* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito AZoCleantech.com, consultabile al seguente link: https://www.azocleantech.com/article.aspx?ArticleID=1252
Fino a circa quindici anni fa, la stagione estiva veniva accolta in Italia con moderato giubilo da più strati della popolazione. I più giovani, dopo circa nove mesi di scuola, si preparavano a godersi un meritato riposo di diverse settimane coincidente con l’avvento del clima più caldo. Gli adulti, non potendo concedersi mesi di vacanza, con il sopraggiungere dell’estate si avviavano verso le agognate ferie. Le generazioni più anziane, vista la chiusura delle scuole, avevano la possibilità di trascorre del tempo con figli e nipoti. Insomma, le estati di qualche tempo fa erano generalmente considerate in maniera positiva, quasi come un traguardo a cui mirare dopo mesi intensi di studio e lavoro. Certamente, il clima caldo – ma non torrido – che contrassegnava i mesi di luglio e agosto causava dei disagi, soprattutto nelle grandi città. Allerte per le fasce più deboli della popolazione – bambini e anziani in primis – venivano regolarmente diramate, con la raccomandazione di rimanere idratati quanto più possibile e di restare a casa durante le ore più calde. Tuttavia, in generale, l’estate di qualche tempo fa, con poche accortezze, poteva essere affrontata e persino goduta da tutte le fasce di popolazione. Oggi, sfortunatamente, la realtà è ben diversa.
Il Climate Change, fenomeno sempre più evidente a varie latitudini del nostro pianeta, ha apportato delle significative modifiche atmosferiche e climatiche alle nostre estati. Queste ultime non sono come prima una piacevole distrazione o un agognato momento vacanziero. Sia per estensione, che per intensità, le recenti estati anche in Italia sono molto diverse rispetto al passato. Si tratta di bolle roventi che inglobano e opprimono tutto, ininterrottamente da maggio a ottobre. Non è infatti un caso se nel nostro Paese si sono verificate ben tre siccità negli ultimi dieci anni. L’attuale crisi idrica che attanaglia l’Italia è purtroppo in linea con questa tendenza a dir poco sconfortante; senza dubbio, quella odierna è la crisi più grave degli ultimi anni, complice soprattutto l’assenza di precipitazioni nei mesi passati che ha assottigliato pericolosamente le nostre riserve di fresh water.
Vista la nuova realtà climatica che, nostro malgrado, siamo costretti ad affrontare, sarebbe opportuno iniziare a considerare le crisi idriche estive non come eventi isolati e imponderabili ma come situazioni ormai ricorrenti e, per tanto, meritevoli della massima attenzione e prevenzione. La pianificazione di adeguate misure volte a scongiurare eventuali crisi di approvvigionamento idrico potrebbe costituire una strategia vincente per molte regioni italiane che si trovano in queste settimane in seria difficoltà. Siamo, infatti, ancora all’inizio dell’estate, ben lontani dal mese di ottobre, ovvero quando le temperature si raffreddano e si verificano le prime precipitazioni autunnali. Il rischio concreto è di arrivare a fine estate 2022 letteralmente senza acqua. Purtroppo, è tardi per sperare in piogge significative, in grado di dare sollievo e risanare il deficit idrico accumulato dallo scorso inverno. Stando ad alcuni esperti, dovrebbe piovere su tutto il territorio nazionale per quasi due settimane: impossibile in estate. Nel corso dei prossimi 2/3 mesi, per giunta, è molto probabile che la situazione peggiori ulteriormente, visto che, presumibilmente, le torride temperature di luglio e, soprattutto, di agosto, contribuiranno in modo severo al peggioramento dell’attuale contingenza, già di per sé critica.
In questo report, AB AQUA si pone l’obiettivo di elaborare una serie di misure che potrebbero in futuro scongiurare altre gravi crisi idriche come quella che stiamo vivendo in queste settimane. Estati lunghe e torride sono ormai parte integrante del nostro ecosistema. Ci stiamo lentamente avviando verso un clima subtropicale in cui gli inverni, oltre ad essere poco piovosi, sono brevi e miti; i periodi estivi, al contrario, sono sempre più lunghi e aggressivi. Questa nuova realtà climatica deve essere affrontata con corrette politiche ambientali che scongiurino, quanto più possibile, circostanze analoghe al difficile momento che stiamo affrontando.
