* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito Memodo Blog, consultabile al seguente link: https://blog.memodo.it/desalinizzazione-dellacqua-impianti-fotovoltaici/
Per lungo tempo, l’Italia ha potuto fare a meno della desalinizzazione come strumento di produzione di risorsa idrica. I motivi erano vari. Oltre ad una tradizionale refrattarietà sotto il profilo istituzionale e ambientale verso quest’antica tecnica, l’abbondanza di fresh water lungo la nostra penisola, in varie forme, ha fatto sì che le istituzioni potessero quasi del tutto ignorare la dissalazione come metodo valido di approvvigionamento. Fino a pochi anni fa, le precipitazioni abbondanti e la grande massa nevosa che ogni inverno si depositava sulle nostre Alpi e lungo tutto l’arco appenninico garantiva al Belpaese una condizione quasi privilegiata sotto il profilo ambientale. Infatti, nonostante il cambiamento climatico sia una triste realtà ormai da diverso tempo, con i relativi effetti negativi di cui tutti siamo a conoscenza, l’Italia fino a pochissimo tempo fa non aveva sperimentato particolari casi di crisi ambientale, water stress, difficoltà di approvvigionamento idrico. La ragione principale di ciò era dovuta al fatto che i numerosi fiumi e torrenti che dalle nostre montagne innervavano tutta la penisola venivano costantemente riforniti di preziosa acqua glaciale. Oltre, ovviamente, ad un tasso di precipitazioni piovose abbondante, continuo e relativamente prevedibile.
Tuttavia, i tempi cambiano. Negli ultimi dieci anni si sono verificati ben tre gravi episodi di stress idrico. Il 2022, vero e proprio annus horribilis sotto il profilo siccitoso, è stato consegnato alla storia come l’anno più secco di questo millennio e uno dei più asciutti della storia recente europea. I danni della siccità, iniziata a maggio e terminata al principiare delle prime piogge autunnali ad ottobre inoltrato, sono stati devastanti. Stando alle analisi di Coldiretti, in quell’anno l’Italia ha avuto un deficit di oltre il 10% della produzione agroalimentare nazionale e danni stimati in circa 6 miliardi di euro, oltre, ovviamente, agli enormi disagi provocati ai privati cittadini e alle aziende. Come riportato in un nostro studio di qualche tempo fa, la crisi del 2022 venne provocata in larga parte dal poderoso deficit pluviometrico che di fatto impedì ai ghiacciai, da sempre inestimabili serbatoi di acqua per l’approvvigionamento italiano, di rifornire gli innumerevoli torrenti, ruscelli e corsi d’acqua disseminati sul nostro territorio nazionale. La scarsità di precipitazioni, sia piovose sia nevose, è uno dei principali effetti negativi del cambiamento climatico. Proprio in Italia, storicamente al riparo da fenomeni di deficit pluviometrico, i recenti casi di scarse precipitazioni nelle stagioni invernali stanno gettando le basi per le crisi idriche del futuro. Sotto questo profilo, sulla base della situazione climatica ed ambientale attuale, non si tratta di “se” ma di “quando” si verificherà la prossima siccità.
In virtù di questa situazione complicata, occorre trovare nuove fonti da cui approvvigionarsi nell’eventualità, altamente probabile, che si verifichi una crisi siccitosa. Il ricorso alla desalinizzazione sembra essere una valida alternativa sia per la conformazione peninsulare del Paese sia soprattutto viste le moderne tecniche produttive che abbattono il rischio ambientale dovuto ad inquinamento ed emissioni, oltre a favorire una produzione di acqua dissalata costante senza ricorrere per forza ai combustibili fossili. In questo report, dopo aver schematicamente sottolineato con qualche dato i danni che il deficit pluviometrico ha causato all’ambiente e all’economia italiana, si metterà in luce il radicale cambiamento istituzionale e burocratico in merito alla costruzione degli impianti di desalinizzazione dopo la crisi idrica del 2022. Si è infatti passati dalla Legge Salvamare (Legge N. 60 del 17 maggio 2022), fortemente restrittiva nei confronti della dissalazione, al Decreto-Legge “Siccità” n. 39 del 14 aprile 2023, convertito successivamente in legge (N. 68 del 13 giugno 2023), in cui gli impianti di desalinizzazione sono stati di fatto favoriti da una vistosa de-burocratizzazione.
