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L’impatto dell’estrazione del litio sulle risorse idriche globali

Febbraio 14, 2024

* L’immagine di copertina di questo report è stata presa dal sito The News Hawks, consultabile al seguente link: https://thenewshawks.com/move-to-ban-raw-lithium-exports-amid-scramble/

Uno dei futuri effetti principali dell’odierna crisi climatica è il cambio radicale della mobilità che coinvolgerà milioni di persone nei prossimi anni, perlomeno in Europa. Per limitare la diffusione di emissioni carboniche, responsabili del vertiginoso aumento delle temperature verificatosi negli ultimi lustri, le città europee sperimenteranno una vera e propria invasione di auto, scooter e mezzi elettrici. Gli spostamenti in auto sono responsabili, da soli, del 12% delle emissioni di C02 a livello continentale e dovranno diminuire di più di un terzo (37,5%) entro il 2030 per restare in linea con gli obiettivi stabiliti dagli Accordi di Parigi. Le nazioni aderenti all’UE stanno investendo ingenti risorse per incentivare il passaggio ad una mobilità elettrica, e al contempo il progresso tecnologico promette di abbassare i costi e aumentare l’efficienza. Sotto questo profilo, si stima che, solo in Europa, il numero di veicoli elettrici crescerà vertiginosamente, passando dagli attuali 2 milioni ai 40 milioni entro il 2030.

Inevitabilmente, per realizzare quella che si appresta ad essere una vera e propria rivoluzione nel settore dei trasporti, è già in avanzata fase di sviluppo una nuova filiera di approvvigionamento. Venendo a mancare i presupposti stessi della vecchia catena produttiva, incentrata sull’afflusso di combustibili fossili come fonte energetica primaria del motore a scoppio, da ormai qualche anno si sono gettate le basi per la diffusione di nuovi approcci agli spostamenti che si focalizzano appunto sulla mobilità di tipo elettrico. Ciò comporta, inevitabilmente, nuovi materiali su cui investire e lavorare per realizzare le macchine del futuro. Uno di questi materiali è il litio, minerale essenziale per la produzione di batterie degli Electric Vehicles (EVs). L’estrazione, la produzione e lo stoccaggio di questo prezioso minerale comporta dei costi, economici e ambientali, non indifferenti, soprattutto per ciò che concerne le ingenti risorse idriche utilizzate nelle varie fasi della sua lavorazione. Secondo alcuni studi, si parla di 1,8 milioni di litri di acqua per tonnellata di minerale. Una cifra davvero notevole.

In questo report si metteranno in luce alcune delle principali contraddizioni in merito alla crescita esponenziale della domanda di litio avvenuta negli ultimi anni. In particolare, si farà riferimento agli elevati consumi idrici che sono necessari per sostenere l’estrazione e la produzione di questa importante materia prima. A tal proposito, si farà riferimento alla crisi idrica cilena del 2021, acuita proprio dall’ingente utilizzo di acqua per far fronte alla produzione di litio. Proprio il Cile, infatti, come vedremo oltre, rappresenta uno dei principali produttori di questo minerale sulla scena globale.

Una tecnica più economica e decisamente più sostenibile sotto il profilo ambientale è costituita dalla produzione di litio attraverso il recupero della salamoia, uno scarto industriale prodotto dagli impianti di desalinizzazione. L’adozione di questo metodo potrebbe costituire un doppio grande vantaggio. Da un lato si procederebbe ad uno smaltimento sostenibile ed efficace della salamoia, che spesso viene riversata in mare una volta terminato il processo di separazione dell’acqua dalla componente salina in fase di desalinizzazione; dall’altro si produrrebbe litio in quantità abbondanti senza bisogno di sprecare ingenti quantitativi idrici.

Gli ingenti costi idro-ambientali dell’industria mineraria: il caso del litio

L’industria mineraria – in generale e non solo in riferimento all’estrazione di litio – comporta dei consumi idrici e degli impatti ambientali davvero notevoli. L’acqua viene utilizzata per molteplici scopi ed è senza dubbio l’elemento attorno al quale ruota lo sfruttamento intensivo delle miniere. In alcuni casi, se il sito estrattivo è localizzato in prossimità del mare o dell’oceano, le compagnie minerarie sono disposte ad investire copiose risorse nella costruzione di impianti di desalinizzazione per far fronte ai frequenti casi di water shortage. Come è noto, tali impianti hanno dei costi iniziali e manutentivi non indifferenti; eppure, vista la centralità dell’acqua in quasi tutti i processi estrattivi, molti investitori sono disposti a sobbarcarsi notevoli spese pur di garantire un sicuro approvvigionamento idrico.