Stress idrico e siccità. Un binomio molto pericoloso
Il caldo torrido che si è abbattuto sul territorio italiano fin dai primi giorni di maggio ha contribuito ad un peggioramento dello stress idrico che, in parte, ha causato l’attuale crisi di approvvigionamento presente in molte regioni. Il grande caldo di questi ultimi mesi ha messo a dura prova interi territori, in cui il rifornimento d’acqua è stato ed è tuttora molto difficoltoso. Basti pensare, ad esempio, all’altissimo tasso di evaporazione delle acque dei canali artificiali, impiegate spesso per irrigare o per rifornire gli invasi di tutt’Italia del prezioso liquido blu. Durante le ore più calde del giorno, l’acqua che evapora dai canali è davvero molta, assottigliando ulteriormente le già flebili risorse idriche.
Tuttavia, le temperature aggressive sono solo in parte responsabili della grave situazione odierna. All’origine della crisi non c’è, infatti, solo il caldo straordinario della stagione primaverile e di giugno. A pesare maggiormente è stato lo scarso quantitativo di riserve idriche con cui siamo entrati nel periodo estivo. Per usare una metafora bellica – tristemente di moda in questa particolare congiuntura storica – siamo andati in battaglia con armi scariche e con poche munizioni.
L’inverno è stato molto siccitoso e dopo un dicembre 2021 critico soprattutto al Nord-Ovest, gennaio 2022 è stato complessivamente uno dei più secchi della nostra storia. Nel concreto, l’inverno 2021-2022 è stato il sesto più siccitoso degli ultimi 63 anni[1]. In media, nella stagione invernale le precipitazioni nevose – indispensabili nella “ricarica” dei nostri bacini idrici montani – si attestano tra i 10 e i 12 metri, con picchi di oltre 15 metri in Piemonte. Quest’anno, in varie parti del Norditalia, non si è andati oltre i 4 metri di neve su base invernale totale e non di un singolo mese. A Pian del Re, dove sono presenti le sorgenti del fiume Po, nelle Alpi Cozie del Piemonte lo scorso inverno i metri di neve caduti sono stati circa tre. Decisamente troppo poco per rimpinguare i bacini idrici montani in vista dell’estate. Non è andata meglio per quanto riguarda le precipitazioni piovose. Con un’anomalia termica di + 0.8°C e un deficit pluviometrico pari a – 32% – equivalente a quasi 16 miliardi di metri cubi di acqua in meno – il periodo autunno/inverno scorso ha rappresentato la prima fase della grave crisi idrica in cui siamo precipitati. Il deficit pluviometrico di febbraio, nello specifico, ammonta a – 42% calcolato sull’Italia intera, pari a quasi 6 miliardi di metri cubi di acqua in meno rispetto alla norma. Insomma, durante la stagione invernale non solo si sono registrate delle temperature mediamente più alte che hanno impedito alla neve di cadere in quantità, ma si sono verificate anche minori precipitazioni piovose.
Per avere un’idea chiara della quantità di acqua sotto forma di precipitazioni che è mancata sul nostro territorio nazionale si prenda visione del Grafico 1. Come si evince, lo squilibrio tra la media delle precipitazioni del periodo 1991-2020 e quelle dell’anno corrente è davvero ampio, segno tangibile di quanto il mancato apporto idrico da pioggia e neve abbia segnato in negativo la stagione estiva. Infatti, nonostante i forti disagi per la popolazione, se in inverno si verificano le precipitazioni attese, non si registrano di regola crisi idriche durante la stagione estiva. Il momento peggiore accade se, insieme alle caldissime temperature estive, sussistono poche riserve d’acqua dovute a scarse precipitazioni autunnali e invernali. In questo caso, il mix è potenzialmente letale.
Come spesso capita in queste difficili congiunture, quando cioè a fronte di alte temperature non si sono avute abbondanti precipitazioni nei mesi passati, i grandi agglomerati urbani sono i più esposti agli evidenti disagi dovuti al caldo e alla mancanza di acqua. Nel Grafico 2, è possibile consultare la difficile situazione del Lago di Bracciano, importante bacino lacustre da cui la capitale si rifornisce da un punto di vista idrico. Il Lago di Bracciano, per il comune di Roma e per quelli limitrofi, è particolarmente strategico perché permette di compensare le richieste stagionali di acqua. Da questo lago il gruppo Acea può prelevare fino 1.100 litri al secondo, e in condizioni eccezionali, fino a picchi massimi di 5.000 litri al secondo. Ma dalla siccità del 2017 il livello del lago non si è ancora ripreso.
