brevemente esaminato poco sopra, il difficoltoso rapporto tra con le agenzie di credito internazionali obbliga l’Argentina a cercare altre strade per finanziare la costruzione di infrastrutture strategiche, indispensabili per favorire i traffici e gli scambi. Per ripagare l’afflusso di capitali, il Paese andino ha messo a disposizione le proprie cospicue risorse naturali, che sono di assoluto interesse per una nazione energivora come la Cina, sempre alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento da cui attingere per soddisfare la propria poderosa macchina industriale.
Il nome stesso del Paese – Argentina – deriva dal latino “argentum”, prezioso metallo ancora oggi molto presente in varie miniere. Oltre all’argento, gas e petrolio di scisto sono estratti con regolarità presso vari stabilimenti, tra cui spicca quello di Vaca Muerta[7] nella provincia di Neuquén, nel Sudest del Paese. Pur essendo un giacimento molto vasto (36.000 km²), la mancanza di adeguate infrastrutture limita fortemente l’estrazione dei combustibili fossili che potrebbero essere usati per riscaldare le case di milioni di cittadini o esportati verso mercati esterni[8]. Oltre a ciò, si segnala che l’Argentina è il terzo produttore mondiale di litio, con rilevanti potenzialità produttive anche di silicio e grafite. Questi materiali, forse ancor più del petrolio e del gas, sono considerati di assoluto interesse strategico per la Cina, vista la loro essenzialità nella produzione di telefoni cellulari, tablets, computer portatili e batterie per veicoli elettrici, merci prodotte in grande quantità sul territorio cinese.
La collaborazione idro-strategica tra Cina e Argentina: il Santa Cruz River Hydroelectric Project
Come si accennava poc’anzi, la fornitura di capitali che la Cina è pronta ad offrire al governo di Buenos Aires non si limita solo alla realizzazione di opere infrastrutturali in senso “classico”, ma ha una precisa ratio idro-strategica. Sotto questo profilo, il Santa Cruz River Hydroelectric Project (SCRHP) rappresenta un caso interessante da studiare. Il Rìo Santa Cruz è uno dei fiumi glaciali più importanti dell’Argentina. È lungo quasi 400 km e nasce da un lago glaciale, il Lago Argentino, bacino idrico definito geograficamente “patagonico” vista la sua localizzazione tra le montagne della Patagonia meridionale. Con un bacino idrografico di quasi 30.000 km², questo fiume ricopre una funzione essenziale nel convogliare le purissime acque montane verso valle, dove vengono utilizzate per scopi irrigui da moltissime comunità locali e centri urbani.
I piani per la costruzione di un massiccio complesso idroelettrico sul Rìo Santa Cruz furono inizialmente concepiti negli anni Cinquanta, ma solo una serie di studi preliminari realizzati nel 1980 hanno gettato le basi per un’analisi più accurata in vista dell’effettiva fattibilità. Nel 2007, l’allora presidente Cristina Fernández de Kirchner (in carica dal 2007 al 2015) ha rilanciato i piani per la costruzione di due dighe con i nomi Kirchner e Cepernic, in omaggio all’ex presidente Néstor Kirchner (nonché suo defunto marito) e a Jorge Cepernic, ex governatore della provincia di Santa Cruz. Le due dighe sono quella di Cóndor Cliff, in grado di generare 950 MW di energia idroelettrica, alta 70 m, a 130 km a est della città di El Calafate, nella provincia argentina di Santa Cruz e la diga di La Barrancosa, da realizzare a circa 170 km dalla città di Comandante Luis Piedrabuena, sempre nella provincia di Santa Cruz. Quest’ultima avrà un’altezza di 45 m, e una capacità installata di 360 MW.
Una volta completato, il SCRHP dovrebbe generare il 15% della produzione idroelettrica totale dell’Argentina e il 5% della fornitura elettrica nazionale. Si tratta dunque di un complesso idro-energetico a dir poco significativo per la nazione andina. Tuttavia, a causa della vastità delle operazioni di costruzione, il progetto è stato accolto negativamente dalla popolazione locale e da molti attivisti ambientali, i quali sostengono che avrà un impatto negativo sulla cultura, sullo stile di vita e sulle terre sacre di ben 14 comunità indigene che risiedono nell’area. Inoltre, tra le principali criticità evidenziate in numerosi studi, il SCRHP rischia di portare all’estinzione il tobiano di Macá, un uccello acquatico il cui numero è diminuito dell’80% negli ultimi 25 anni. A tal proposito, si stima che ne rimangano meno di 800 individui.
