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Il grande valore idro-strategico del Tibet

Gennaio 23, 2022

* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito Times of India, consultabile al seguente link: https://timesofindia.indiatimes.com/blogs/echoes-from-the-himalayas/70-years-of-colonization-of-tibet-by-china-tibetans-are-a-minority-on-their-own-land/

Con una superficie di circa 1.200.000 chilometri quadrati, il Tibet è il più grande altopiano del mondo. In questa massiccia regione, situata in larga parte sul territorio nazionale cinese, risiedono le montagne più alte della terra; in virtù di ciò, il Tibet è internazionalmente conosciuto anche come il “tetto del mondo”. La presenza di imponenti catene montuose fa sì che proprio in Tibet vi siano ghiacciai di grandi proporzioni, i quali alimentano alcuni tra i corsi d’acqua più importanti del continente asiatico. Per avere un’idea del ruolo che questo grande altopiano gioca a livello idro-strategico si tenga presente che fiumi di assoluta preminenza quali il Gange, Indo e Mekong sgorgano proprio dalle montagne tibetane. Ciò contribuisce a rendere questa selvaggia ed inospitale landa una delle regioni più strategiche del pianeta, soprattutto in virtù della costante crescita della domanda di acqua sia a livello energetico sia per ciò che concerne i bisogni primari della vita umana. Le grandi risorse idriche presenti in Tibet, se adeguatamente sfruttate, possono consentire la produzione di elevati livelli di energia idroelettrica a costi relativamente contenuti e con bassi impatti ambientali. Inoltre, l’impetuoso aumento della popolazione mondiale, che proprio in Asia ha avuto uno degli impatti più vistosi a livello demografico, ha reso ancor più evidente la grande rilevanza che il Tibet detiene in qualità di “serbatoio” idrico asiatico.

Fig. 1: I principali fiumi asiatici che scorgano dall’altopiano tibetano

La Cina è stata tra le prime nazioni asiatiche a rendersi conto della grande importanza del Tibet a livello idro-strategico. Nel 1950 Mao Zedong, leader della Repubblica Popolare venutasi a costituire nell’ottobre 1949, annesse le propaggini occidentali e meridionali del Tibet per assicurare alla neonata repubblica comunista le risorse idriche necessarie per il sostentamento di centinaia di milioni di persone. La Cina continentale è una gigantesca massa di terra per lo più arida, dove la presenza dell’acqua non è così massiccia. Se si escludono i bacini idrografici del Fiume Giallo e dello Yangtse, due grandi corsi d’acqua considerati alle origini della civiltà cinese, le risorse idriche su cui Pechino può fare affidamento non sono molte. Da qui, dunque, la scelta politico-strategica di esercitare un controllo stretto sull’altopiano tibetano che, come si evince nella Figura 1, è la regione da cui sgorgano le “vene idriche” dell’Asia sud-orientale.

La rilevanza idrica tibetana sul versante Indo-Bengalese

Come si può intuire, la forte presa che Pechino esercita sul Tibet conferisce alla Cina un grande vantaggio geopolitico a livello continentale. Nell’era attuale, caratterizzata da vari fattori tra cui urbanizzazione di massa, climate change e aumento indiscriminato della popolazione mondiale, chi detiene un saldo controllo sulle fonti di approvvigionamento idrico acquisisce una posizione di assoluta preminenza. Banalmente, se dall’oggi al domani a Pechino si decidesse di “chiudere i rubinetti”, circa 500 milioni di persone, in larga parte Indiani e Bengalesi, non disporrebbero delle necessarie risorse idriche per portare avanti una vita normale. A questo proposito, tra i corsi d’acqua tibetani che più sono rilevanti in chiave geopolitica trans-frontaliera vi è senza dubbio il Brahmaputra. Questo grande fiume costituisce la principale fonte di approvvigionamento idrico del Bangladesh, popolosa nazione asiatica densamente abitata [1] in cui si verificano frequenti casi di urbanizzazione di massa incontrollata. A tal proposito, si prenda il caso di Dacca, la capitale del Bangladesh che conta più di 15 milioni di abitanti e che detiene il decimo posto nella classifica mondiale dei centri urbani più popolosi. Negli ultimi 20 anni la città ha sperimentato un vero e proprio boom demografico; ad esso sono seguiti i consueti problemi di approvvigionamento idrico connessi alla rapida crescita demografica: water scarcity, inquinamento delle falde acquifere, sospensione dei servizi idrici.