Strategie per limitare al minimo l’insorgenza di crisi idriche
Come analizzato poco sopra, il caldo torrido delle nostre estati recenti non è una spiacevole anomalia degli ultimi tempi. Siamo ormai in una nuova fase climatica caratterizzata da temperature molto aggressive che stazionano per vari mesi a tutte le latitudini. Il cambiamento climatico apporta notevoli danni anche durante la stagione autunno/inverno, visto che le temperature più miti non favoriscono le abbondanti precipitazioni nevose che potrebbero risultare indispensabili in caso di siccità estiva. Risulta, dunque, quanto mai evidente una forte presa di coscienza che imponga una serie di strategie logistiche, burocratiche e infrastrutturali per far fronte ai grossi disagi idrici e ambientali che puntualmente si verificano nel periodo più caldo.
- Ammodernamento degli acquedotti
La rete idrica italiana è molto scadente. Si tratta di infrastrutture ormai obsolete con gravi perdite a tutte le latitudini della penisola. Servono investimenti per ammodernare le tubature, che oggi sono in condizioni davvero precarie. Si consideri che dai fori dei tubi oggi perdiamo oltre il 40% dell’acqua che fluisce attraverso i nostri acquedotti. Circa 42 litri ogni 100 nel tragitto verso i rubinetti di casa vengono irrimediabilmente persi, con grave danno soprattutto in periodi di crisi come quello che stiamo attraversando in questi giorni. L’ammodernamento dei nostri acquedotti è già contenuto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e prevede un investimento di 2 miliardi entro il 2026. Non è molto, ma è un buon punto di partenza in vista delle prossime crisi idriche. L’intervento previsto dal PNRR è finalizzato a rendere più efficienti e affidabili le infrastrutture primarie per la fornitura di acqua destinata a usi civili, agricoli, industriali e ambientali, in modo da garantire la sicurezza dell’approvvigionamento in tutti i settori.
Come si evince dando una breve occhiata alla Fig. 3, queste tubature vecchie e arrugginite costituiscono un pericolo anche da un punto di vista sanitario. La ruggine presente in grande quantità in quasi tutti i grandi acquedotti italiani, oltre a causare perdite idriche rilevanti, può essere responsabile di patologie legate ad avvelenamento o intossicazione da ferro. Urge dunque una serie di ristrutturazioni e ammodernamenti su larga scala e su tutto il territorio nazionale volti a rendere più efficiente e moderna la nostra rete idrica. Si auspica che i tempi necessari per effettuare tali modifiche siano rapidi in modo da uscire da una situazione di grande affanno per ciò che concerne l’approvvigionamento idrico per uso soprattutto civile. Anche perché, nella grave crisi che stiamo affrontando, ogni litro d’acqua risparmiato rappresenta un successo non da poco. I tempi sono maturi per compiere un investimento strategico che riguarda tutto il suolo nazionale. Occorre fare un passo oltre la cosiddetta “politica di emergenza”, che si attiva solo in caso di calamità naturale e a fatto compiuto, e dare vita ad un piano per la messa in sicurezza degli acquedotti nazionali per prevenire, o comunque alleviare, le future crisi idriche.
2. Costruzione di acquedotti di emergenza per prevenire l’eccessivo abbassamento di laghi e fiumi
Uno dei principali risultati negativi della pericolosa combinazione “siccità & crisi idrica” è il repentino abbassamento del livello di invasi, laghi e fiumi. Come purtroppo testimoniato da vari report giornalistici, nelle ultime settimane il livello del fiume Po – principale via d’acqua del Norditalia – è sceso di vari metri. Ciò ha causato rilevanti problemi legati all’approvvigionamento idrico per i comuni localizzati in prossimità del fiume, con numerosi casi di vera e propria “secca”, ovvero di mancanza d’acqua per lunghi tratti del suo corso, con notevoli danni all’agricoltura. Anche per quanto riguarda i principali laghi italiani, la situazione non è delle più rosee. Tutti i grandi bacini lacustri sono in grande sofferenza, con casi di preoccupante abbassamento delle acque nell’ordine di svariati centimetri. In passato, per far fronte a questi preoccupanti casi abbassamento delle acque, venne proposta la costruzione di una serie di canali che, all’occorrenza, avrebbero potuto veicolare il prezioso liquido da un invaso ad un altro a seconda dell’esigenza del momento. Tuttavia, l’alto tasso di evaporazione che si verifica soprattutto nelle stagioni calde ha impedito che si adottasse una strategia di questo tipo. Secondo alcuni calcoli, fino al 30% dell’acqua trasportata in un canale può essere soggetta ad evaporazione durante le calde ore estive. Questo fenomeno, afferente alla cosiddetta perdita di efficienza irrigua, fa sì che su 100 litri, ben 30 vengano letteralmente dissolti nell’aria; si tratta di grave dispendio in termini idrici, in particolar modo durante periodi di crisi legate a siccità e a difficoltà di approvvigionamento d’acqua.