L’alterazione delle precipitazioni e l’erosione dei ghiacciai: le principali cause dello stress idrico italiano
Il riscaldamento globale è la grande sfida climatica del nostro tempo. Secondo la quasi totalità della letteratura scientifica mondiale, nonostante le misure adottate – soprattutto in Occidente per la verità – le emissioni mondiali di gas serra non hanno ancora iniziato a ridursi e hanno superato abbondantemente i 50 miliardi di tonnellate all’anno. In assenza di una rapida inversione di tendenza, entro la fine di questo secolo la temperatura media globale sarà più alta di almeno 3 °C rispetto al periodo preindustriale. È un dato allarmante sotto tutti i profili. La temperatura più alta comporta non solo una contrazione più rapida delle risorse idriche presenti su un territorio ma anche un’alterazione delle precipitazioni sia piovose sia nevose. Questo perché il caldo interferisce significativamente con il ciclo dell’acqua, che è il meccanismo con cui la natura genera le precipitazioni. Come riportato in vari studi pubblicati su ISPRA, un maggior volume di acqua che evapora in poco tempo a causa del riscaldamento globale getta i presupposti per uragani, tempeste, e “bombe d’acqua” che non fanno altro che peggiorare una situazione ambientale già in affanno.
Stando alle ultime analisi dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’alterazione delle precipitazioni causata dal cambiamento climatico ha ridotto la sicurezza idrica con notevoli impatti anche sotto il profilo agricolo e alimentare. Oltre, infatti, alla mancanza di pioggia, negli ultimi anni si sono intensificati gli eventi climatici estremi (alluvioni, allagamenti, smottamenti), anch’essi forieri di instabilità e degrado ambientale. Da questo studio pubblicato dalle Nazioni Unite si evince che quasi la metà della popolazione mondiale è esposta a casi di severa scarsità idrica per almeno una parte dell’anno, con possibili fenomeni alluvionali. Sembra un ossimoro ma è quello che purtroppo si verifica in molte aree del mondo. Ad esempio, come riportato in un nostro paper di qualche tempo fa, nel 2019 la città indiana di Chennai sperimentò una doppia crisi idrica nel giro di pochi mesi. Dopo una forte siccità che paralizzò la capitale del Tamil Nadu per mesi, una grave alluvione frutto di un monsone particolarmente potente si abbatté sul terreno riarso della metropoli, causando una doppia emergenza, siccitosa e alluvionale.
Il riscaldamento globale in corso non impatta allo stesso modo tutte le regioni del mondo. Ad esempio, l’area del bacino del Mediterraneo viene classificata come un hotspot climatico, in quanto più esposta agli effetti della crisi ambientale. In Italia, nello specifico, la crescita delle temperature viaggia al doppio della velocità rispetto alla media del pianeta. Secondo il report (2023) di Italy for Climate, oggi la temperatura media del nostro Paese è aumentata di quasi 3 °C rispetto al periodo preindustriale, a fronte del +1,1°C della media mondiale. Anche ipotizzando di riuscire a tagliare le emissioni e contenere il riscaldamento globale a non più di 2°C, come previsto dall’Accordo di Parigi, nei prossimi decenni l’Italia potrebbe dover fare i conti con una temperatura media più alta di ben 5°C. Questo valore in alcuni contesti potrebbe essere anche molto più alto, come ad esempio nei grandi agglomerati urbani o nelle isole, dove l’approvvigionamento idrico rappresenta già di per sé una sfida.
Come accennato, dunque, l’aumento delle temperature causa un’alterazione delle precipitazioni, il cui principale effetto, nel breve periodo, è la diminuzione di pioggia e neve regolari. Sotto questo profilo, da un punto di vista statistico, è interessante riportare i dati estrapolati da ISPRA, che ha ricostruito una serie storica estesa del bilancio idrico nazionale. Facendo riferimento alla media del trentennio 1991-2020[1], l’input annuo di acqua sul territorio nazionale, dato dall’insieme delle precipitazioni, è stato di 285 miliardi di m³. Di questo imponente dato, oltre la metà è tornato in atmosfera per evapotraspirazione[2]. L’acqua che rimane è il deflusso interno, composto da ruscellamento e ricarica degli acquiferi. Si tratta di quella che viene normalmente considerata come risorsa idrica disponibile in modo rinnovabile. Stando alle analisi statistiche di ISPRA, nell’ultimo trentennio la disponibilità media della risorsa idrica in Italia è stata pari a 134 miliardi di m³ all’anno.