Il Brahmaputra svolge un ruolo di assoluto rilievo per l’economia e la società bengalese. Infatti, esso insieme al Gange, altro grande fiume che proprio in Bangladesh si incontra col sopracitato prima di sfociare nel Golfo del Bengala, forma uno dei bacini idrografici più importanti del continente asiatico (670.000 km²). Il Brahmaputra è un fiume considerevole sia per lunghezza (2.900 km totali) sia per portata (30.000 m³/s). Tuttavia, come si evince dalla Fig. 2, questo imponente corso d’acqua attraversa il Bangladesh solo per un breve tratto.

Fig. 2: Bacino idrografico del fiume Brahmaputra

Di fatto, questo corso d’acqua rappresenta il fiume trans-frontaliero per “eccellenza”, dal momento che attraversa non uno, ma ben due Stati (Cina e India) prima di entrare in Bangladesh. Ciò costituisce un serio problema per il popolo bengalese, visto che si riscontrano criticità sia in termini di quantità che qualità dell’acqua che giunge “a valle”. Varie dighe sono presenti sul corso dello Yarlung Tsangpo, il nome con cui i Cinesi chiamano il Brahmaputra che scorre sul versante tibetano. Inoltre, anche l’India ha costruito una serie di infrastrutture idriche sulle sponde dello Jamuna, denominazione con cui i cittadini dell’Arunachal Pradesh, Stato indiano nord-orientale, sono soliti riferirsi al Brahmaputra. Ciò comporta un limitato afflusso idrico sul territorio bengalese, visto che le varie dighe cinesi ed indiane “a monte” intaccano sensibilmente il volume dell’acqua che effettivamente si riversa verso il Golfo del Bengala.

Fig. 3: Bacino idrico del Brahmaputra e del Gange

Inoltre, anche da un punto di vista qualitativo la situazione non è delle migliori. Proprio a causa delle numerose strutture idrauliche esistenti e dell’intensità con cui Cina e India ne sfruttano le acque per scopi energetici, il Brahmaputra è un fiume molto inquinato. Tra i materiali più inquinanti si riscontra una forte presenza di arsenico; stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, circa 77 milioni di cittadini bengalesi sarebbero sottoposti a “ingenti rischi per la propria salute a causa di elevati tassi di arsenico presenti nelle acque, nel territorio e nel sottosuolo” [2]. Per comprendere fino in fondo le implicazioni di questa grave situazione si tenga presente che, secondo le Nazioni Unite, la crisi dell’acqua contaminata dall’arsenico in Bangladesh è il più grave caso di avvelenamento collettivo nella storia di una popolazione umana [3].

Oltre alla complessa situazione bengalese per ciò che concerne la gestione delle acque del Brahmaputra, il Tibet ha una grande rilevanza anche per quanto riguarda i rapporti bilaterali tra Cina e India. Questi due giganti asiatici hanno spesso avuto frizioni diplomatiche proprio a causa di questioni idriche. Come evidenziato nella Fig. 1, l’altopiano tibetano è determinante per l’approvvigionamento dell’India settentrionale. Il Gange, che nasce sul versante indiano del Tibet, riceve due importanti affluenti da nord: l’Arun e il Koshi. Questi due fiumi, i cui bacini idrografici sono rispettivamente di 33.600 km² e 29.400 km², contribuiscono a rifornire il Gange con milioni di metri cubi d’acqua al giorno. Eventuali alterazioni del loro flusso da parte della Cina potrebbero inevitabilmente generare limitazioni “a valle”, causando dunque forti disagi a milioni di Indiani. Oltre a ciò, non va trascurata la questione relativa all’Indo e al Sutlej, altri due grandi fiumi che nascono nel versante cinese del Tibet e che scorrono per un lungo tratto nell’India settentrionale prima di entrare in Pakistan.  