Oltre all’evaporazione, altri fenomeni contribuiscono a disperdere l’acqua che transita sui canali. Generalmente, questi ultimi sono costruiti in cemento solo quando si tratta di strutture di collegamento importanti, che mettono in comunicazione due invasi di grande rilievo o un fiume e un lago che garantiscono l’approvvigionamento idrico per una vasta comunità di individui. In questi casi, l’evaporazione è la causa principale delle perdite idriche. Nondimeno, esistono numerosissimi canali – anche di considerevoli dimensioni – che sono costruiti in terra. Questo materiale consente la dispersione per percolazione[2] dal fondo e per esfiltrazione dagli argini di notevoli quantità di acqua sia durante la stagione irrigua sia in fase di riempimento degli invasi. A ciò, bisogna aggiungere l’azione aggressiva e pervasiva delle nutrie, che contribuiscono a far disperdere notevolissimi quantitativi di preziosa acqua presente nei canali di terra grazie alle profonde gallerie che scavano con incessante abnegazione[3].
Se si prende in considerazione un canale con 10 metri di perimetro bagnato con un valore di permeabilità del suolo di circa 4 mm/ora (100 mm/giorno), si ha una dispersione idrica di circa 1 m³/giorno per ogni metro lineare. Ciò significa che in una stagione estiva regolare di 90 giorni le perdite corrispondono a circa 90 m³ d’acqua ogni metro di canale di terra. Numeri molti significativi, soprattutto se si tiene conto che le nostre estati non durano più “semplicemente” 90 giorni ma possono arrivare anche a 120, a volte 150 giorni di caldo intenso.
In Italia sono preseti oltre 57.000 km di canali di terra, tra irrigui e promiscui. Stando alle perdite idriche calcolate su base estiva regolare – ovvero se la stagione fosse solo di 90 giorni – si avrebbe una dispersione pari a circa 5 miliardi di m³ di acqua, pari al 10% della risorsa idrica totale che transita sui canali di terra. A ciò vanno aggiunte le perdite causate dall’esteso ed intricato reticolo di canalizzazioni abusive che spesso le aziende realizzano per far defluire le acque risultanti da processi produttivi. Uniti al maggiore numero di giorni estivi dovuti all’accresciuta aggressività delle nostre estati, questi dati potrebbero far lievitare le perdite idriche a circa il 20% totale dell’intera risorsa presente nel sistema.
Stando così le cose, appare evidente che utilizzare canali di terra per garantire l’approvvigionamento strategico ad invasi, laghi e fiumi non è la soluzione ottimale. Restano due strade. Costruire canali in cemento potrebbe essere una valida alternativa, anche se sussistono criticità ambientali di non poco conto. La diffusione di questa tipologia di canali favorirebbe un’eccessiva cementificazione di molte aree verdi del nostro Paese, oltre a non risolvere la questione relativa all’evaporazione dell’acqua durante le ore calde della stagione estiva. Per ovviare a questo problema si potrebbero costruire dei moderni acquedotti che mettano in comunicazione aree ricche di acqua con zone in cui si verificano sovente delle crisi di approvvigionamento. Il meccanismo potrebbe essere simile ad un gigantesco rubinetto che andrebbe azionato solo nel momento del bisogno da parte di tecnici specializzati che, una volta ottenute le dovute autorizzazioni, immettono nell’invaso, nel lago o nel fiume in sofferenza decine di milioni di m³ di acqua. In tal modo, non si avrebbero problemi di evaporazione, di cementificazione massiva o di perdita di efficienza irrigua dovuta a casi di percolazione ed esfiltrazione. Al contrario, si assicurerebbe un vero e proprio approvvigionamento di emergenza da utilizzare solo in caso di assoluta necessità.