Nello specifico, come riportato in uno studio dettagliato realizzato da Genesis Water Technologies, le società di estrazione di carbone e minerali utilizzano l’acqua per raffreddare le apparecchiature e rimuovere la polvere, nonché per estrarre, lavare e, in alcuni casi, trasportare carbone o minerali. Altre compagnie minerarie utilizzano l’acqua per lavorare minerali e recuperare metalli preziosi dal minerale. Oltre ai molteplici usi attivi dell’acqua nelle varie fasi di estrazione, va considerato un altro aspetto. L’acqua utilizzata nelle miniere non può essere riutilizzata per altri scopi, essendo inservibile da un punto di vista chimico e biologico. I cosiddetti usi minerari dell’acqua portano infatti a gravi impurità minerali, causando l’accumulo di altri solidi nel liquido come risultato delle attività delle società minerarie. In sostanza, se l’acqua utilizzata non viene sottoposta ad adeguati trattamenti purificativi, non è più utilizzabile e, anzi, può costituire una grave minaccia per infiltrazioni nocive nelle falde acquifere.

Come segnalato dal United States Geolocical Survey (2019), le acque reflue minerarie di solito hanno alti livelli di solidi sospesi e possono anche essere incredibilmente acide. Inoltre, è frequente trovare metalli pesanti, composti organici e metalloidi come ferro, arsenico e manganese nelle acque reflue delle compagnie minerarie. Comprensibilmente, tutto ciò rende le risorse idriche impiegate nelle miniere molto pericolose per l’ambiente in cui si verificano le attività estrattive. Non si tratta dunque di un caso se il trattamento di queste acque cariche di metalli e agenti patogeni inquinanti sia divenuto fondamentale per il rispetto di sempre più stringenti normative ambientali. Queste ultime hanno reso quasi impossibile per le aziende riutilizzare gli effluenti minerari tossici (o addirittura restituire acqua incontaminata all’ambiente). Tali regolamenti sono indispensabili nella tutela di foreste, colline, pianure e ogni altra zona adiacente al sito estrattivo. Ad esempio, qualora si verificassero precipitazioni significative in un’area, esse potrebbero portare al deflusso acido dalle miniere di superficie, al drenaggio delle miniere e ai cumuli di scorie, inquinando fiumi, torrenti, laghi e, attraverso il fenomeno della percolazione, anche le falde acquifere sotterranee. Nelle aree più aride, le conseguenze sarebbero ugualmente devastanti, se non addirittura maggiori. L’estrazione e la lavorazione dei minerali potrebbero intossicare le falde acquifere, compromettendo di fatto le già flebili fonti di approvvigionamento di cui sono caratterizzate le zone desertiche.

Alla luce di quanto analizzato, la cosiddetta “corsa al litio”, ovvero la massiccia ricerca di questo materiale per la produzione di batterie elettriche, non farà altro che aumentare lo stress idrico in molte regioni del mondo. Come accennato pocanzi, infatti, per produrre una tonnellata di litio serve uno spropositato quantitativo di risorse idriche. Queste ultime, invece di essere impiegate per scopi agricoli, irrigui e industriali, vengono massivamente utilizzate per attività minerarie. Ciò comporta un doppio svantaggio. Da un lato si aumentano i consumi idrici per le attività estrattive, aggiungendo un’importante “voce” nella colonna del consumo di acqua; dall’altro si impedisce che l’acqua possa essere utilizzata per altri scopi una volta impiegata nelle miniere, visto che le compagnie minerarie dotate di impianti di purificazione delle acque sono ancora oggi molto poche. Si tratta infatti di impianti costosi che impiegano una tecnologia moderna e di non facile reperibilità. Oltre a ciò, si tenga presente l’aspetto relativo all’incremento esponenziale della domanda di litio. Secondo alcuni studi, quest’ultima, dalle 130.000 tonnellate nel 2022, arriverà alle 500.000 tonnellate entro la fine del decennio. Si tratta di cifre davvero notevoli, in grado potenzialmente di espandere in maniera incontrollata lo stress idrico per far fronte alle nuove esigenze estrattive.