L’analisi di ISPRA ci consente di prendere atto che, nel panorama europeo, l’Italia gode di una buona disponibilità di risorsa idrica. Secondo questo rapporto di Eurostat in merito alle statistiche idriche europee, il deflusso interno medio in Italia è il più alto in Europa dopo Francia e Svezia, maggiore sia di quello tedesco che di quello spagnolo. È opportuno segnalare che il deflusso dipende dall’estensione di un Paese; più un Paese è grande, maggiori saranno le precipitazioni intercettate. Nondimeno, anche prendendo in considerazione la diponibilità della risorsa in relazione al territorio, l’Italia, con oltre 400,000 m³/km², si posiziona sopra alla media europea e ai valori di Francia e Germania, poco superiori ai 300,000 m³/km², e al doppio del dato spagnolo. Sempre secondo Eurostat, guardando alla disponibilità pro capite, a causa della densità abitativa più alta della media (circa il doppio di Francia e Spagna, ad esempio), i valori italiani sono un po’ più bassi della media europea.
Tuttavia, nonostante una disponibilità idrica buona, negli ultimi decenni l’Italia ha assistito ad una progressiva riduzione della disponibilità media annua di risorsa rinnovabile. Si è infatti passati dalla media di 166 miliardi di m³/anno del trentennio 1921-1950 ai 134 del 1991-2020 pocanzi menzionati, con una riduzione di circa il 20%. Stando all’analisi di vari enti tra cui ISPRA ed EUROSTAT, questo trend sarebbe destinato a consolidarsi e a peggiorare nei prossimi anni a causa del cambiamento climatico. Anche immaginando di contenere il riscaldamento globale a non più di 2°C entro la fine del secolo, la disponibilità idrica a livello nazionale si ridurrebbe ancora di un altro 10%, portando il dato annuale a poco più di 120 miliardi di m³/anno. Se, invece, non si riuscisse a cambiare passo sulle politiche di decarbonizzazione e la temperatura si attestasse a +3/4 °C, a fine secolo si potrebbe avere un ulteriore 40% in meno della risorsa, con una preoccupante proiezione di circa 81 miliardi m³/anno, arrotondati per eccesso. Naturalmente, questa riduzione colpirebbe in modo diverso differenti aree del Paese e in alcune zone del Sud Italia, già oggi in affanno da un punto di vista idrico, la disponibilità d’acqua potrebbe ridursi con percentuali ancora maggiori, causando nel breve-lungo periodo preoccupanti crisi di approvvigionamento.
Come accennato in apertura di questo report, le aree maggiormente colpite dalla diminuzione delle precipitazioni sono le montagne. A questo proposito, secondo il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici – PNACC, i ghiacciai alpini hanno già perso dal 30% al 40% del loro volume. In poco più di un ventennio, a causa del riscaldamento globale, i ghiacciai alpini hanno perso oltre 50 km³ di acqua e si sono abbassati in media di 25 metri. Si tratta di un dato estremamente allarmante. A tal proposito, già qualche tempo fa, in un report realizzato per la Mountain Partnership, sottolineammo quanto la riduzione della neve e la scomparsa dei ghiacciai possano compromettere il fondamentale ruolo di approvvigionamento di questi ecosistemi montani per le stagioni estive. Un minor apporto dei ghiacciai in termini di portata idrica non fa altro che incrementare il rischio di crisi idriche. Come menzionato in modo evocativo nel report pubblicato su Italy for Climate in relazione all’abbassamento del ghiaccio avvenuto negli ultimi venti anni, è come se fosse sparita una città di ghiaccio fatta solo di palazzi di 8 piani e con una superficie di più di 2000 km², ossia due volte quella di Roma, la più estesa città d’Europa.