3. Progettazione di canali ultramoderni e polifunzionali
Una soluzione al problema relativo all’evaporazione potrebbe essere quello di realizzare lunghi canali coperti in modo da evitare che l’azione del sole e del vento – altro agente responsabile per la dissoluzione di acqua nell’aria – disperda il prezioso liquido blu. Tuttavia, le coperture sui canali non avrebbero la semplice ancorché essenziale funzione di proteggere l’acqua che scorre, ma agirebbero anche come volano per convogliare energia proveniente dal sole. Si tratterebbe di installare pannelli fotovoltaici sopra i canali idrici. È un progetto che ha già trovato diversi ambiti di applicazione, soprattutto in India e in Nordamerica. A questo proposito, il Turlock Irrigation District (TID) ha annunciato il Project Nexus, un progetto pilota per costruire tettoie di pannelli solari su una parte dei canali esistenti del TID per realizzare una struttura veramente innovativa, multi-beneficio, in cui il nesso acqua-energia possa favorire la spinta della California verso la resilienza idrica e climatica.
La presenza di pannelli fotovoltaici a copertura del canale comporterebbe diversi effetti positivi. Innanzitutto, come accennato pocanzi ridurrebbe l’evaporazione dell’acqua come risultato dell’ombra e della mitigazione del vento. In secondo luogo, si verificherebbe un miglioramento della qualità dell’acqua attraverso una ridotta crescita vegetativa. La mancata presenza del sole non faciliterebbe la diffusione di piante che, solitamente, infestano anche i canali in cemento. In terzo luogo, la minor presenza di vegetazione indesiderata ridurrebbe i costi della manutenzione del canale, molto più pulito e meno esposto alla proliferazione vegetativa. Infine, i pannelli solari sarebbero in grado di generare elettricità rinnovabile da impiegarsi secondo modalità da stabilire, tra cui pompe ad energie solare.
Stando all’articolo scientifico Energy and water co-benefits from covering canals with solar panels, pubblicato su “Nature Sustainability” e redatto dagli studiosi dell’Università della California, impianti così realizzati garantirebbero l’ottimizzazione del rendimento dei pannelli, la tutela dell’acqua contenuta nei canali ed ovviamente la possibilità di utilizzare superfici ampiamente disponibili e di facile fruizione[4]. I ricercatori californiani sono ottimisti che il passo successivo sarà, a breve, quello di costituire progetti pilota o esperimenti sul campo su alcuni rami dei canali idrici californiani, che ammontano a circa 6.400 km. Un business che, vista l’estensione della rete di canali e le relative superfici a disposizione, potrebbe portare ad un nuovo campo di applicazione per la tecnologia fotovoltaica, in California come anche in altri Paesi in tutto il mondo.
In Italia si potrebbe procedere ad individuare pochi canali, inizialmente di breve-media lunghezza, su cui poter testare questo nuovo approccio e verificare se sussistono le condizioni ed i benefici riscontrati in California. Potrebbe essere il primo passo verso una vera e propria rivoluzione che coinvolgerebbe la progettazione di canalizzazioni di ultima generazione.
4. Favorire la collaborazione istituzionale tra le istituzioni coinvolte
In caso di emergenza, sarebbe auspicabile una collaborazione serrata tra le autorità pubbliche e le istituzioni locali per cercare di risolvere il più velocemente e nella maniera più efficiente possibile i grandi disagi che spesso la popolazione civile è costretta a patire durante le crisi idriche. Solo tramite un approccio congiunto e una strategia condivisa si possono realizzare risultati importanti in breve tempo. Tuttavia, è proprio durante le fasi più problematiche, quando cioè la collaborazione diventa un elemento imprescindibile per portare a casa il risultato, che le istituzioni si trincerano dietro localismi pericolosi. Proprio nelle scorse settimane, si è assistito a fenomeni di preoccupante egoismo che hanno caratterizzato in maniera negativa i rapporti tra regioni e comuni interessati dalla siccità. Sia in Emilia-Romagna che in Lombardia – due delle regioni più colpite – si sono verificati casi di vero e proprio “egoismo idrico”, in cui cioè le autorità di vari comuni si sono dimostrate oltremodo restie a condividere con altri le proprie risorse d’acqua.