La crisi idrica cilena del 2021

Come analizzato poco sopra, la scarsità d’acqua è un problema in continua crescita per le compagnie minerarie che, nelle aree sottoposte già a stress idrico, degradano ciò che è ancora disponibile quando si riforniscono solo presso fonti di acqua dolce. Il caso del Cile, sotto questo profilo, rappresenta un emblema di come gli interessi minerari mal si concilino con l’utilizzo di acqua presente nei laghi e nei fiumi. Va sottolineato che in questo Paese andino, insieme a Bolivia e Argentina, si trova circa la metà delle riserve di litio nel mondo, pari a circa 21 milioni di tonnellate. In quello che viene denominato il Triangolo del Litio, il minerale viene ricavato tramite un processo di evaporazione dei laghi salmastri sotterranei. Come riportato in uno studio pubblicato su Orizzonti Politici, per quanto riguarda l’estrazione dai depositi di roccia, l’industria mineraria del litio è largamente sviluppata in Australia e in Cina, dove le riserve sono stimate ammontare rispettivamente a 4,7 milioni e 1,5 milioni di tonnellate.

Proprio la Cina, da tempo impegnata in una poderosa transizione ecologica per ciò che concerne la mobilità interna, dimostra un interesse spiccato per la gestione del litio. Non a caso, Pechino è presente con importanti progetti infrastrutturali in Sudamerica. In questo studio pubblicato su AB AQUA poco tempo fa, abbiamo evidenziato come ingenti capitali e numerosi ingegneri cinesi saranno protagonisti nella costruzione di un’importante infrastruttura idrica in Argentina. In sostanza, l’obiettivo di Pechino è inserirsi commercialmente e finanziariamente in varie nazioni andine per poter controllare la filiera del litio. Nel caso argentino, la Cina è interessata a utilizzare le risorse provenienti dallo stabilimento Vaca Muerta. Si tratta di un giacimento molto vasto (36.000 km²) ma poco sfruttato a causa della mancanza di infrastrutture. Tra i vari materiali, la leadership cinese è intenzionata ad utilizzare il petrolio di scisto, la grafite, il silicio e, naturalmente il litio.

Una situazione simile si verifica in Bolivia, dove le attività cinesi sono molto intense già da qualche anno. A causa dell’assenza di adeguate infrastrutture per l’esportazione di minerali, La Paz ha recentemente lanciato un invito rivolto a investitori privati per presentare proposte di sviluppo in merito allo sfruttamento dell’abbondante litio boliviano. Stando a varie fonti, l’appalto è stato vinto dalla cinese CATL, colosso di Stato specializzato nella produzione di batterie agli ioni di litio per autoveicoli elettrici. Le condizioni esatte dei siti di estrazione non sono ancora state rese pubbliche; tuttavia, la presenza di Pechino, proprio nel settore minerario più “caldo” del momento, segnala il grande attivismo cinese in questa parte di mondo.

Naturalmente, anche il Cile è coinvolto in quello che potrebbe essere definito un vero e proprio scramble for lithium. Il grande gruppo industriale Tsingshan Holding Group, specializzato nel settore dell’acciaio inossidabile e del nichel, ha vinto l’appalto per la costruzione di un impianto di produzione di CAM (cathode active materials) nella regione di Antofagasta, situata nella parte settentrionale del Paese andino. Secondo alcuni studi, l’azienda cinese impegnerà circa 233 milioni di dollari in uno degli investimenti più importanti nel settore del litio al di fuori dei confini nazionali.

Proprio il Cile è stato di recente protagonista di una crisi idrica seria, cagionata, in parte, anche dall’eccessivo sfruttamento del litio per soddisfare la domanda in grande crescita. I motivi che hanno portato alla progressiva diminuzione delle risorse idriche cilene nel corso dell’ultimo quindicennio sono vari. Si va dalla massiccia privatizzazione del mercato dell’acqua, passando per la coltivazione intensiva dell’avocado, frutto che necessita di abbondanti quantitativi irrigui. A questo proposito, a partire dal 2006, ovvero da quando la domanda di avocado ha iniziato a crescere in maniera sostenuta e progressiva, molte aziende hanno delocalizzato la produzione proprio in Cile, contribuendo ad incrementare lo stress idrico nazionale. La produzione intensiva di questo frutto tropicale ha letteralmente prosciugato alcune aree del territorio cileno come, ad esempio, quella della provincia di Petorca, situata nella parte centrale. A ciò si aggiunga l’aumento delle temperature, che ha portato a frequenti casi di siccità prolungata in varie aree della nazione andina. A tal proposito, nel 2020 il governo ha dichiarato lo Stato di Emergenza Agricola Nazionale in sei diverse regioni, con previsioni a medio e lungo termine non positive. Secondo alcuni studi, infatti, si prevede che la disponibilità idrica della sola Santiago, dove risiede la metà della popolazione cilena, crollerà del 40% entro il 2070.