Fig. 4: Bacino idrografico dell’Indo e del Sutlej

Come si evince dalla Fig. 4, sia il Sutlej che l’Indo nascono di fatto in territorio cinese; ciò conferisce a Pechino un enorme vantaggio in chiave geopolitica nei confronti di Nuova Deli. Il Sutlej, che ha un bacino idrografico piuttosto esteso (395.000 km²), svolge una funzione chiave per il settore agricolo dell’India settentrionale. Centinaia di canali sono stati costruiti nel corso del tempo per dirottare le acque di questo fiume verso serbatoi artificiali destinati all’irrigazione. L’India usa così massicciamente le risorse idriche del Sutlej che, stando a fonti pakistane, il flusso che giunge “a valle” in Pakistan risulta essere molto ridotto. Ciò ha creato in passato motivi di forte contrasto tra i due Paesi, i quali storicamente, come è noto, si sono trovati spesso in uno stato di grave tensione.

Anche l’Indo risulta estremamente importante per l’economia e la società dell’India settentrionale. Non va dimenticato, infatti, che questo fiume è storicamente considerato, al pari di altri, alla base della civiltà indiana. Il nome stesso è un richiamo diretto all’India e alla sua cultura. Oltre a ciò, si consideri la rilevanza quantitativa che questo grande corso d’acqua possiede. L’Indo è il fiume più lungo del subcontinente indiano (circa 3.180 km) e il terzo più grande dell’Asia intera in termini di portata annua. Secondo vari esperti, inoltre, il fiume Indo ha uno dei bacini idrografici più vasti al mondo: ben 1.165.000 km². Come si può visualizzare bene nella Fig. 4, questo fiume svolge una funzione di assoluta importanza anche per il Pakistan. L’Indo, infatti, rappresenta una vitale risorsa idrica per l’intera economia del Pakistan, in particolar modo per le provincie del Punjab (maggior regione agricola del Paese) e del Sindh. A tal proposito, si noti che la parola “Punjab” è una combinazione delle parole persiane panj “cinque”, e āb “acqua” che, con un significato estensivo, corrisponde dunque a “Terra dei Cinque Fiumi”. I cinque fiumi a cui deve il nome il Punjab sono i fiumi Beas, Jhelum, Chenab, Ravi e Sutlej, tutti peraltro affluenti o subaffluenti dell’Indo. Il fiume è essenziale anche per varie industrie pesanti del Pakistan e rappresenta la principale fonte di acqua potabile del Paese.

Il controllo che la Cina esercita sul Tibet preoccupa sensibilmente la diplomazia indiana. Nel corso dei prossimi 20 anni l’India supererà la Cina come numero di abitanti, divenendo il Paese più popoloso del mondo. Ciò significa che la domanda di risorse idriche da parte di Nuova Deli vedrà un costante aumento nel corso del prossimo futuro. Se a ciò si aggiunge la caotica e spesso incontrollata urbanizzazione di massa che contraddistingue le metropoli indiane, si comprende molto chiaramente quanto l’accesso all’acqua sia una preoccupazione costante in India. In quest’ottica di latente tensione, dovuta al ruolo di potenza “idrica” egemone esercitato dalla Cina sul fronte himalayano, non deve sorprendere lo scontro avvenuto nel settembre 2020 tra militari appartenenti ai due eserciti in questione. Nello specifico, il 7 settembre 2020 diversi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi durante un conflitto tra soldati cinesi e indiani lungo la frontiera contesa tra le due nazioni. Il fatto ha destato un certo scalpore, dal momento che nonostante le tensioni “fredde” esistenti tra i due schieramenti, da oltre 45 anni nella zona non si sentiva l’eco dei proiettili. Questo perché l’utilizzo di armi da fuoco è proibito da un accordo comune siglato per evitare pericolose escalation. L’episodio del settembre 2020 fece seguito all’increscioso e mai del tutto chiarito scontro verificatosi nel giugno dello stesso anno, quando una ventina di soldati indiani e un numero imprecisato di soldati cinesi persero la vita a causa del più grave incidente degli ultimi decenni tra i due contendenti.