A dir la verità, fenomeni di mancata collaborazione istituzionale durante le crisi ambientali si verificano spesso anche in altre aree del mondo. Da un punto di vista idrico, AB AQUA si è occupato di una situazione simile durante la crisi di Città del Capo[5]. Nel 2018 la metropoli sudafricana per svariate settimane visse una situazione molto simile a quanto si sta verificando nel nostro Paese. Mesi e mesi di siccità, uniti a prolungati periodi di assenza totale di precipitazioni, fece piombare la capitale economica dello Stato africano sull’orlo del baratro. La crisi idrica venne acuita dalle tensioni politiche tra il governo centrale e la municipalità di Città del Capo, che appartenevano a schieramenti opposti. L’Alleanza Democratica, organizzazione politica di opposizione rispetto al partito di governo – il Congresso Nazionale Africano (ANC) – dal 2006 amministrava la città e dal 2009 la provincia con una visione chiaramente differente rispetto al governo nazionale. Questa dicotomia amministrativa non solo non ha aiutato a coordinare una strategia congiunta durante i momenti di crisi, ma ha addirittura peggiorato la situazione visti i continui rimpalli di responsabilità tra le due istituzioni.
La grave crisi idrica di Città del Capo venne risolta solo grazie al provvidenziale intervento di un attore extra politico: la pioggia. Le abbondanti precipitazioni primaverili verificatesi tra la fine di aprile e le prime settimane di maggio 2018 risolsero una situazione veramente drammatica. Come riportato nel nostro report, la città era sull’orlo di rivolte sociali, tensioni inter-etniche e scontri aspri con la polizia a causa delle severissime misure che le autorità avevano preso per ridurre al minimo il consumo di acqua per usi non essenziali. Ciò che si sta verificando in queste settimane in Italia ricorda molto vividamente quanto successe in Sudafrica solo quattro anni fa. Solo che, a meno di miracolose ondate temporalesche estive, le piogge a cadenza regolare sul nostro territorio sono previste solo tra 2/3 mesi. Visto che, presumibilmente, il peggio deve ancora arrivare con il caldo aggressivo di agosto, è fortemente auspicabile una stretta collaborazione tra le autorità locali e nazionali per far fronte ai gravi disagi che la mancanza d’acqua provocherà a tutte le fasce della popolazione e alla macchina produttiva nazionale, già fortemente provata da pandemia, guerra, siccità e inflazione.
5. Incrementare l’utilizzo dei dissalatori per reperire velocemente acqua dal mare
Un modo relativamente a basso costo e rapido per reperire acqua in caso di necessità è la desalinizzazione, processo che rende le risorse idriche marine disponibili per usi agricoli e industriali. Anche in questo caso, AB AQUA si è occupato della questione con studi ad hoc[6]. Vista la penuria di acqua dolce e la grande abbondanza di acqua salata che è facilmente reperibile sul territorio nazionale, in questa situazione di emergenza riteniamo che sia il caso di potenziare la nostra produzione di risorse idriche desalinizzate. Tra l’altro, la crisi è al momento così seria che il mare è risalito dall’estuario del Po verso l’interno per oltre 30 km, un dato davvero preoccupante. Stando così le cose, non sembra esserci più molto tempo. Occorre mettere in atto tutti gli strumenti per fronteggiare una crisi che si fa ogni giorno più pesante.
Ricavare acqua dolce dal mare potrebbe permetterci di irrigare i campi senza prosciugare le faglie ed evitare la risalita di acqua salmastra lungo le foci dei fiumi. Molti Paesi utilizzano i dissalatori con grande intensità. È il caso, ad esempio, dell’Arabia Saudita, in cui il massiccio impiego della dissalazione ha trasformato completamente intere aree della grande nazione mediorientale da deserto a terreno fertile. Le politiche idriche dell’Arabia Saudita sono molto interessanti sotto il profilo della dissalazione. Noi ce ne siamo occupati in passato e già diversi mesi fa[7] notammo i grandi cambiamenti che l’aumento delle risorse idriche ha provocato sull’economia e sulla società saudita. I dissalatori hanno avuto un impatto così elevato che Riad ormai, oltre a non importare più dall’estero beni alimentari, esporta prodotti agricoli e fiori nel Corno d’Africa e in tutto il Sudest asiatico. La Saline Water Conversion Corporation, ovvero la più grande compagnia di dissalazione al mondo, è saudita, segnale inequivocabile di quanto il processo scientifico che trasforma l’acqua di mare in fresh water sia alla base della crescita socioeconomica di Riad.