La crisi idrica del 2021 è stata così rilevante che interi bacini idrografici si sono prosciugati. È il caso, ad esempio, del Lago Aculeo. Situato poco lontano dalla capitale Santiago, questo lago è completamente scomparso, vittima della siccità e dell’uso eccessivo dell’acqua per scopi legati al turismo intensivo. Con una superficie di 12 km² e una profondità di 6 metri, il lago è stato per anni una delle principali attrazioni turistiche della regione dove, vista la presenza di numerosi hotel e campeggi, i turisti venivano a godersi le sue acque per nuotare e praticare sport acquatici. Negli ultimi dieci anni, come riportato in questo studio, il livello dell’acqua è sceso fino a prosciugare interamente il bacino. Purtroppo, il caso del Lago Aculeo non è isolato. Collegato proprio alla massiccia estrazione di litio, è il caso del Salar di Atacama, lago salino da cui si estrae la maggior parte del prezioso minerale. Secondo questo articolo, già nel 2019 il presidente del tribunale di Antofagasta aveva richiesto uno studio di fattibilità riguardo all’effettiva sostenibilità ambientale dell’estrazione di litio da quel bacino idrico. Ad oggi, il lago è quasi del tutto prosciugato, sacrificato sull’altare della corsa al litio per soddisfare un’insaziabile domanda che proprio nel Cile trova uno dei principali fornitori.

La crisi idrica cilena, nella sua drammaticità, ci fornisce delle lezioni che non possono essere ignorate. Alla luce delle difficili condizioni climatiche odierne, lo stress idrico è destinato ad aumentare in maniera vertiginosa anche in Paesi come il Cile che dovrebbero essere ambientalmente più attrezzati di altri a gestire fenomeni siccitosi. La catena montuosa delle Ande, infatti, con i suoi numerosi ghiacciai e fiumi glaciali, dovrebbe mettere al riparo, o quanto meno lenire, fenomeni di scarsità idrica. Il flusso costante di acqua glaciale verso valle garantisce uno stock di risorsa indispensabile che, almeno in teoria, dovrebbe essere sufficiente per soddisfare il fabbisogno di una nazione di poco più di 20 milioni di abitanti. Eppure, il Cile è stato suo malgrado protagonista di una crisi ambientale causata dalla mancanza di acqua. I fattori, come abbiamo velocemente riepilogato, sono stati vari. Questo perché, già senza considerare il consumo idrico destinato alle attività minerarie, il rischio di incorrere in una crisi di approvvigionamento è molto concreto. Se a questo scenario complesso si va ad unire l’estrazione intensiva del litio, con tutti i rischi che ne conseguono in merito all’impossibilità di riutilizzare le risorse idriche impiegate durante le fasi estrattive, si gettano le basi per una quanto mai plausibile crisi idrica anche in un Paese ricco di risorse come il Cile.

Salamoia e litio: il binomio del futuro?

Come analizzato poco sopra, negli ultimi anni la crescita della domanda di litio è stata a dir poco poderosa, trainata da un’agenda politico-ambientale improntata alla diffusione di veicoli elettrici. Tuttavia, per soddisfare la domanda, il consumo di acqua per le attività di estrazione è destinato ad impennarsi, comportando quindi un aumento dello stress idrico globale non esattamente in linea con un approccio ecologico sostenibile. Alla luce di ciò, appare evidente che l’estrazione intensiva di questo materiale non possa conciliarsi con un disegno strategico green. Il caso della crisi idrica cilena del 2021 testimonia quanto precario sia l’equilibrio ambientale connesso all’estrazione del litio. Cosa fare, dunque, per continuare l’audace ed epocale piano di diffusione della mobilità elettrica senza incorrere in crisi siccitose indotte dalle compagnie minerarie? Una soluzione interessante sarebbe quella di favorire gli impianti di desalinizzazione, possibilmente ad energia solare. Tali impianti, oltre a produrre acqua desalinizzata che può essere immessa nella rete idrica locale e quindi alleggerire lo stress idrico, generano uno scarto industriale – la salamoia – che potrebbe essere la soluzione al problema legato al consumo dell’acqua nell’estrazione del litio.