Oltre alla diminuzione di acqua disponibile sul nostro territorio nazionale è opportuno segnalare un altro paio di dati che contribuiscono ad incrementare lo stress idrico italiano. Secondo EUROSTAT, l’Italia oggi è il Paese europeo con i più alti livelli di prelievi idrici totali, in primo luogo a causa dell’agricoltura (ma non solo). Con quasi 40 miliardi di m³ prelevati annualmente, il Belpaese stacca nettamente la Spagna, a poco più di 30 miliardi, seguita dalla Francia, con quasi 27, e dalla Germania con un prelievo annuo di meno di 20 miliardi di m³. Oltre a ciò, si segnalano le altissime perdite nelle infrastrutture idriche italiane. Stando a questo documento di Rete Ambiente – Osservatorio Normativa Ambientale, il tasso di perdite dei nostri acquedotti supera il 42%. Questi due dati – prelievi idrici totali e tasso di perdita negli acquedotti – uniti all’alterazione delle precipitazioni e alla diminuzione dell’apporto idrico fornito dai ghiacciai, forniscono una chiara idea della grande necessità da parte dell’Italia di reperire altre fonti di approvvigionamento. Sia, infatti, da un punto di vista agricolo, sia a livello industriale, le probabili crisi idriche del futuro assesteranno dei colpi molto pesanti all’economia e alla società nazionale.
Dalla Legge Salvamare (2022) al Decreto-Legge Siccità (2023): la de-burocratizzazione della desalinizzazione italiana
Prima della crisi idrica del 2022, la costruzione di un impianto di desalinizzazione per scopi di pubblica utilità non era affatto semplice. L’ottenimento dei permessi burocratici era molto lungo e farraginoso. Oltre ad una valutazione di impatto ambientale (Environmental Impact Assesment – EIA) che precedeva il via libera da parte delle autorità, bisognava rispettare una serie di linee guida fornite dal Ministero della Salute molto stringenti. Nei fatti, il processo di desalinizzazione veniva considerato come una extrema ratio, ovvero sarebbe potuto essere preso in considerazione solo quando ogni altra misura – miglioramento delle reti idriche, efficientamento, ristrutturazione degli impianti etc. – fosse stato già implementato con scarsi risultati. Inoltre, sotto il profilo della sostenibilità, la produzione della salamoia come scarto industriale del processo di dissalazione destava molta preoccupazione visti gli alti costi di smaltimento e la tossicità ambientale. In questi riguardi, infatti, è opportuno segnalare che, se reimmessa negli ambienti marini, la salamoia provoca dei danni molto seri alla flora e alla fauna acquatiche a causa della sua iper-salinità.
Dunque, sia da un punto di vista burocratico che ambientale, l’Italia fino a poco tempo fa ha di fatto ignorato la desalinizzazione come strumento alternativo alle fonti classiche di approvvigionamento idrico. Anzi, come appena citato, ne ha scoraggiato la diffusione. Tale approccio è riscontrabile dai dati sugli impianti di desalinizzazione operativi nel Belpaese. Secondo quest’analisi pubblicata su Rinnovabili – Il quotidiano sulla sostenibilità ambientale, il nostro Paese conta solo 340 impianti di dissalazione, quasi tutti di piccola taglia e molti al momento non funzionanti. Il settore non ha mai davvero preso l’abbrivio, visto che l’acqua dissalata pesa per lo 0,1% sul prelievo nazionale di acqua dolce. Da un punto di vista quantitativo, il più grande impianto è quello della raffineria Sarlux di Saras, in Sardegna, con una capacità produttiva giornaliera di 12,000 m³ d’acqua dissalata. Come vedremo poco più avanti confrontando i dati con altre nazioni, si tratta di una capacità produttiva oltremodo ridotta.
Analizzando rapidamente l’impiego della desalinizzazione a livello mondiale, risulta evidente quanto in Italia questa tecnica sia stata poco utilizzata. In un report che pubblicammo sul nostro sito qualche tempo fa, realizzammo uno studio sull’impatto che la produzione di acqua desalinizzata ha avuto in Arabia Saudita. Riad copre con la dissalazione circa la metà della domanda interna di acqua dolce. Dall’originale configurazione desertica, povera di risorse idriche e con un’alimentazione basata su poche varietà di cibo vista l’assenza di fresh water[3], attualmente il regno dei Saud vanta un’ottima produzione agricola, un settore agroalimentare con forti surplus dovuti all’export e una vera e propria abbondanza di acqua. La principale ragione di questo cambio epocale nella società e politica saudita è la grande efficienza della Saline Water Conversion Corporation, colosso di Stato che ha intessuto tutta la nazione araba di potenti impianti di desalinizzazione. In maniera simile, anche se in misura minore, si segnalano i casi di Emirati Arabi Uniti, Corea del Sud, Stati Uniti, Giappone ed Australia, dove dissalatori moderni ed efficienti sono stati costruiti per assicurare una costante fonte di approvvigionamento idrico.