Qual è il coinvolgimento cinese nel Santa Cruz River Hydroelectric Project? Finanziario innanzitutto. Detto molto chiaramente, senza i capitali cinesi, il SCRHP non sarebbe realizzabile. Nel luglio 2014, durante la visita del presidente cinese Xi Jinping in Argentina, il governo di Buenos Aires ha firmato un accordo con Pechino secondo cui la Cina avrebbe aperto una linea di credito per un totale di 4,713 miliardi di dollari, per la costruzione del vasto complesso idroelettrico. Di questi, 2,498 miliardi sarebbero provenuti dalla China Development Bank (CDB), 1,414 miliardi dalla Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) e 801 milioni di dollari dalla Bank of China.
Oltre all’aspetto meramente finanziario – senza dubbio di primaria importanza – la Cina realizzerà i lavori di costruzione dell’imponente struttura tramite la China Energy Engineering Corporation (CEEC). Fondata nel settembre 2011, questa grossa azienda è un conglomerato di ingegneria energetica di notevoli dimensioni e di comprovato livello internazionale, con un marchio ben noto nel settore dell’energia sia in Cina che nel mondo. È sottoposta al controllo della “Commissione per la supervisione e l’amministrazione degli asset” di proprietà del Consiglio di Stato cinese. Ciò testimonia un evidente interesse strategico nazionale che Pechino ha per le aziende che operano nel settore idrico. In sostanza, quindi, la Cina fornirà sia supporto finanziario sia tecnico per ciò che concerne il completamento dei lavori.
Il coinvolgimento di ben tre istituti di credito cinesi per la realizzazione del SCRHP è un segnale senza dubbio forte dell’impegno di Pechino a supporto dei piani di sviluppo idro-strategici argentini. Come in parte segnalato poco sopra, la Cina fa da tempo uso di banche di investimento alternative alle più classiche agenzie di credito internazionali per finanziare grandi opere in giro per il mondo. A tal proposito, è opportuno rimembrare la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture – in inglese Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) – rilevante centro finanziario creato nel 2014 il cui principale obiettivo è aumentare la presenza finanziaria del Dragone in Asia (ma non solo). Ancora, si pensi alla Nuova Banca di Sviluppo – in inglese New Development Bank BRICS (NDB BRICS) – fondata sempre nel 2014 con l’ambizioso progetto di “staccare” finanziariamente le economie dei Paesi emergenti dal FMI e dalla Banca Mondiale, due tradizionali centri finanziari in cui la presenza occidentale è da tempo considerata soverchiante e oppressiva dalla leadership cinese, poco incline a sottostare ad un sistema di potere giudicato ormai obsoleto e anacronistico. Il quartier generale delle due nuove banche, rispettivamente Pechino e Shangai, è un chiaro segnale di quanto la Cina si ponga al centro della scena finanziaria internazionale sfidando in maniera non molto velata l’ordine economico scaturito dagli Accordi di Bretton Woods, firmato nell’ormai lontano – secondo Pechino – luglio 1944. A tal proposito, è interessante notare che proprio Buenos Aires sarà uno dei nuovi membri – insieme a Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – a far parte ufficialmente dei BRICS a partire dal primo gennaio 2024.
Per ciò che concerne l’Argentina, la possibilità di contare su metodi alternativi di finanziamento – come detto in precedenza – rappresenta forse l’unica alternativa ad una cronica stagnazione alternata da fenomeni inflattivi e fallimenti. Ecco perché, sotto questo profilo, il coinvolgimento cinese in un settore oltremodo strategico come quello idro-energetico è stato ripetutamente favorito dalla leadership di Buenos Aires. Da un punto di vista finanziario, il ruolo di Pechino è determinante, dal momento che il 100% dell’infrastruttura è finanziato da capitali cinesi. Sotto il profilo dell’operatività, l’Argentina ha motivato l’assegnazione dell’appalto a CEEC in virtù dell’affidabilità tecnica della compagnia. Ed in effetti, stando ai dati disponibili, la CEEC sovrintende progetti di sviluppo infrastrutturale in varie parti del mondo e ha un portfolio a dir poco rilevante. Alla fine del 2021, l’azienda di Stato cinese aveva siglato contratti per un valore di circa 217 miliardi di Yuan, pari a circa 32 miliardi di dollari, con un incremento del 21% rispetto al 2020[9]. In realtà, nonostante l’indubbia affidabilità dell’azienda in questione, il modus operandi solitamente adottato da Pechino in queste faccende prevede che oltre ai capitali, i tecnici, gli ingegneri, i progetti e gli operai siano ad esclusivo appannaggio cinese. Questa metodologia di lavoro, inevitabilmente, lascia poco spazio di collaborazione con altri enti e “cannibalizza” in maniera sostanziale il mercato a vantaggio esclusivo della Cina.