La rilevanza idro-strategica del Tibet in Indocina

Da un punto di vista idrico il Tibet è estremamente rilevante anche sul versante indocinese. Come si evince dalla Fig. 1, infatti, sono molti i corsi d’acqua di considerevoli dimensioni che sgorgano dall’altopiano tibetano e che si dirigono verso l’Indocina. Anche in questo caso, grazie alla favorevole posizione geografica “a monte”, la Cina è senza dubbio la nazione più avvantaggiata da un punto di vista strategico. Tale situazione di vantaggio è molto evidente nel caso del Myanmar. In questo importante Paese affacciato sul Golfo del Bengala e con una fondamentale funzione “di cerniera” tra Cina e India, non uno, ma ben due grandi fiumi sono di fatto facilmente controllabili da Pechino. Sia l’Irrawaddy sia il Salween, che sono in sostanza i due corsi d’acqua su cui si basa da secoli la società e la cultura birmana, nascono nel Tibet cinese. Concretamente, da un punto di vista di approvvigionamento idrico il Myanmar dipende quasi totalmente dal flusso di questi due fiumi. Per avere un’idea precisa di tale dipendenza si tenga presente la Fig. 5.

Fig. 5: Mappa geografica del Myanmar con relativi dettagli fluviali

L’Irrawaddy e il Salween, dotati di bacini idrici di notevoli dimensioni (rispettivamente 411.000 km² e 320.000 km²) e di una lunghezza rilevante (rispettivamente 2.170 km e 2.815 km), costituiscono il serbatoio idrico birmano. Il primo, in particolare, svolge un grande ruolo a livello industriale ed agricolo soprattutto in virtù del grande delta che lo contraddistingue. Come si può notare in Fig. 5, il delta dell’Irrawaddy è molto esteso, arrivando ad abbracciare persino Yangon (o Rangoon), la più popolosa città del Paese che è stata, peraltro, capitale fino al novembre 2005[4].

Su entrambi questi grandi fiumi Pechino ha esercitato e tuttora esercita un solido controllo. È opportuno considerare, tuttavia, che tra i due, è sicuramente l’Irrawaddy a destare un maggiore interesse. A questo proposito, non molto tempo fa i Cinesi si erano dimostrati molto interessati alla costruzione di un’imponente infrastruttura idraulica (la diga di Mytsone) sul corso dell’Irrawaddy. La diga, per la cui realizzazione la Cina era disposta a spendere circa 20 miliardi di dollari, avrebbe costituito una fondamentale risorsa energetica per lo Yunnan, regione cinese situata al confine col Myanmar. Nei piani di Pechino l’energia idroelettrica prodotta dalla diga di Mytsone avrebbe dovuto essere diretta verso Kunming, capitale dello Yunnan, in modo da favorire la crescita industriale di una regione storicamente non molto sviluppata.