Per restare nel bacino del Mediterraneo, si segnalano i casi di Israele e della Spagna, due tra le nazioni mediterranee più tecnologicamente avanzate sotto il profilo della desalinizzazione. Come riportato in un articolo di AB AQUA di qualche tempo fa, realizzato in collaborazione con l’Ambasciata di Israele in Italia, Tel Aviv produce oggi – grazie alla dissalazione – oltre il 20% di acqua in più rispetto a quella che necessita. In sostanza, la desalinizzazione ha consentito ad Israele di far diventare il proprio territorio, da sempre arido e riarso, in una sorta di giardino a cielo aperto in mezzo al deserto. Una situazione simile si riscontra in Spagna, dove tutta la parte meridionale e le isole sono sovente caratterizzate da pesanti crisi siccitose. Oggi Madrid, come analizzato in un nostro report, è il quarto produttore mondiale di acqua desalinizzata e il primo a livello europeo. Nel Paese iberico sono attualmente operativi ben 765 impianti che producono circa 5.000.000 di m³/giorno di acqua dissalata per approvvigionamento, irrigazione e uso industriale. Sono numeri davvero importanti.
Come accennato, il Decreto-Legge “Siccità” ha snellito le norme per la costruzione degli impianti in Italia. Molto resta da fare per dotare il nostro Paese della quantità necessaria di dissalatori in grado di metterci al riparo dalle plausibili crisi idriche del futuro. Nondimeno, il primo importante passo – la de-burocratizzazione – è stato fatto. Questa nuova svolta ha preoccupato gli ambientalisti, che hanno chiesto regole rigide per la gestione della salamoia. Tuttavia, recenti ricerche hanno dimostrato come si possa fare un uso sostenibile e proficuo di questo scarto industriale del processo di desalinizzazione. Come riportato nel nostro ultimo report, la salamoia può risultare molto utile nella transizione ecologica odierna. Infatti, se correttamente trattata tramite processi di ingegneria chimica, la salamoia può essere usata per produrre litio, minerale essenziale per la fabbricazione di batterie elettriche. Dunque, invece di spendere ingenti capitali per smaltirla o, ancora peggio, gettarla in mare dopo avere prodotto acqua dissalata, la salamoia può diventare una componente chiave dell’economia circolare associata alla produzione di litio in modo sostenibile.
I risultati a breve termine della nuova dottrina politica italiana in merito alla desalinizzazione sembrano incoraggianti. È notizia di poche settimane fa, infatti, la progettazione e il finanziamento di un grande impianto che, una volta costruito, diventerà il più grande d’Italia. Come riportato in questo articolo, entro il 2026 sarà realizzato in Puglia il dissalatore del Tara. Funzionerà a osmosi inversa e dissalerà le acque di sorgente, salmastre, del fiume Tara, situato ad una quindicina di chilometri da Taranto. L’impianto, che produrrà 60,000 m³ al giorno di acqua potabile – corrispondenti al fabbisogno di circa 385,000 persone – verrà costruito dall’azienda francese Suez Group che ha vinto l’appalto da 90 milioni di euro bandito da Acquedotto Pugliese. La costruzione del dissalatore rientra in una strategia di diversificazione degli approvvigionamenti di risorse idriche, in linea con la nuova legislazione più favorevole a questo tipo di soluzioni per contrastare le crisi idriche di natura siccitosa. Come riportato da Alice Scialoja nel suo articolo, sotto il profilo energetico il dissalatore del Tara adotterà un modello a impatto ridotto. La soluzione proposta da Suez Group, infatti, consentirà un notevole risparmio energetico. A questo proposito, la centrale sarà alimentata da un impianto fotovoltaico di circa 2.000 pannelli, per una produzione media annua di oltre 1.200 MW a supporto dell’attività produttiva.