Il SCRHP viene presentato dalle parti coinvolte – Pechino e Buenos Aires – come un progetto caratterizzato dal cosiddetto win-win output. Sulla carta, infatti, sarebbero molteplici i vantaggi che l’infrastruttura cinese apporterebbe sia sotto il profilo energetico sia per ciò che concerne la fornitura di elettricità e lavoro per numerose famiglie che vivono nei pressi del complesso. Dal canto suo, la Cina si garantirebbe un valido alleato in un quadrante geografico strategico e potrebbe usufruire delle già menzionate abbondanti materie prime di cui dispone l’Argentina. In realtà, esaminando con accortezza la questione, appare evidente che, a fronte della creazione di un’infrastruttura senza dubbio utile per Buenos Aires, il principale beneficiario risulta essere proprio la Cina. Capitali cinesi verranno utilizzati per far lavorare un’azienda cinese che, a sua volta, si servirà di tecnici, operai ed ingegneri non reperiti in loco ma fatti arrivare direttamente dalle fabbriche e dalle università del Dragone. L’Argentina otterrà senza dubbio un beneficio in termini di modernizzazione in un settore chiave come quello energetico ma, concretamente, il vero beneficiario del progetto sarà la Cina. In Argentina questo aspetto è molto ben chiaro e non è certo un caso che, a tal proposito, sono sorti numerosi comitati “anti diga” che stanno cercando di limitare al massimo le operazioni di costruzione con l’obiettivo di interromperle. Non si tratta certo di una missione facile, dal momento che Buenos Aires ha un forte bisogno di capitali stranieri per modernizzare alcuni comparti della propria economia e la Cina è molto determinata a fornire il supporto di cui l’Argentina necessita
Conclusione
L’idro-strategia cinese in America Latina rappresenta un tassello importante della politica estera di Pechino. L’acqua ha da tempo assunto un valore centrale nella diplomazia e nella strategia cinese. I capitali e la forza lavoro mobilitati fanno pensare ad una collaudata metodologia che viene replicata in varie nazioni e continenti con il precipuo scopo di accrescere la presenza del Dragone nella politica, nell’economia e nella società locale. Non si dimentichi, infatti, che le infrastrutture idriche hanno, più di altre infrastrutture strategiche “classiche”, un significativo impatto sulla società e sul territorio presso cui vengono realizzate. Se infatti, un ponte o una strada contribuiscono “solo” a migliorare gli scambi e i traffici, una diga o una centrale idroelettrica apportano un cambiamento profondo difficilmente paragonabile a “semplici” opere di collegamento. Una diga può avere un impatto nella risoluzione di crisi siccitose tramite la regolazione del flusso idrico; può prevenire casi di alluvione limitando, quando serve, il volume dell’acqua che scorre verso valle; se dotata di una centrale idroelettrica, la diga in questione può essere usata per fornire elettricità totalmente rinnovabile ad un numero considerevole di persone. Insomma, il controllo del flusso idrico garantito da una diga di vaste dimensioni – come nel caso argentino trattato in questo report – può essere determinante per lo sviluppo di un’intera area geografica sotto molteplici profili.
Il coinvolgimento cinese nella realizzazione del SCRHP rappresenta un caso di studio importante. A fronte di un investimento senza dubbio cospicuo, Pechino punta a diventare un partner strategico per l’Argentina non solo da un punto di vista economico ma anche sotto il profilo dello sviluppo energetico in un settore chiave come quello idrico. Non sono certo mancate criticità in questo progetto. Oltre alle menzionate critiche in merito al mancato rispetto delle terre sacre per alcune comunità di nativi americani, si segnalano questioni ambientali che hanno portato varie corti argentine a pronunciarsi in maniera negativa sulla fattibilità finale dell’infrastruttura. Nel dicembre 2016, in particolare, la Corte Suprema dell’Argentina ha emesso un provvedimento cautelare che sospendeva i lavori di costruzione in virtù di un Environmental Impact Assesment giudicato negativo. Stando alla corte, il progetto non era in linea con la Legge sull’Impatto Ambientale delle Opere Idrauliche in vigore in Argentina. Questa sentenza venne portata anche in Parlamento nel 2017 da parte di politici ambientalisti per scoraggiare il governo di Buenos Aires nel proseguire con questo progetto. Ancora, alcuni problemi si sono riscontrati anche durante il Covid 19, con ripetute segnalazioni di lavoratori cinesi che non rispettavano le misure anti-contagio. Tuttavia, nonostante alcune evidenti problematiche – che per la verità si verificano sempre in questo genere di mega progetti – la costruzione del SCRHP è andata avanti, segno tangibile di quanto a Pechino siano intenzionati ad espandersi in un’area di mondo storicamente ad appannaggio dei rivali statunitensi.