Per restare in Europa, in tema di dissalazione si faccia riferimento alla Spagna, Paese che da molti anni sperimenta severe crisi idriche nelle regioni meridionali durante le stagioni calde. Madrid ricorre abbondantemente ai dissalatori. Stando ad alcuni report[8], ad oggi la Spagna è al quarto posto al mondo per capacità installata dopo Arabia Saudita, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti. Secondo i dati più aggiornati a disposizione di AEDyR[9] – Asociaciòn Española de Desalaciòn y Reutilizaciòn – il Paese iberico attualmente produce circa 5.000.000 di m³/giorno di acqua dissalata per approvvigionamento, irrigazione e uso industriale. Si tratta di un numero molto rilevante, che contribuisce a rendere più lieve il carico idrico che grava sugli invasi spagnoli durante la lunga stagione estiva.
Gli esempi virtuosi di Arabia Saudita e Spagna sull’impiego di processi di desalinizzazione industriale dovrebbero far riflettere. L’Italia, pur essendo letteralmente circondata dal mare per la maggior parte del proprio territorio, non ricorre che in maniera sporadica alla dissalazione. I motivi di questa strategia remissiva sono molteplici ma, per lo più, si riscontrano ragioni ambientali e burocratiche. Un impianto di media grandezza di desalinizzazione costa circa 15 milioni di euro e produce circa 2.5 milioni di m³ di acqua potabile ogni anno, con costi annui di gestione di circa mezzo milione. A ciò vanno aggiunti i costi di smaltimento della salamoia, un materiale di scarto inquinante derivante dalla trasformazione dell’acqua salata in fresh water. Dunque, ricavare acqua dolce dal mare richiede energia e produce diversi scarti industriali che devono essere adeguatamente smaltiti. Ciò comporta una serie di costi sia sotto il profilo economico sia industriale che devono essere presi in considerazione.
Sotto il profilo burocratico, si segnala che le recenti leggi a salvaguardia dell’ambiente hanno posto dei freni alla proliferazione degli impianti di dissalazione sul nostro territorio. Nello specifico, la Legge Salvamare, al di là dei tanti meriti, ha stabilito che gli impianti di desalinizzazione destinati alla produzione di acqua per il consumo umano sono ammessi solo in casi eccezionali. E la legge è stata pubblicata lo scorso maggio, in piena emergenza siccità. Le eccezioni alla regola riguardano condizioni di “comprovata carenza idrica e in mancanza di fonti idrico-potabili alternative economicamente sostenibili”, nei casi in cui “gli impianti siano previsti nei piani di settore in materia di acque e in particolare nel piano d’ambito anche sulla base di un’analisi costi benefici” e solo dopo aver dimostrato “che siano stati effettuati gli opportuni interventi per ridurre significativamente le perdite della rete degli acquedotti e per la razionalizzazione dell’uso della risorsa idrica prevista dalla pianificazione di settore”. A questi paletti, segue quella della valutazione di impatto ambientale; le autorizzazioni vengono concesse non più come si è fatto finora dalle regioni ma da un’apposita commissione ministeriale che dà il “via libera” alla costruzione dell’impianto. Si tratta, in sostanza di un iter burocratico infinito che di fatto rallenta sensibilmente ogni avanzamento in questo senso, soprattutto in un periodo di grave crisi come quello attuale in cui avremmo bisogno della massima celerità amministrativa.
Conclusione
La grave crisi idrica italiana, acuita da una severa siccità, richiede una decisa presa di coscienza da parte delle autorità. Servono nuove strutture, nuovi paradigmi di valutazione e un diverso approccio alle situazioni di emergenza. Il grande caldo che puntualmente arriva ormai da qualche anno durante la stagione estiva rappresenta il principale “nemico” da combattere quando si ha a che fare con crisi di approvvigionamento idrico. Se, oltre alle temperature torride, si uniscono inverni miti e scarse precipitazioni, può innescarsi una vera e propria “tempesta perfetta” in grado di mettere in ginocchio la società, l’apparato produttivo e l’economia del nostro Paese. In questo report AB AQUA ha individuato cinque strategie di breve/medio periodo che potrebbero contribuire a migliorare la situazione da qui alle prossime estati e a invertire perennemente la rotta per ciò che concerne l’approvvigionamento di acqua.