Numerosi studi sostengono che il mare contenga una quantità di litio enorme, pari a circa 5.000 volte in più di quella reperibile sulla terra ferma. Va detto che la concentrazione di questo materiale in acqua salata è pari solo a 0,2 parti per milione; tuttavia, le dimensioni dei mari e degli oceani del nostro Pianeta lasciano intuire che, se estratto nel modo corretto, il litio sia altamente disponibile, potenzialmente quasi inesauribile. Questo metodo, oltre ad essere decisamente più sostenibile da un punto di vista ambientale, consente di abbattere notevolmente i costi. A questo proposito, stando a Lenntech, società di progettazione e consulenza olandese, l’estrazione di litio dalla salamoia concentrata dopo la produzione di acqua dissalata costa dal 30% al 50% in meno rispetto all’estrazione mineraria classica. Gli olandesi non sono gli unici ad essersi interessati a questo tipo di tecnica innovativa. Uno studio condotto dall’università saudita KAUSTKing Abdullah University of Science and Technology – ha illustrato un approccio sostenibile e conveniente per assicurare la fornitura di litio necessario a garantire l’energia elettrica nel futuro.

Il fatto che l’Arabia Saudita, tramite il KAUST ma non solo, sia in prima fila nella ricerca di metodi alternativi per la produzione di litio dalla salamoia non è un caso. Come riportato in un nostro studio di qualche tempo fa, Riad è il principale produttore mondiale di acqua desalinizzata. La Saline Water Conversion Corporation, colosso saudita nel settore della desalinizzazione, produce ogni giorno milioni di m³ di acqua grazie ai numerosi grandi impianti presenti sul suo territorio. Questi impianti hanno consentito al Regno dei Saud di poter contare, negli anni, su un’enorme quantità di acqua proveniente dal mare. Oltre alla risorsa desalinizzata, i Sauditi producono una grande quantità di salamoia, come risultato delle intense attività di dissalazione. Fino a qualche anno fa, questo scarto industriale rappresentava un problema di non facile gestione per l’Arabia Saudita, costretta ad investire molti capitali annualmente per disfarsene. I nuovi impieghi derivanti dalla Brine Lithium Extraction (BLE) – estrazione del litio dalla salamoia – rappresentano un nuovo approccio economicamente molto sostenibile su cui Riad ripone, comprensibilmente, molta fiducia.

Fig. 2: Logo della King Abdullah University of Science and Technology
https://www.kaust.edu.sa/en/

Come riportato in questo articolo, gli scienziati della KAUST già qualche anno fa elaborarono un sistema per ottenere il litio dall’acqua del mare, sperimentandolo nel Mar Rosso. Per estrarlo hanno utilizzato una cella elettrochimica che contiene una membrana di ceramica dotata di fori abbastanza larghi da far passare il litio ma abbastanza stretti da non lasciar filtrare ioni metallici di dimensioni maggiori, come quelli di potassio, magnesio e sodio, presenti nel mare, che potrebbero rendere il litio meno puro. Questo sistema, oltre a permettere di ottenere litio con un alto livello di purezza, rende economicamente conveniente il processo. Secondo gli studiosi, grazie a questo metodo è possibile ottenere 1 kg di litio al costo di 5 dollari circa per l’energia elettrica che serve ad alimentare il processo stesso di estrazione. La prossima sfida sarà quella di ottimizzare i costi di produzione della membrana stessa che potrà, così, essere prodotta su larga scala, consentendo di estrarre sempre più litio a costi sempre più convenienti.