Fig. 6: La regione dello Yunnan al confine con Myanmar

I primi lavori per la costruzione della diga videro la luce nel 2007, quando il Myanmar era ancora governato dalla giunta militare che aveva preso il potere in seguito al colpo di Stato del 1990. Tuttavia, nel settembre 2011 il Myanmar decise unilateralmente di interrompere la costruzione della grande infrastruttura idraulica. La svolta democratica che contraddistinse il Paese a partire dal 2011, che fu tra l’altro responsabile della caduta della giunta militare al potere dagli anni Novanta, ebbe tra i vari risultati quello di estromettere parzialmente Pechino dagli affari interni birmani. La diga di Mytsone, visto il forte impatto ambientale ed economico su varie popolazioni birmane “a valle” a fronte di benefici diretti soprattutto verso una regione cinese, venne ritenuta un’infrastruttura non utile ai fini dello sviluppo del Myanmar [5].

Oltre ai due principali fiumi birmani, è opportuno segnalare la grande funzione strategica esercitata dal Tibet cinese su un altro rilevante corso d’acqua indocinese: il Mekong. Quest’ultimo è probabilmente il più importante fiume trans-frontaliero del continente asiatico. Come abbiamo visto, a partire dal Brahmaputra fino ad arrivare all’Indo, sono vari i fiumi trans-frontalieri a nascere nel Tibet cinese che attraversano più nazioni. Tuttavia, il Mekong detiene un primato sotto questo profilo. Come si può notare nella Fig. 7, infatti, i Paesi toccati direttamente dal corso di questo grande fiume sono ben sei: Cina, Myanmar, Laos, Tailandia, Vietnam e Cambogia.

Fig. 7: Il corso del fiume Mekong con le principali strutture idrauliche

A livello quantitativo, il Mekong è certamente un fiume che può essere definito imponente. Con una lunghezza di quasi 5.000 km (4.880 km), il Mekong è il fiume più lungo dell’Indocina e il settimo a livello mondiale. Dotato di un bacino idrografico di assoluto riguardo (ben 810.000 km²), riveste un ruolo di primo piano nel benessere socio/economico di milioni di cittadini asiatici. Dopo un lungo e tortuoso peregrinare che ha origine nelle montagne tibetane, il Mekong termina la sua “corsa” in Cambogia e si riversa nel Mar Cinese Meridionale.

Fino ai primi anni Duemila, tale fiume vantava la più grande pesca interna del mondo, che rappresentava circa il 25% del pescato globale in acqua dolce. Ciò era dovuto in massima parte alla pressoché totale assenza di infrastrutture idrauliche che potessero alterare il flusso dell’acqua e il volume idrico diretto verso “valle”. Fino a qualche anno fa, la presenza di oltre 500 specie conosciute di pesci era in grado di sostenere una popolazione di 60 milioni di abitanti lungo le coste del fiume appartenenti a varie nazioni. Inoltre, gli agricoltori delle terre limitrofe al Mekong riuscivano a produrre abbastanza riso per sfamare quasi 300 milioni di persone ogni anno, ovvero pari a circa il 95% degli abitanti dell’Indocina. 

Tuttavia, ad oggi la situazione risulta molto diversa. Come si può notare dalla Fig. 7, questo imponente corso d’acqua è stato massicciamente sfruttato “a monte” dalla Cina. A partire dagli anni Novanta, Pechino ha costruito una serie di dighe che hanno alterato in maniera cospicua il flusso del fiume diretto verso il Mar Cinese Meridionale. Le dighe in questione sono ben undici: Manwan (1993), Dachaoshan (2002), Jinghong (2008), Xiaowan (2009), Nuozhadu (2012), Gongguoqiao (2012), Miaowei (2017), Huangdeng (2017), Dahuaqiao (2018), Lidi (2018), Wunonglong (2018). Oltre a queste infrastrutture idrauliche medio grandi bisogna aggiungere circa altre 120 piccole dighe e centrali idroelettriche che Pechino ha realizzato sul proprio territorio nazionale lungo il corso del fiume. Questa situazione ha segnato nel profondo il flusso idrico del Mekong verso gli altri cinque Paesi situati “a valle”[6]. A riprova di ciò, vale la pena fare riferimento ad un interessante studio realizzato da Eyes on Earth nel 2019. Secondo l’organizzazione americana, le sei dighe costruite dopo la Nuozhadu (2012) hanno fortemente contribuito ad alterare il flusso naturale del fiume; nella ricerca si legge inoltre che: “una delle maggiori conseguenze si è verificata nel 2019, quando nel Mekong inferiore si è registrato per gran parte dell’anno uno dei più bassi livelli del fiume di sempre”[7].