Bibliografia
- Articolo di Redazione, I guai dell’Argentina non si risolvono con i Mondiali, “Il Post”, pubblicato il 13 dicembre 2022.
- Del Rizzo S. e Mingolla C., Argentina di nuovo sull’orlo del fallimento, in “La Voce”, pubblicato il 16 maggio 2023.
- Mansart-Monat E., Argentina: inflación descontrolada e incertidumbre económica, in “The Conversation”, pubblicato il 26 febbraio 2023.
- Merli F., Argentina a tutto (shale) gas, in “Italia Oggi”, pubblicato il 19 ottobre 2022.
- Miranda R., Muraglie cinesi, tutte le infrastrutture di Xi Jinping in America latina, in “Formiche”, pubblicato il 31 gennaio 2023.
- Samartín M., Cardone C., Bustamante R., Was the Argentine corralito an efficient measure?, in ”International Review of Economics & Finance”, Vol. 16, Issue 3, pp. 444 – 453, 2007.
- Verre F., La crisi idrica di Chennai (2019). Un’emergenza nazionale indiana, in “AB AQUA – Centro Studi Idrostrategici”, pubblicato il 7 dicembre 2022.
- Xin Z., Argentina benefits from Energy China hydropower, in “China Daily”, pubblicato il 20 giugno 2022.
[1] Rossana Miranda, Muraglie cinesi, tutte le infrastrutture di Xi Jinping in America latina, in “Formiche”, pubblicato il 31 gennaio 2023.
[2] L’acqua, come si può facilmente intuire anche se spesso non se ne ha una piena contezza, entra pressoché in ogni processo produttivo a carattere industriale. Una maggior fornitura d’acqua può indirettamente incrementare la produzione di un territorio, così come, viceversa, una crisi idrica rappresenta un’interruzione repentina della crescita industriale. Per maggiori dettagli al riguardo, in particolare su un caso importante di crisi idrica che abbiamo già trattato in passato, si rimanda a Filippo Verre, La crisi idrica di Chennai (2019). Un’emergenza nazionale indiana, in “AB AQUA – Centro Studi Idrostrategici”, pubblicato il 7 dicembre 2022.
[3] Emmanuelle Mansart-Monat, Argentina: inflación descontrolada e incertidumbre económica, in “The Conversation”, pubblicato il 26 febbraio 2023.
[4] Articolo di Redazione, I guai dell’Argentina non si risolvono con i Mondiali, “Il Post”, pubblicato il 13 dicembre 2022.
[5] Margarita Samartín, Clara Cardone, Rodrigo Bustamante, Was the Argentine corralito an efficient measure?, in ”International Review of Economics & Finance”, Vol. 16, Issue 3, pp. 444 – 453, 2007.
[6] L’economia, che era già in recessione dal 1998, nel 2002 si contrasse dell’11% e il tasso di disoccupazione aumentò dal 14,8 al 22,5%. I cittadini che vivevano al di sotto della soglia di povertà aumentarono e arrivarono al 57,5% della popolazione nel 2002. Silvia Del Rizzo e Chiara Mingolla, Argentina di nuovo sull’orlo del fallimento, in “La Voce”, pubblicato il 16 maggio 2023.
[7] Il giacimento di Vaca Muerta, letteralmente «vacca morta», è stato scoperto nel 1931 dal geologo americano Charles Edwin Weaver. La sua curiosa denominazione deriva dalla forma, che ricorda la sagoma di una mucca sdraiata.
[8] Filippo Merli, Argentina a tutto (shale) gas, in “Italia Oggi”, pubblicato il 19 ottobre 2022.
[9] Zheng Xin, Argentina benefits from Energy China hydropower, in “China Daily”, pubblicato il 20 giugno 2022.