Occorre sottolineare che lo sfruttamento della salamoia rappresenta un metodo abbastanza diffuso per la produzione di litio. A tal proposito, si pensi al metodo cileno o boliviano, in cui per estrarre il litio si utilizzano tecniche basate sull’evaporazione della salamoia in stagni aperti presa da bacini altamente salini. È il caso, ad esempio, del citato lago cileno Salar di Atacama, oggi quasi del tutto essiccato, come descritto poco sopra. Tuttavia, come sottolineato dal Lennetch, queste tecniche sono molto lente – l’evaporazione degli stagni al livello desiderato può richiedere fino a 24 mesi – e fortemente dipendenti dalle condizioni meteorologiche della regione, che possono variare durante l’anno. L’aspetto innovativo dell’approccio portato avanti dalla KAGUS – e anche da altre aziende –  è la produzione di salamoia in quantità industriale da cui estrarre il litio senza attendere il naturale corso degli eventi. Sotto questo profilo, tecnologie avanzate basate su adsorbimento ed estrazione con solvente e membrane sono in fase di sviluppo in laboratorio e su scala commerciale. Questa nuova tecnica, oltre ad essere ambientalmente più sostenibile, può potenzialmente aumentare sia la redditività economica dell’estrazione di minerali dall’acqua di mare sia garantire uno stock di litio certo indipendentemente dalle condizioni atmosferiche.

Fig. 3: Simulazione schematica del processo di evaporazione della salamoia per il recupero del litio
https://www.lenntech.it/processes/lithium-recovery.htm

Conclusioni

La poderosa diffusione dei veicoli elettrici che si verificherà nei prossimi anni farà sì che il litio diventerà – se non lo è già diventato – uno dei minerali più richiesti in tutto il mondo. Questo fattore, come descritto in questo report e come rappresentato dal caso cileno, non farà altro che sottoporre ad ulteriore stress idrico innumerevoli comunità umane stanziate in prossimità dei siti estrattivi. Urge dunque trovare una soluzione tecnologica e sostenibile in grado di continuare l’estrazione e la produzione di litio senza tuttavia compromettere la tenuta idro-ambientale di intere regioni.

Alla luce di quanto analizzato, il binomio litio-salamoia potrebbe sempre più consolidarsi in futuro per offrire una tecnica di produzione del prezioso materiale economicamente e ambientalmente valida. Il combinato disposto rappresentato dal contenimento dei costi e dalla preservazione delle risorse idriche incentiverà aziende e laboratori ad investire molte risorse per perfezionare questo nuovo modello nella ricerca del litio. L’obiettivo dei prossimi anni è impedire che la ricerca di questo materiale così indispensabile non solo per i veicoli elettrici ma anche per tutti i dispositivi che comportano l’uso di batterie, costituisca un rischio per la tenuta idrica già precaria di molte nazioni.

Sotto un profilo idro-strategico, l’estrazione del litio dalla salamoia potrebbe offrire una serie di vantaggi non indifferenti. Innanzitutto, la riutilizzazione di questo scarto industriale derivante dal processo di desalinizzazione. Spesso, non sapendo come gestire la salamoia e non volendo pagare gli ingenti costi per disfarsene legalmente, molte aziende specializzate nella costruzione di impianti di dissalazione preferiscono gettare a mare gli scarti iper-salini. Ciò comporta un sicuro contenimento dei costi ma anche un danno ambientale incalcolabile sia per la flora che per la fauna marina presso cui la salamoia viene rilasciata. Di contro, se si può riutilizzare per produrre un minerale molto richiesto sul mercato, automaticamente le compagnie saranno incentivate a farne un uso più sostenibile. Non tanto per fini ambientali ma, cinicamente, per trarre ulteriori profitti dalla vendita del litio prodotto dallo sfruttamento della salamoia.

Inoltre, la possibilità di utilizzare anche gli scarti industriali del processo di desalinizzazione potrebbe incentivare la proliferazione di tali impianti anche in Paesi – come l’Italia – tradizionalmente poco inclini ad adottare questa tecnologia. A questo proposito, la gestione della salamoia risulta essere una tra le principali questioni ambientali sollevate da chi è contrario alla desalinizzazione, oltre all’elevato consumo di combustibili fossili per alimentare una centrale. Per quanto riguarda quest’ultimo profilo, sono presenti sul mercato aziende che realizzano impianti di desalinizzazione alimentati ad energia solare con ottime rese energetiche. In merito alla gestione della salamoia, come evidenziato poco sopra, il nuovo impiego rappresentato dalla produzione di litio potrebbe consentire un recupero valido ed economico di uno scarto industriale la cui presenza ha per lungo tempo costituito un problema ambientale di non facile risoluzione.

Bibliografia

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