Preme sottolineare che lo studio di Eyes on Earth, per quanto interessante ed attendibile, è di matrice americana. Recentemente, Stati Uniti e Cina si sono spesso trovate su fronti geopolitici contrapposti. Nell’ultimo periodo, la crescita impetuosa di Pechino sotto vari aspetti ha destato non poche preoccupazioni a Washington, dove si monitora con meticolosa accuratezza ogni mossa cinese. Dunque, è opportuno valutare lo studio di Eyes on Earth in questo quadro di reciproca diffidenza che contraddistingue le due principali potenze globali. Nondimeno, è evidente che la realizzazione di un tal numero di dighe “a monte” abbia comportato una modifica concreta al flusso del fiume Mekong verso sud. A riprova di ciò, è utile segnalare che proprio nel 2019 alcuni satelliti hanno rilevato nella porzione di fiume cinese un flusso naturale superiore alla media. Tra le varie cause, è possibile prendere in considerazione l’attività di Pechino volta a trattenere abbondanti quantità d’acqua. Ciò potrebbe essere stata la causa diretta delle enormi problematiche di siccità, nonché di ingenti difficoltà economiche, verificatesi negli Stati “a valle”, in cui il fiume stesso scorre prima di sfociare nel Mar Cinese Meridionale[8].

Conclusione

Alla luce di quanto affrontato in questo report, risulta quanto mai evidente che l’altopiano tibetano riveste attualmente un ruolo di primissimo piano nella c.d. “idro-strategia”. Quest’ultima è una materia che sta sempre più emergendo sia a livello geo-strategico sia per ciò che concerne le relazioni internazionali. Per una serie di motivi, riconducibili in massima parte al cambiamento climatico, alla crescita della popolazione globale e alla progressiva urbanizzazione di massa, le risorse idriche acquisiranno sempre più valore negli anni a venire. Dunque, il controllo delle sorgenti, soprattutto se afferenti a fiumi trans-frontalieri di grandi dimensioni, diventerà sempre più importante col passare del tempo.

Il Tibet è senza dubbio una delle regioni più strategicamente rilevanti non solo del continente asiatico ma a livello globale. Ciò in virtù di alcuni fattori. Prima di tutto, a causa della sua rilevante posizione geografica. A tal riguardo, si consideri che l’altopiano tibetano è situato al confine tra le due nazioni più popolose del mondo; dunque, tutto quello che si verifica in Tibet non ha una semplice rilevanza regionale. I risvolti di un’eventuale “crisi tibetana” potrebbero coinvolgere miliardi di individui e, di conseguenza, avere degli impatti significativi anche su tutta la Comunità Internazionale. Eventuali tensioni tra la seconda potenza economica mondiale (Cina) e il futuro Stato più popoloso al mondo (India), riguardano inevitabilmente anche nazioni che geograficamente appaiono “lontane”.

In secondo luogo, il Tibet è il serbatoio idrico dell’Asia sud-orientale. Come analizzato in questo report, centinaia di milioni di persone dipendono di fatto dall’acqua che scorre nei fiumi la cui sorgente risiede proprio nell’altopiano tibetano. Qualunque tensione o minaccia allo status quo di questa immensa ed impervia regione può comportare dei gravissimi disagi per un considerevole numero di persone. Numero che tra l’altro è destinato ad aumentare in modo costante nel corso dei prossimi anni, visto l’alto tasso di crescita demografica che contraddistingue già oggi molti Paesi asiatici.