A differenza di altre nazioni, anche europee come la Spagna, ad esempio, l’Italia storicamente non ha mai sofferto in maniera eccessiva di crisi idriche. Le nostre falde freatiche sono ricche di acqua e ad ogni latitudine della lunga penisola sono presenti vari fiumi e torrenti in grado di offrire il prezioso “oro blu” in caso di necessità. Inoltre, la presenza di montagne lungo tutto il corso peninsulare italiano, dal Piemonte fino alla Calabria con una situazione di continuità quasi totale, ha garantito vaste riserve idriche sotto forma di neve che si riversa nei corsi d’acqua diretti verso valle. Le abbondanti precipitazioni che contraddistinguono, di regola, i nostri inverni hanno spesso garantito il fabbisogno idrico per le stagioni estive. Importanti aree in cui, spesso, si sono verificati problemi legati all’approvvigionamento idrico sono la Sicilia e la Sardegna. Le nostre due grandi isole, soprattutto durante l’estate, non di rado soffrono seri disagi legati alla mancanza di acqua. In realtà, la principale motivazione di questa spiacevole situazione è dovuta alla presenza di acquedotti ancora più inefficienti e obsoleti rispetto al continente che disperdono moltissimi litri d’acqua. È purtroppo una caratteristica comune a tutte le isole – non solo quelle italiane – in cui si riscontra una mancanza di infrastrutture idriche adeguate, soprattutto nel periodo estivo con il vertiginoso incremento della popolazione a causa della stagione turistica. Tuttavia, nel complesso, se si escludono i casi estivi relativi alla Sicilia e alla Sardegna, l’Italia è un Paese ricco di acqua in cui i disagi legati alle crisi di approvvigionamento rappresentano fenomeni abbastanza recenti, per non dire nuovi.
Nondimeno, la terza crisi idrica in dieci anni rappresenta un fatto incontrovertibile che merita di essere preso nella massima considerazione. La recente tragedia della Marmolada, causata dall’ormai evidente scioglimento dei ghiacci testimonia incontrovertibilmente il progressivo riscaldamento del pianeta, i cui effetti sono visibili ormai da diverso tempo a varie latitudini e non solo in Italia. Ciò impone di adottare misure drastiche che scongiurino fenomeni siccitosi gravi come la crisi odierna. Le misure che sono state indicate in questo report sono state ideate per sopperire in caso di scarse precipitazioni invernali. Infatti, ben poco si può fare per alleviare il disagio e i gravi danni che le temperature torride causano a piante, terreni uomini e animali. Tuttavia, una più saggia gestione delle risorse, unita a maggiore collaborazione istituzionale e a nuove infrastrutture può certamente garantire una risposta rapida ed efficiente alle possibili nuove crisi idriche che dovremo fronteggiare negli anni a venire.
[1] https://www.iconaclima.it/italia/mesi-di-allarme-siccita-e-immobilita-politica-prepariamoci-ad-una-estate-2022-senzacqua/.
[2] Per percolazione si intende il lento movimento di un fluido attraverso un materiale poroso. Nel caso di un canale di terra, materiale poroso per eccellenza, la percolazione è un fenomeno che disperde molta quantità d’acqua che dal fondo o dagli argini fuoriesce dal canale.
[3] https://www.informatoreagrario.it/filiere-produttive/perdite-di-efficienza-irrigua-un-problema-da-risolvere/.
[4] Per ulteriori informazioni si rimanda al seguente link: https://www.hwupgrade.it/news/scienza-tecnologia/pannelli-fotovoltaici-sopra-i-canali-idrici-della-california-accoppiata-vincente_96566.html.
[5] A questo link è possibile consultare il paper relativo alla crisi idrica di Città del Capo: https://abaqua.it/la-crisi-idrica-di-citta-del-capo-2018-una-lezione-da-non-dimenticare/.
[6] Nello specifico, ci siamo occupati della dissalazione in questo paper: “Dissalazione: dubbi ecologici e prospettive future”, reperibile al seguente link https://abaqua.it/dissalazione-dubbi-ecologici-e-prospettive-future/.
[7] A questo link (https://abaqua.it/le-politiche-idriche-dellarabia-saudita/) è reperibile il nostro report “Le politiche idriche dell’Arabia Saudita”.
[8] Il report è consultabile al seguente link: https://www.iconaclima.it/italia/mesi-di-allarme-siccita-e-immobilita-politica-prepariamoci-ad-una-estate-2022-senzacqua/.