Conclusione
Come descritto in questo report, il combinato disposto rappresentato dall’aumento delle temperature e dalla contrazione delle fonti idriche classiche da cui approvvigionarsi aumenterà considerevolmente lo stress idrico italiano nel prossimo futuro. Occorre dunque iniziare a pianificare la costruzione di moderni impianti di desalinizzazione che possano assicurare al nostro Paese una dotazione maggiore di acqua per scopi agricoli e industriali. Il dissalatore del Tara, sotto questo profilo, rappresenta un importante investimento realizzato grazie alla de-burocratizzazione apportata dal Decreto Legge Siccità. L’utilizzo di pannelli fotovoltaici per alimentare gli impianti consentirebbe una gestione virtuosa ed ecosostenibile di questa tecnica. Inoltre, la gestione “circolare” della salamoia per produrre litio, oltre ad abbattere i costi di smaltimento, potrebbe garantire un’importante fonte di approvvigionamento di uno dei minerali più richiesti del momento sul mercato globale.
La de-burocratizzazione messa in atto dal Decreto Legge Siccità del 2023 ha finalmente predisposto tutti gli strumenti legislativi e burocratici necessari per collocare l’Italia allo stesso livello delle principali economie mondiali in tema di desalinizzazione. La costruzione degli impianti, che richiederà comunque del tempo, assicurerà una certa resilienza idrica ai territori più esposti all’aumento delle temperature e alla riduzione delle precipitazioni. Ci si riferisce, in particolare, alle regioni meridionali e alle grandi isole, che ormai da diversi anni vivono situazioni di preoccupante deficit idrico. In aggiunta, anche le aree settentrionali potranno beneficiare di uno stock di risorsa certa su cui fare affidamento in caso di necessità. Non si dimentichi, a tal proposito, che la siccità del 2022 causò danni estesi anche all’Emilia Romagna e alla Toscana, due regioni che fino a pochi anni fa non avevano riscontrato particolari casi di deficit idrico. In sostanza, le crisi siccitose dei prossimi anni avranno un impatto a livello nazionale molto forte. Ciò comporta che si debba affrontare la questione con misure preventive e strategie a carattere nazionale e non locale.
Vista la crescente necessità di acqua che da qui ai prossimi anni interesserà tutto il nostro territorio, si suggerisce che in ogni regione italiana provvista di coste marine siano realizzati dai tre ai quattro grandi impianti per far fronte a plausibili fenomeni siccitosi. Oltre a ciò, si potrebbe provvedere a realizzare un’infrastruttura di trasporto sul modello israeliano del National Water Carrier (NWC)[4]. Si tratta di un complesso sistema di tubazioni che, nel corso del tempo, ha innervato di preziose risorse idriche la piccola nazione mediorientale. Qualora non ci fosse bisogno di utilizzare l’acqua dissalata per rispondere ad una crisi locale, sarebbe opportuno disporre di una sorta di National Water Carrier italiano per la risorsa desalinizzata che transiti in ogni regione. In caso di necessità, quest’acqua potrebbe essere velocemente trasferita dove sia più necessaria. In tal modo, oltre a favorire una fruttuosa cooperazione tra le regioni, si disporrebbe di un’infrastruttura strategica in grado di trasportare il prezioso “oro blu” da sud a nord. Infatti, alcune delle più importanti regioni italiane sotto il profilo della produttività – Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige – non hanno accesso a coste marine da cui poter ricavare acqua dissalata. In ottica di sviluppo idro-strategico integrato, un ipotetico National Water Carrier italiano potrebbe mettere al sicuro queste regioni ad alto tasso industriale da una crisi siccitosa. Un impianto costruito in Liguria o Emilia Romagna, ad esempio, se collegato con delle apposite tubazioni, potrebbe raggiungere facilmente territori piemontesi o lombardi, mettendoli al riparo dai devastanti effetti della siccità.
Bibliografia
- https://www.reteambiente.it/news/50987/istat-su-acqua-perdite-in-infrastrutture-idriche-restano-ele/.
[1] Vista l’estrema variabilità di questi dati da un anno all’altro occorre analizzare intervalli relativamente lunghi.
[2] L’evapotraspirazione è l’evaporazione diretta e traspirazione dagli organismi viventi.
[3] Basata in massima parte sul consumo di datteri e carne di cammello. La mancanza di acqua ha impedito per molto tempo all’Arabia Saudita di sviluppare un apparato agricolo efficiente in grado di soddisfare la crescente popolazione.
[4] https://abaqua.it/linnovazione-tecnologica-israeliana-al-servizio-dellefficienza-idrica-un-esempio-da-seguire%EF%BF%BC/.