In virtù della posizione geografica estremamente favorevole, essendo “a monte” della stragrande maggioranza dei grandi fiumi trans-frontalieri asiatici, la Cina è la nazione che più beneficia delle ricchezze idriche tibetane. Senza dubbio, Pechino svolge un ruolo di assoluto rilievo in ottica idro-strategica, tanto che non di rado si è soliti identificare la Cina come una water super power. Questa situazione è diventata ancora più evidente nel corso degli ultimi 10 anni, dopo che i Cinesi hanno iniziato a sfruttare in maniera copiosa le risorse idriche presenti nel loro territorio nazionale. L’energia idroelettrica che la Cina ricava dallo sfruttamento dei corsi d’acqua tibetani è estremamente vantaggiosa sotto vari profili: riduce l’impiego di combustibili fossili tradizionali (inquinanti), offre soluzioni energetiche a basso costo e consente di esercitare un controllo costante su molti Paesi “a valle”. Questi ultimi si trovano di fatto a dover gestire passivamente le azioni che di volta in volta i Cinesi intraprendono sui fiumi transfrontalieri. Sotto questo profilo la vicenda del Mekong è oltremodo esaustiva. Le varie dighe costruite e gestite da Pechino hanno comportato un’alterazione importante del flusso idrico verso sud, con conseguenti modifiche dell’assetto socioeconomico per milioni di cittadini asiatici residenti in ben cinque Paesi diversi.

Non è infrequente che le misure adottate da Pechino sui fiumi che nascono nell’altopiano tibetano possano causare tensioni con Stati limitrofi. Gli scontri più seri si sono verificati con l’India, la cui dipendenza in materia di approvvigionamento idrico proprio dal Tibet cinese è sotto gli occhi di tutti. Basta infatti consultare una mappa geografica per rendersi conto di quanto tutto il territorio dell’India nordoccidentale sia di fatto condizionato dal flusso idrico che scaturisce dei fiumi tibetani. Come analizzato poco sopra, altre grandi e popolose nazioni sono molto condizionate dalle politiche idriche adottate da Pechino. Dunque, alla luce di quanto scritto, non è esagerato affermare che la Cina, in virtù del controllo esercitato sul Tibet, sia in concreto la nazione egemone nella lotta per l’approvvigionamento idrico asiatico.


[1] Con più di 166 milioni di persone, il Bangladesh è l’ottavo Paese popoloso del pianeta, dopo la Nigeria. Inoltre, con una superficie tutto sommato poco estesa rispetto al numero di abitanti (poco più di 147.000 km quadrati), il Bangladesh è uno degli Stati più densamente popolati al mondo.

[2]https://www.corriere.it/ambiente/speciali/2014/giornata-mondiale-acqua/notizie/arsenico-nell-acqua-piu-grande-caso-avvelenamento-collettivo-5e3796d2-adff-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml.

[3] https://www.bbc.com/news/10358063.

[4] Yangon, grande città di 5.5 milioni di persone, è stata capitale del Paese fino a che nel marzo 2006 la giunta militare allora al potere non designò un’altra città, Naypyidaw, come capitale ufficiale del Myanmar. Per ulteriori dettagli sulla questione si rimanda a Filippo Verre, Chinese hydropower policy in Myanmar. The cases of Yadanabon Bridge and Myitsone Dam, in “Rivista di Studi Politici Internazionali”, Issue 2 Volume 88, pp. 225-244, 2021.

[5] Per ulteriori dettagli si rimanda a Filippo Verre, ivi.

[6] https://aspeniaonline.it/il-fiume-mekong-geopolitica-infrastrutturale-e-impatto-ambientale/.

[7] https://geopolitica.info/il-fiume-mekong-e-la-guerra-dellacqua/.

[8] https://geopolitica.info/il-fiume-mekong-e-la-guerra-dellacqua/.

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